Che cosa succederebbe se Facebook o qualsiasi altro social analogo cambiasse completamente i contenuti del feed che vediamo ogni volta che lo apriamo? Immaginiamo di essere un italiano tifoso di una squadra, che non sopporta gli atteggiamenti razzisti e che si ritrova contatti che aveva silenziato e contenuti che lo fanno inorridire solo a leggere i titoli. Fermo restando che ci sarebbe da discutere sul come affrontare la questione da un punto di vista empatico, è sicuramente una domanda interessante: lo è ancora di più da quando lo sviluppatore di Unfollow Everything (l’addon per Google Chrome atto a favorire una forma di digital detox, che poi si traduceva, in sostanza, in un wall di Facebook resettabile a proprio piacimento) è stato bannato definitivamente dalla piattaforma.
Esiste addirittura un articolo scientifico che ha affrontato sperimentalmente il problema, dimostrando che una modifica del feed e del tono degli aggiornamenti che guardiamo “in automatico” sui social (in realtà addestrando un algoritmo di machine learning a darci quello che “davvero” ci piace ed è commercialmente sfruttabile) finiva per indurre un effetto psicologico sull’utente noto come contagio emotivo.
Tre studi indipendenti, nello specifico, sono stati condotti in merito, tutti mediante Facebook (attualmente Meta) ed hanno dimostrato che:
- il contagio emotivo avviene anche mediante comunicazione testuale, ovvero via chat;
- sembra esistere in esso una forma di correlazione all’uso dei social (correlazione che non vuol dire causalità , cioè non è detto che i social siano l’effettiva causa del problema);
- le persone sembrano in grado di prevedere le reazioni emotive dei propri contatti, espressi in forma di emoticons ad esempio, anche a distanza di giorni;
- non ci sono prove sperimentali che provino un legame di “contagio” tra le emozioni o gli stati d’animo in assenza di interazione diretta tra sperimentatore e soggetto target.
Gli status emotivi di rabbia, tristezza e via dicendo possono pertanto essere soggette a contagio emotivo, portando gli utenti dei social a condividere emozioni senza che nemmeno se ne rendano conto (durante il 2020, del resto, abbiamo avuto discreta ed esasperante prova di ciò, anche a causa dell’aumento della permanenza sui social network). Le emozioni “passabili” possono essere sia positive che negative, da quello che dimostra lo studio, per quanto il fatto che ciò avvenga in modo sistematico rimane controverso.
In particolare, poi, è stato visto che in risposta ad una riduzione espositiva a post Facebook “ottimisti”, venivano pubblicati più contenuti “pessimisti” che non il contrario. E naturalmente, anche viceversa, a dimostrazione di come l’umore e lo stato d’animo siano condizionati dall’ambiente anche se, come nei caso dei social, si tratta di un ambiente virtuale. In conclusione l’articolo dimostra come le emozioni dei nostri contatti finiscano per influenzare il nostro umore, ed è interessante notare come non serva necessariamente l’interazione diretta per farlo, e che basti la semplice osservazione del mondo che ci circonda. Photo by Nicholas Green on UnsplashÂ
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