Acceleratori di particelle, e la fisica del nuovo millennio


Sempre più spesso ci imbattiamo in notizie che parlano di nuove scoperte scientifiche realizzate grazie all’utilizzo di acceleratori di particelle, enormi macchinari in grado di sondare l’infinitamente piccolo e che ci aiutano a capire i misteri della materia nei suoi aspetti più nascosti e inaccessibili. A chi e a cosa servono queste scoperte? Vale davvero la pena spendere tutti i soldi che costa tenere in vita queste attrezzature?

Vale la pena?

Il nostro incipit termina con una domanda: “Vale davvero la pena spendere tutti i soldi che costa tenere in vita queste attrezzature?” Per un amante della scienza ma di formazione umanistica come chi vi sta scrivendo la risposta è un “sଔ semplice, banale ed immediato. “Fatti non foste a viver come bruti ma per seguir virtute e canoscenza” disse Dante per bocca di Ulisse nella Divina Commedia e, a chi come me, basta conoscere una qualsiasi cosa in più che fino a ieri era immersa nell’ignoto per giustificare costi e sforzi della ricerca. Poi continuerà  ad esserci sempre chi – con una “formazione scolastica” da social network – continuerà  a porsi la domanda: “vale la pena spendere miliardi per cercare l’acqua su Marte quando sulla Terra c’è gente che muore di sete?”, a queste menti semplici basterebbe rispondere che “le pasticche che si usano per rendere potabile l’acqua dei pozzi africani sono figlie dell’esplorazione spaziale e degli esperimenti fatti per rendere potabile ogni molecola d’acqua utilizzabile in una missione spaziale” ma, siamo sicuri, questa risposta non sarà  per loro esaustiva e dovremo mettegli sul piatto altri risultati.

Ebbene, cerchiamo allora di spiegare oggi come funziona e quali risultati pratici e scientifici ci dà  la ricerca scientifica di uno dei settori più economicamente dispendiosi della ricerca, quello dell’infinitamente piccolo che si persegue tramite gli acceleratori di particelle.

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Gli acceleratori di particelle

Iniziamo a spiegare in maniera semplice e ben poco dettagliata cos’è e come funziona un acceleratore di particelle.

Questi macchinari – i cui primi esemplari risalgono agli anni ’30 – sono delle sofisticate condotte (lineari, a spirale o ad anello) nelle quali vengono fatti fluire a velocità  prossime a quella della luce dei fasci di particelle elementari, con l’obiettivo di farli scontrare tra di loro alla più alta potenza possibile, nella speranza che, dall’urto, queste particelle si vadano a scomporre negli elementi che li compongono. Già , perchè anche le particelle elementari, come gli elettroni o i protoni, a loro volta, sono composti da particelle ancora più piccole e l’obiettivo è quello di scovare le particelle “base” non scomponibili che costituiscono il tutto. E’ un po’ come lanciare due macchine ad altissima velocità  e farle collidere in uno spaventoso frontale che le demolisca completamente in modo da poter ottenere dallo scontro pauroso che ne consegue i singoli pezzi dell’accendisigari o del pulsante dell’aria condizionata.

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Il più noto e imponente (per dimensioni e potenza) tra gli acceleratori di particelle sparsi per il globo è il celeberrimo LHC (Large Hadron Collidere) del CERN (Centro Europeo per la Ricerca Nucleare) di Ginevra. Questo acceleratore ad anello, scavato 100 metri sotto la città  di Ginevra e avente una circonferenza di 27 chilometri, tramite spinte elettriche e magnetiche combinate, è in grado di accelerare gli “adroni” (la “famiglia” delle particelle subatomiche) alla mostruosa velocità  di 0,999999991 volte la velocità  della luce, in maniera tale che i fasci di particelle immessi al suo interno siano in grado di compiere per 11.000 volte al secondo l’anello che ne costituisce la struttura (11.000 à— 27km = 297.000 km al secondo, la velocità  della luce è di 299.792 km al secondo).

Una volta raggiunta la potenza desiderata, gli scienziati faranno collidere i fasci, provenienti dalle due opposte direzioni, all’interno di alcune camere di rilevamento dotate di sensori in grado di individuare le eventuali tracce lasciate da queste micro-particelle e consegnare, quindi, i risultati delle osservazioni in mano ai ricercatori che li analizzeranno.

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Risultati conseguiti dall’LHC

Dagli esperimenti effettuati con l’LHC sono state individuate particelle ipotizzate teoricamente nell’ultimo secolo ma che ora è possibile studiare direttamente.

