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SEO, alcuni suggerimenti ed un vademecum per gestirla al meglio sul proprio sito web

La SEO – Search Engine Optimization, che in italiano significa “Ottimizzazione per i motori di ricerca“, è un settore tanto complesso quanto affascinante: mediante un mix di strategie di marketing, piccole accortezze e contatti di buon livello rende possibile aumentare la visibilità  di un sito su Bing e Google, principalmente.

Per agire in questa direzione ed attuare le migliori strategie, sono disponibili molti approcci che variano sulla base del sito in questione, e che si riconducono a tre tipi di “azioni”:

  1. acquisizione / forzatura di link in ingresso al sito – cosiddetta link building;
  2. incremento del numero di contenuti che interessino l’utente – cosiddetta link baiting o link earning;
  3. attività  progressiva di tuning per i title, meta description ed elementi HTML vari delle pagine web del sito.

Queste attività  concorrono a definire una politica o strategia SEO che poi, alla prova dei fatti, può rivelarsi utile o meno (e non è dato saperlo prima di averci provato, di norma).

Fare ottimizzazione di un sito sui motori di ricerca, oggi, significa investire una parte del proprio tempo / capitale in formazione SEO, oppure nelle più note consulenze.

Cos’è la SEO?

man-159771_1280In un certo senso, è un mix di tecnica e strategia: tali operazioni si effettuano, nel migliore dei casi, mediante estensioni fornite dai più comuni CMS, come Magento o WordPress), ma la SEO nella pratica è il più delle volte gestione di contatti, valutazione di link opportunities e marketing finalizzato.

Ho provato a dare una definizione concisa, qualche anno fa, sul blog di Taverniti che vi ripropongo qui:

La SEO riguarda l’ottimizzazione (o massimizzazione) della pertinenza delle pagine di un sito rispetto ad un set di chiavi di ricerca: in termini estensivi può essere considerata come l’attuazione di strategie di marketing finalizzate all’incremento di conversioni, visite o popolarità  del portale.

Il mito della “prima posizione”

“Indicizziamo al meglio il tuo sito”, “ti garantiamo la prima posizione”, “fatti trovare dagli utenti di Google in prima pagina”: sono questi solo alcune delle frasi utilizzate dal marketing SEO. Ma è Google la prima ad affermare che “Nessuno può garantire il raggiungimento della prima posizione nei risultati di Google“: e non potrebbe che essere cosà¬, per una questione di logica e di coerenza. Se qualcuno potesse garantire il raggiungimento della prima pagina, Google non avrebbe più senso.

Del resto, la valutazione delle ricerche da ottimizzare è un’attività  niente affatto banale, e basta controllare il proprio Webmaster Tools per accorgersene.

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In questo esempio consideriamo la query di ricerca “filezilla digitalocean” dalla sezione “Traffico di ricerca“, “Query di ricerca“: possiamo vedere come la “posizione media” (che coincide, almeno in media, con l’effettiva prima posizione su Google del nostro sito) sia effettivamente la numero 1, quindi la prima.

Dovremmo essere soddisfatti? No, perchè nella valutazione intervengono due fattori negativi:

  • anzitutto la query in questione non ha impression, o meglio non ne ha abbastanza (solo 2): questo significa che nessuno visualizza quella ricerca perchè nessuno è interessata a farla, o troppe poche persone lo fanno.
  • in secondo luogo, ancora più importante, la pagina in questione non viene cliccata, cioè gli utenti preferiscono scorrere oltre la prima posizione e cercare quello che vogliono in seconda, terza, quarta (e via dicendo) posizione.

In questi termini, e spero di aver reso l’idea, la prima pagina su Google è inutile per il nostro business: si possono riportare casi, frequentissimi, di query di ricerca critiche che possiedono ad esempio 6000 impression (una buona quota) ma nessun click (CTR nullo), pur avendo una posizione media 1 o 2. Anche qui, non serve a nulla.

In altri casi, la scelta delle query viene fatta ad arte dai SEO (semplificando, più le frasi di ricerca sono lunghe più facile è arrivare in prima posizione) in modo da vantare di avere dei privilegi con Google, di essere particolarmente bravi e cosଠvia.

A volte, quindi, si pensa (sbagliando) che fare SEO consista “solo” nel fare arrivare delle pagine del nostro sito in prima pagina per una ricerca che ci interessa, come potrebbe essere “comprare tablet” o “smartphone economici” per un sito che vende smartphone e iPad, ad esempio. Ma chi crede questo, di fatto, non ha le idee troppo chiare in merito, perchè nella SEO intervengono vari livelli di problematiche, mentre si può pensare di finalizzare le attività  all’incremento di vendite, e questo non per forza arrivando in prima pagina. Soprattutto nei casi di CTR nullo: se nessuno visita il nostro sito, a cosa serve aver forzato il posizionamento?

