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Come sbloccare un telefono Samsung con un dito stampato in 3D

Moltissimi smartphone presenti sul mercato sfruttano, come saprete, il sensore d’impronta come sistema di protezione. Si tratta di un metodo piuttosto efficace, anche se, a differenza delle password, non può subire modifiche e viene lasciato su ogni superficie con cui entriamo in contatto, senza neanche rendercene conto.

Questo sistema di protezione è ampiamente sfruttato dagli smartphone dotati di tasto home, mentre l’aumento dei dispositivi “tutto schermo” rischia di comprometterlo; in questa tipologia di dispositivi, il sensore d’impronta è stato collocato nella parte inferiore dello schermo (e non coincide con il tasto home, di cui tali smartphone sono, appunto, sprovvisti): in questo modo non vi è la necessità  di occupare lo spazio frontale e si permette allo schermo di occupare tutta la superficie del dispositivo.

La scelta di collocare il sensore d’impronta nella parte inferiore dello schermo presuppone la rinuncia del funzionamento capacitivo, che è quello tradizionalmente utilizzato nei dispositivi dotati di questo sistema di protezione. Viene invece adottato un sistema ultrasonico, il cui sensore d’impronta può essere beffato. Come? Usando una copia dell’impronta digitale, generata con una stampante 3D!

Un dito stampato in 3D può sbloccare un telefono Samsung

A dare prova di come il sistema di protezione di un sistema ultrasonico possa essere beffato ci ha pensato Darkshark, un informatico che ha caricato online un video, nel quale ha mostrato come sbloccare uno smartphone Samsung “tutto schermo”.

https://imgur.com/gallery/8aGqsSu

Per farlo, Darkshark ha usato una lamina di plastica, sulla quale ha creato un’impronta del proprio dito, che era stata precedentemente recuperata da un bicchiere, al quale aveva scattato una foto con uno smartphone qualsiasi. Successivamente, ha usato Photoshop per modificare la foto e per aumentarne il contrasto, dopo di che ha impiegato il software 3DS Max 3D per generare dei rilievi tridimensionali. Darkshark ha concluso il processo usufruendo di una stampante 3D Anycubic Photon a resina, dal prezzo di mercato di circa 500 dollari, con la quale ha stampato la lamina con la finta impronta. Tempo necessario: meno di quindici minuti.

Questa tecnica, che è stata ricreata in meno di quindici minuti, può essere appunto utilizzata soltanto con i sensori ultrasonici, in quanto i sistemi capacitivi, quelli tradizionali, si accorgerebbero immediatamente della falsa impronta. Scoprirebbero il bluff a causa della resistenza elettrica dell’impronta, che è differente rispetto a quella della pelle.

I limiti dei sensori di impronta come sistemi di protezione

Una prova del genere è molto importante, in quanto ha il fine di dimostrare i limiti dei sensori di impronta sfruttati dai nuovi dispositivi ultrasonici. Avere la garanzia di una protezione efficiente è invece essenziale, dal momento in cui moltissime app di gestione del denaro, come PayPal, le app delle banche oppure quelle di micropagamento, oggi si basano sul sensore d’impronta.

La dimostrazione che l’efficacia di questi sistemi di protezione è limitata consente agli utenti di non riporre cieca fiducia sul sensore di impronta e quindi adottare una seconda forma di protezione, come ad esempio un tradizionale PIN. Una soluzione drastica sarebbe quella di acquistare unicamente smartphone dotati di sistema capacitivo, e non ultrasonico, con sensore tradizionale posto sulla parte inferiore dello schermo, sul tasto home. Un’altra soluzione è data dall’acquisto di smartphone, i cui produttori abbiano scelto di spostare il sensore d’impronta sul retro dello schermo: a discapito dell’estetica, si continua a garantire l’efficacia tradizionale di questo sistema di protezione ormai ampiamente utilizzato.

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