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Le richieste di backlink via email non sono un modo di fare SEO efficace

Questo articolo è dedicato, fuori dai denti, a chi “sa di cosa parlo“: mi riferisco alle decine, centinaia, forse migliaia di individui che affollano la mia casella di posta di richieste come quella di cui parlo in questo articolo, spesso forwandando la stessa email più volte chiedendosi “se abbia letto” o meno.

Al netto di quanto questo atteggiamento sia snervante per chiunque non sia abituato all’idea, le richieste di essere linkati via email possono funzionare entro certi limiti, ma sono ormai viziate dalla nostra stessa intersoggettività : in altri termini, smettono di essere efficaci perchè chiunque fa richieste di essere linkato da siti più grossi, spesso e volentieri come sotterfugio per avere un servizio gratuito e con sforzo minimo.

Fuori da ogni ipocrisia, le richieste di link via email (link building via email, mi riferisco) restano tra le più comuni, semplici e diffuse sul web per chiunque abbia un sito di un qualche interesse: molti webmaster si accordano privatamente sotto questo punto di vista, e Google fa da sempre molta fatica a tracciare correttamente i link naturali da quelli “forzati”. Se la pratica sarebbe teoricamente efficace da un punto di vista prettamente SEO, configurandosi come una specie di win-to-win (come va di moda scrivere in questi casi), da altri punti di vista sono una forma di goffo “baratto” che ormai è stata portata all’estremo dalla pratica.

In altri termini, le orde di link builder in erba che scrivono a chiunque elemosinando un linkettino hanno definitivamente stufato, proprio perchè abusano del tempo, della pazienza e della capacità  di comprensione della realtà  di ognuno di noi, piccoli editori del web.

In media mi arrivano circa sei o sette richieste del genere a settimana, un numero spaventoso – a ben valutarlo – che affianca da un lato chi semplicemente ce prova, senza mezzi termini, e chi subdolamente “sonda” il terreno per capire se possa scroccare qualcosa. Del resto scrivere una mail costa zero, senza contare che crearsi account fake (per provare più volte a farlo) costa ancora meno.

Il più delle volte le richieste di link via email sono da me lette – felice di sbagliarmi in caso contrario – come una specie di favori, di piacere personali che, non si sa bene per quale motivo, avrei dovuto concedere ad un certo sito. Specie quando leggo formule stantà¬e e abusate, malamente adattate dai blog SEO americani, in cui la gente mi scrive che dovrei linkare questo sito di erboristeria perchè “i miei lettori ne gioverebbero”, come se l’operazione non avvantaggiasse il sito destinazione bensà¬, per qualche arcano motivo, i miei “poveri” lettori. Che il web sia un luogo in cui avvengono pratiche predatorie o manipolatorie resta purtroppo un dato di fatto, del resto, quindi nessuno vuole fare moralismo in merito, non è questo il punto: quello che mi chiedo è come si possa davvero investire tutto questo tempo nel fare attività  del genere, con una tecnica che ricorda più la “pesca a strascico” tipica del phishing che attività  SEO o di link building vere e proprie.

Un qualcosa che ricorda molto da vicino chi, ancora oggi, chiede di lavorare per la “visibilità “ senza darci nulla in cambio di concreto in termini monetari, confermando la tendenza più arcaico capitalista di sempre: gli altri devono lavorare gratis, io devo solo guadagnare. Senza addentrarci in un discorso che sarebbe più orientato sul mondo del lavoro freelance che altro, mi limito a concludere che chi manda quelle email ingannevoli dovrebbe, forse, ragionare un po’ di più su quello che sta facendo, specie se lo sta facendo per la “visibilità ” e senza una paga anche solo simbolica.

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Il punto, in pratica, non è nemmeno quello di discutere l’etica delle richieste via email che, per quanto mi riguarda, non sono più scandalose di altre pratiche SEO: quello che mi ha seriamente stufato è l’approssimazione che si ostenta nel farlo, lo script subdolo con cui queste richieste cercano (in modo addirittura risibile, in certi casi) di ingannare la buona fede altrui, di chi passa nottate a lavorare sui propri blog per renderli più decenti che mai e che si sente, oggi, come nel 2016 (anno in cui ho pubblicato questo articolo per la prima volta, ndr), sempre più preso in giro.

