A quanto pare la polizia di Raleigh (Carolina del Nord, USA) possiede una procedura consolidata per richiedere i dati di geolocalizzazione direttamente a Google, cioè le informazioni sugli spostamenti effettuati da chiunque abbia installato le Google Maps sul proprio telefono (Android, Windows, iOS).
Il caso evoca in parte quanto già avvenuto in passato da parte delle autorità dell’FBI, che avevano richiesto alla Apple di sbloccare (crackandolo, in sostanza) un iPhone di proprietà di uno dei responsabili della strage di San Bernardino; l’azienda si era opposta, affermando giustamente che un crack creerebbe un precedente in grado di bucare qualsiasi dispositivo (anche di utenti del tutto innocenti), e si potrebbe utilizzare per attacchi informatici molto pericolosi. Sul caso divenuto poi noto come FBI – Apple encryption dispute non ci sono informazioni certe su come sia andata a finire, ma a quanto pare l’FBI sarebbe riuscita a sbloccare da solo il dispositivo (un iPhone 5S), ma non è chiaro se la falla sia generalizzata (ufficialmente non lo sarebbe), se siano in grado di replicarla anche su altri telefoni e se le funzionalità accessibili siano limitate o meno.
In questo caso la situazione, pur presentando tratti simili, sarebbe peraltro molto diversa, anche perchè le richieste sarebbero continue e non relative ad un caso specifico, senza contare che un criminale eviterebbe comunque, data la pubblicità enorme della notizia, di portarsi dietro uno smartphone con Google Maps e geolocalizzatore attivo. Di fatto, la richiesta che riguardarebbe account Google localizzati in un’area di 70 km quadrati (l’originale Google accounts located within the geographical region defined as being within 150 meters of the GPS coordinates, per cui ammesso che 150m sia il raggio del cerchio, l’area sarebbe A = 3.14 x 150 x 150 = circa 70 km 0.07 km2, una dimensione più contenuta di quello che sembra). Il rischio per la sicurezza potrebbe essere quello di prelevare, almeno potenzialmente, molti più dati di quelli effettivamente necessari all’indagine – anche se Google afferma di fornire volta per volta i dati davvero necessari, e di declinare le richieste troppo generiche.
Già nel 2016 era stato pubblicato di un caso simile, e non sarà certamente l’ultimo a quanto pare.
(fonte)
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