Si parla fin troppo di “aumentare la visibilità ” in astratto in questi casi, ma se l’attività  SEO non si finalizza ad una strategia commerciale precisa, rischia di essere solo tempo (e denaro) perso.

Siti di e-commerce: i migliori (ed i più difficili) da ottimizzare

I siti di e-commerce sono, per ovvie ragioni, quelli su cui è più comune fare SEO, e anche più agevole misurare i risultati, faccio un esempio:

  • prima della consulenza SEO: 10.000 visite al mese, 5 vendite / mese
  • dopo la consulenza SEO: 20.000 visite al mese, 20 vendite / mese

In linea di massima si possono stabilire molte altre metriche per valutare l’efficenza di una campagna SEO, l’importante è avere le idee chiare su cosa propone il nostro sito, quale sia il suo valore aggiunto e mettersi d’accordo fin da subito su tempistiche ed obiettivi. Sembra quasi scontato scriverlo, in effeti: ma oltre la metà  delle consulenze SEO di cui ho sentito finora (e su cui ho lavorato con varie aziende) queste cose neanche le considera, purtroppo. Di norma, inoltre, i proprietari dei siti di e-commerce si aspettano purtroppo di fare SEO a prezzi stracciati, sottovalutando la quantità  di lavoro che è necessaria in queste circostanze (molto più, ad esempio, di quello atto a posizionare l’articolo di un blog su Google).

Metodi per fare SEO

Questi anni hanno visto, dal punto di vista dei SEO, numerosi cambiamenti nell’approccio con Google, che da tempo si è accorto che molti consulenti fanno i furbi ed ha, per questo motivo, preso numerose contromisure. I vari aggiornamento Panda, Penguin, Hummingbird e cosଠvia hanno mostrato un’azienda che, negli anni, si è barricata dietro i propri algoritmi di ranking, lasciando sempre meno spiragli per farci lavorare. Per questo motivo in alcuni settori commerciali molto pieni di spam, a meno di non avere risorse consistenti di tempo e denaro, è diventato quasi impossibile lavorare.

Bisogna sempre stare molto attenti a come si fa SEO, perchè strategie troppo “brutali” o poco raffinate possono fare più danni che altro.

Un corso SEO può aiutare qualunque sito?

La risposta breve è “no“: contrariamente a quello che vogliono farvi credere, nessuno fa miracoli. La SEO è un processo che richiede più tempo e risorse di una campagna Adwords, ad esempio, ma è una strategia (tra le pochissime) che può portare a risultati duraturi. Le campagne a pagamento su Facebook, gli annunci Adwords, le strategie di social media marketing sono validissime, ed hanno requisiti tecnici meno stringenti della SEO, anche se (di contro) non sempre portano risultati duraturi nel tempo. Un esempio classico sono le campagna che si rivelano virali: portano visite nell’immediato, ma a differenza delle strategie di ottimizzazione sui motori di ricerca sono piuttosto “volatili”.

Per fare SEO è necessario avere un sito davvero buono, utile ed originale da promuovere, altrimenti è solo tempo/denaro perso.

Cosa rende questo settore cosଠcomplicato

Non sempre fare SEO è complesso, visto che ci sono numerose “nicchie” – a volte decisamente improbabili dal punto di vista commerciale – che permettono di ritagliarsi un proprio spazio su Google puntando, di solito, a parole chiave molto specifiche, ad esempio “macchine da cucire economiche” piuttosto che “macchine cucito” (molto più difficile) – oppure giocando su corrispondenze tra dominio e parola chiave (es. registrare o comprare all’asta parola-chiave.com). Ma se ci tuffiamo su settori commerciali grossi, c’è quasi da avere paura. Le aziende grosse investono moltissimo nella SEO, e tendono quindi a monopolizzare il mercato di Google a discapito dei medio-piccoli.

La complicazione della SEO è legata, purtroppo, alla massa di mistificatori – quelli che SEO Theory definisce “the pseudoscientific brigade” – che ricorre alle stesse strategie che mai si dovrebbero usare (article marketing massivo, il più delle volte, cioè riscrivere più volte gli stessi articoli e postarli in massa sul web). Il problema è che questi individui (a volte sono aziende molto ben organizzate) sembrano avere ragione, alla prova dei fatti, perchè appaiono nelle prime pagine dei risultati di ricerca, nonostante usino metodi non sempre corretti o eticamente impeccabili (una parte di blog SEO molto consistente travisa spessissimo la statistica, secondo l’assunto che se una cosa funziona su un campione di siti, funziona sempre).