L’arte di chiedere link via email per fare link building è viva e vegeta, intendiamoci: non voglio stare qui a dire che non funziona e che non vada fatta, anzi, dico solo che non serve a granchè se la affidate a Monella_85 o a turboMario_69. Guardiamoci in faccia: capisco la necessità  di privacy, di cui sono e rimango un difensore instancabile, ma non giochiamo a nascondino con queste cose, solo questo. Anche perchè, da che io ricordi, sono sempre “uscito” col mio nome e cognome, per cui non vedo perchè debba esserci uno sbilanciamento del genere e perchè, soprattutto, non debba considerare l’uso di nomi inventati (o addirittura di aziende inventate, in alcuni casi) un motivo più che valido per non prendere in considerazione la vostra richiesta.

Quand’è allora che chiedere backlink via email non funziona, in questo senso prettamente “di mercato”? Ho individuato alcuni casi “tipici”:

  1. Molte mail di questo tipo sembrano scritte da programmi automatici (e molte di queste lo erano), con scarsa voglia e poco interesse, della serie “spariamo nel mucchio e vediamo cosa succede“. Se sono parte di un esperimento modello cavia da laboratorio, quindi, vi pregherei quantomeno di farmelo presente, soprattutto quando mi capita di leggere spam scritto dall’ennesimo passa-carte sottopagato.
  2. In molti casi ho l’impressione che la richiesta, detta in modo un po’ brutale, non abbia alcun senso: voglio dire, è una cosa molto utile che mi segnali una risorsa che potrebbe interessare il mio sito – vedi le classiche liste di software che ho stilato, con pazienza e fatica, in questi anni – quindi: hai fatto un software utile, e vuoi che te lo linki. Ci potrebbe stare, ed è una cosa un po’ diversa chiedere un link restando sul generico, penso.
  3. La pretesa: la validità  della proposta ovviamente non significa che uno debba pretendere, perchè ci sono momenti in cui non ho tempo, voglia e modo di rispondere alle vostre richieste (tanto per farvi capire, non sono esattamente il tipo che passa le giornate sui social network, figuriamoci se ho voglia di farlo stando attaccato alle email), quindi fate pace con questo concetto e, se concesso dalle politiche aziendale delle realtà  per cui operate, abbiate magari un po’ di rispetto.
  4. La logica dei “cumpari – Secondo moltissimi, io – per dire chiunque abbia un sito – dovrei linkarti perchè siamo colleghi, siamo tutti sulla stessa barca e signora mia, si stava meglio quando si stava peggio. Tutto questo perchè il mio sito è simile al tuo, ah vabbè, vado un attimo a farmi linkare da Amico Fritz, e figuriamoci se il caro compare se mi dirà  di no. Anche qui, vedi il punto 3.
  5. Sfacciataggine. Riservatevi atteggiamenti predatori o sfacciati per Tinder, al limite, non per le richieste che inviate: ricevo massimamente ancora oggi, su un campione di 6 anni di osservazioni, richieste di link della serie (mi ha detto mio cugggino) “un caro amico mi ha detto che ti fai pagare in altri link“, “saresti disposto a scrivere una recensione del mio prodotto, no figurati, non te lo mando nemmeno, c’è la crisi, pero’ parlane bene, link nofollow, ok?“, (casualista) “mi chiedevo se, passando di qui per caso, mi linkeresti, cosà¬, se ti capita e non ti costa troppo, tanto tu sei bravo e ci metti 5 minuti“. Alla fantasia non c’è limite, come si suol dire, ma alla dignità  forse uno c’è, da qualche parte.
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Forse, e dico forse, sarebbe meglio dedicarsi ad approcci un po’ più costruttivi alla questione, invece di massacrare quel poco di creatività  che rimane in questo lavoro.

Ehi, cumpari…

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