E’ il caso del Bosone di Higgs, la cui esistenza è stata teorizzata nel 1964 ma che ha avuto conferma sperimentale solo nel 2012. Questa “mattonella” costitutiva della materia è la responsabile della massa delle particelle elementari e, quindi, di tutta la massa conosciuta, tant’è che per questa sua caratteristica è stata soprannominata “la particella di Dio“.

Oltre al Bosone di Higgs, numerose sono le particelle subatomiche studiate e rintracciate ma, l’obiettivo per il futuro dell’LHC è quello di scardianare il mistero insondabile che la fisica moderna sta affrontando: il rilevamento della “massa oscura”. Se, infatti, il Bosone di Higgs è il costituente della massa “ordinaria” con cui “interagiamo con i sensi” e con gli strumenti scientifici, il forte sospetto (o la quasi certezza, dipende dal punto di vista) che inquieta i fisici teorici è che, in realtà , l’universo al 90-95% sia composto da materia oscura di cui non sappiamo quasi nulla (se non, appunto, ciò che è stato proposto dalle congetture teoriche seguite ai calcoli sperimentali), a partire da come questa interagisca con la materia “ordinaria”. I dati sull’espansione dell’universo, d’altronde, non lasciano spazio a molti dubbi e sembra davvero che la stragrande maggioranza della materia che ci circonda, in realtà , sfugga alla nostra capacità  di osservazione.

Lo strano caso dei Muoni

Le ricerche che avvengono all’interno degli acceleratori di particelle a volte possono regalare sorprese inattese che portano le certezze teoriche dei ricercatori vicine al punto di rottura.

Recentemente, ad esempio, nel Fermilab, un acceleratore di particelle situato vicino Chicago, sono stati osservati degli strani comportamente nei “muoni” – particelle elementari simili agli elettroni con carica elettrica negativa – che non sarebbero in linea con quanto previsto dai modelli fisici di riferimento. Se le anomalie dovessero essere confermate ciò vorrebbe dire che a livello subatomico potrebbero esistere forze e particelle di cui ancora non siamo a conoscenza e ciò implicherebbe che… beh… come dirlo in parole semplici? Semplicemente che c’è il rischio concreto che i libri di fisica debbano essere in buona parte riscritti!

Ovviamente bisogna andarci piano con i facili entusiasmi, perchè è ancora viva nei ricordi della comunità  scientifica la gaffe avuta dai ricercatori del CERN che nel 2011, a seguito di alcuni errori di misurazione, avevano affermato che i neutrini fossero in grado di viaggiare più veloci della luce. Nessuno vuole correre il rischio di ripetere quegli errori (che “fecero cadere” parecchie teste) ma ogni dubbio è già  di per sà© una scoperta e il solo accertamento di un errore di calcolo o di misurazione parta ad un naturale affinamento dei metodi di osservazione.

L’utilità  della ricerca nel campo della fisica subatomica

Gli scettici sull’utilità  di queste ricerche cervellotiche con cui abbiamo aperto l’articolo, diranno:

ma quali sono i risultati tangibili di queste ricerche costosissime? la gente continua a morire di fame e voi giocate a ricercare cose inutili!

Ovviamente questi laureati su Facebook con master su Tic-Toc e dottorato di ricerca su Instagram, ignorano che la fisica subatomica è già  da qualche anno impiegata nel campo medico per la cura di alcune malattie o per la creazione di alcuni farmaci. Cosଠcome ignorano che scovare nuove particelle e nuove forze (come nel caso del muone di cui abbiamo poc’anzi parlato) può, di riflesso, portarci alla conoscenza di nuovi modi per sfruttare l’enorme energia contenuta all’interno di ogni singolo atomo di cui è composto l’universo e, con più energia, potremmo permetterci una tecnologia più efficace economica e, magari, più pulita.

Ma ai “laureati sui social” questo non interessa, loro vogliono usare la tecnologia, vogliono usare l’energia, ma non vogliono che vengano condotte (e quindi pagate) le ricerche per ottenerle perchè “quei soldi vanno impiegati per fare altro” (direbbero loro), ignari del fatto che “quell’altro” si può fare solo grazie alla ricerca. “Botte piena e moglie ubriaca” si dice dalle mie parti… ma a me piace continuare a parafrasare Dante “Fatti non foste a viver come bruti ma per seguir virtute e canoscenza” e mi accontento anche se una ricerca come unico risultato ci da la semplice conoscenza di un fenomeno per noi inutilizzabile o del tutto inutile perchè capire che una cosa è inutile è di per sà© una conoscenza utile.

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