Propongono landing page ingannevoli, forzano il traffico sui siti promossi mediante banner più simili a malware che ad altro, ed usano software per produrre link in entrata in massa, ad esempio. Finchè Google non se ne accorge, di fatto possono fare i “guru di internet” quando gli pare… purtroppo.

Quali strategie attuare nel tempo?

Le più comuni strategie SEO, di per sè, come link building e via dicendo restano valide ancora adesso per quanto, alla fine dei conti, sia necessario intervenire quasi sempre con metodologie specifiche per ogni sito.

Cosa vuole dire? Se sto lavorando su un sito di giochi, ad esempio, e cerco di migliorarne la visibilità , posso prendere contatti per ricevere link in entrata da portali analoghi, ma se passo ad ottimizzare un sito che vende servizi online come gli SMS via internet, per dire, le cose cambiano di parecchio.

Dipende sempre dal settore, e capire più di qualcosa nello stesso è necessario per lavorarci bene.

La mitologia del PageRank

Ho fatto varie consulenze SEO in questi anni (settore web hosting, come è facile immaginare), ed il più delle volte è stato più complicato gestire il rapporto col cliente che fare le operazioni richieste di per sè: il cliente è fuorviato quasi sempre da mille voci discordanti, Google ha detto questo ed il guru X dice “si fa cosଔ, e non è agevole lavorare serenamente in questo ambito.

Questo dovete tenerlo presente se volete fare i SEO per lavoro, perchè l’aspetto “Public Relationship” unito a “manteniamo la calma” è importante, ed incredibilmente sottovalutato. Sapersi porre nel modo giusto col cliente, oltre a sviluppare migliorate doti comunicative, aiuta molto sia a massimizzare le consulenze che a presentare i risultati nel modo più corretto.

In questo ambito, moltissimi ragionano – e ragioneranno sempre, in molti casi – sulla base di due semplici parametri, che sono il PageRank e l’attributo nofollow.

Il PageRank è forse il top della mistificazione in ambito SEO, e questo perchè c’è un problema di fondo da diversi anni: nessuno è in grado di calcolarlo con certezza (il dato reale usato da Google non è noto pubblicamente), ed i dati che leggete in giro sono semplicemente delle stime fornite dai vari siti.

Nelle aste di domini, ad esempio, si presenta spesso questo dato come “Fake PageRank” – che significa “PageRank falsato” – poichè deriverebbe, tra l’altro, da un mix di redirect ed operazioni poco ortodosse effettuate dalla persona che si è occupata della SEO, il tutto per dare l’impressione che il sito valga più di quanto vale effettivamente.

Ragionare in termini di PR, del resto, equivale ad escludere tutti gli altri fattori che influiscono invece sulle valutazioni che probabilmente fa Google o Bing nel rankare una pagina: il PageRank assume che le pagine meglio posizionate siano le più linkate dall’esterno. Ma se fosse tutto cosଠscontato, sarebbe davvero semplice falsare il meccanismo: se siete ancora convinti che funzioni cosà¬, invito sempre a posizionare una pagina di un vostro sito basandovi esclusivamente sul PageRank. Buon per voi se ci riuscite, per carità , ma valutate con attenzione anche l’aspetto legato all’economia: per falsare il PageRank, a meno che non siate particolarmente bravi, è necessario quasi sempre comprare link (pratica non a caso deprecata da Google). La spesa che effettuerete è proporzionale al risultato economico (ritorno di investimento, ROI) che sperate di ottenere? Quasi sempre, a conti fatti, quello che rientra agendo cosଠè pressappoco uguale a quando si è investito – tradotto: vi rientra quanto avete spese, ricavi nulli, per cui è chiaro che in questi casi non ne vale la pena, ed il valore aggiunto dalla SEO diventa pari a zero.

La mitologia del Domain Authority (DA) / Page Authority (PA)

Moz ha proposto, da qualche tempo, un tool che permette di stabilire Domain e Page Authority di un dominio o una pagina web: questo ha portato ad una classificazione dei siti web basata sul calcolo di questo numerino “magico”, a cui molti danno credito perchè al PageRank, quantomeno, non danno più retta. Sono da sempre molto critico nei confronti di questo approccio: prima di tutto, perchè non è noto come sia calcolato. Non so voi, ma io non mi fiderei troppo di un numerino tirato fuori dal cilindro di autorità  solo apparente, tanto più che – come scrivono nella pagina ufficiale – “Since Google takes a lot of factors into account, a metric that tries to calculate it must incorporate a lot of factors, as well” cioè “dal momento che Google introduce un sacco di fattori [nella valutazione del ranking], una metrica che cerchi di riprodurre questo meccanismo dovrà  tenere conto di un sacco di fattori”. Peccando leggermente in fatto di modestia, Moz assume di poter riprodurre, in modo approssimato ma (secondo loro) credibile, il comportamento di Google: posso certamente dare credito all’impegno (Moz è uno dei blog di settore più autorevoli e seri al mondo, senza dubbio), ma credo che questo modo di ragionare sia fuorviante.

