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Il 95% delle richieste di “diritto all’oblio” di Google sono di persone comuni, non di VIP

Il diritto all’oblio è la nuova opzione offerta da Google per tutelare meglio la privacy dei suoi utenti, dopo le pressioni ricevute dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea. Secondo il rapporto ufficiale pubblicato da Google, infatti, oltre un milione di URL (fonte) sono stati richiesti fino ad oggi per la rimozione dai risultati di ricerca. Cosa che non sempre avviene, o meglio che avviene solo con certe modalità .

Queste richieste si affiancano, e sono distinte, da quelle che avvengono per motivi standard, per cosଠdire, come ad esempio violazione del copyright, tipicamente, ma anche oscenità , diffamazione ed altro, e tendono ad aumentare nel tempo con l’incremento della consapevolezza da parte degli utenti.

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Se è vero che l’Italia appare come fanalino di coda per quanto riguarda il numero di richieste attuali (solo 21000, contro le 48000 della Germania e le quasi 59000 della Francia), c’è da dire che la provenienza delle richieste di rimozione proviene da persone comuni. Le stesse che si trovano a vivere drammi personali, in molti casi, legati alla diffusione incontrollata di propri dati personali su Google, e che si rivolgono all’azienda per chiedere la legittima rimozione.

Cosa che nei casi critici e comprovati sembra avvenire regolarmente, ma che in molti altri non può avvenire, specificamente (secondo la poltica ufficiale dell’azienda, quantomeno) in relazione alla richiesta di rimozione di dati che si prefigura come forma di manipolazione della realtà , disinformazione e censura. Le richieste dei governi sono certamente numerose, come è facile immagine, ma resta il fatto che buona parte delle richieste provengono da comuni cittadini.

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Del resto, Google non fa altro che fornire un’immagine riprodotta della realtà  del web, e da sempre tende a seguire i trend imposti dagli utenti stessi nei forum, nei blog e cosଠvia. Sarebbe ora che ci fosse una maggiore consapevolezza del mezzo, e che si possa finalmente usare Google in modo corretto ed equilibrato, facendo attenzione noi per primi ai dati che diffonderemo sulla rete (mediante social network in primis).

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(fonti: Google.com, TheGuardian)

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