Perchè non c’è da fidarsi del PA / DA? Prima di tutto, perchè non si rendono conto che influenzano “alla cieca” il lavoro altrui (troppi clienti danno credito a questi indici, che spesso sono in totale discordanza con le valutazioni che un SEO fa manualmente). In secondo luogo, se non dicono come viene calcolato precisamente quel valore, per me è un numero utile quanto il PageRank di Google. Infine, mi sembra poco solida la base di partenza, perchè sarebbe come dire che io possa replicare il comportamento del motore di una macchina perchè sono un meccanico e so, “pressappoco“, che ci sono un sacco di pezzi generici che interagiscono tra loro.

La mitologia del nofollow

Per evitare di falsare il PageRank – ma il metodo in questione serve anche, fattivamente, a tracciare i link affiliati e quelli di natura commerciale – si ricorre solitamente all’attributo nofollow, altro argomento sul quale è molto comune abusare, in questi anni. Un link nofollow viene considerato “a prova di Google”, un lasciapassare per fare quelo che si vuole: personalmente ho visto diversi casi di link problematici (= causa di una penalizzazione) pur essendo in nofollow.

A forza di passare le giornate a scrivere sui blog di “come si fa SEO” – invece di farla sul campo, infatti, il nofollow è diventato il refugium peccatorum, il “modo di fare” che offre sicurezza e tranquillità  e che ci auto-assolve da qualsiasi responsabilità  e ci fa sentire autorizzati a commettere il peggio delle nefandezze: non è cosà¬! Ragionare in termini esclusivi di nofollow, PA/PD e PageRank significa, nella SEO moderna, astrarsi completamente dal contesto, non considerando fattori invece importantissimi come, ad esempio, il tuo modello di business, con il quale la SEO deve per forza di cose integrarsi.

Per fare SEO, ci vogliono competenze, analisi del contesto, valutazione di strategie, misurazione dei risultati: non numeri che sembrano quasi casuali, a confronto.

Meglio un corso o una consulenza SEO?

Se siete arrivati a questo punto (bontà  vostra), potreste chiedervi se sia meglio un corso per imparare la SEO da soli, piuttosto che una consulenza: posso confermare che i corsi vanno parecchio in Italia, dove (probabilmente per ragioni storiche, miste alla paura della crisi economica) si sta sviluppando la tendenza al “fai da te.

Se faccio le cose da solo, ho l’illusione di stare al sicuro e non devo affidare le mie “cose” ad uno, anche se più bravo di me, che “non so quello che farà “.

Quello che il comico Paolo Rossi, un po’ di anni fa, sbeffeggiava come il “ghe pensi mi“, l’italiano medio che crede di sapere e potere fare di tutto, incluse le consulenze SEO con la stessa convinzione con cui, ad esempio, saprebbe aggiustarsi la macchina da solo (l’esempio del meccanico di prima è tutt’altro che casuale), cambiare una plafoniera, montare un armadio o programmare un computer. Sono comunque dell’idea che, in moltissimi casi, il corso SEO abbia una valenza più interessante per il cliente della consulenza, soprattutto per chi preferisce investire una tantum.

In certi contesti, comunque, le consulenze SEO non sono molto diffuse, per quanto nei settori commerciali più avanzati (ad esempio le scommesse online) siano quasi all’ordine del giorno, creando enormi fette di mercato in cui è difficile per un principiante mettersi all’opera dopo un semplice corso. Fermo restando questo, un corso SEO può servire anche solo a chiarirsi le idee, ad iniziare a sbloccare certe situazioni, a diventare più competenti (secondo me conoscere la SEO oggi è parte di un uso consapevole del web) a migliorare le conversioni del proprio sito anche in minima parte e, perchè no, a migliorare la comunicazione con un eventuale consulente (quelli che si definiscono, con una terminologia che non amo particolarmente, “SEO specialist“).

 Spero che la lettura dell’articolo non vi abbia annoiato: so bene quanto sia difficile parlare di queste cose in Italia, considerando che è molto raro che scriva articoli di questo tipo proprio perchè, tra l’altro, i blog SEO tendono a creare un meccanismo perverso, che personalmente non amo troppo, secondo il quale chi legge blog SEO diventa “equivalente” ad un SEO.

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Photo by Sean MacEntee

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