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Hosting colocation: che cos’è, e a cosa serve

Introduzione alla colocation

Quando si parla di servizi di web hosting, la “colocation è uno dei concetti più avanzati e maggiormente flessibili per chiunque punti ad offrire servizi molto frequentati e reperibili: si tratta semplicemente di servizi hardware e software di alto livello, che consistono nel noleggiare ad un cliente una vera e propria macchina fisica. A differenza di quanto avviene ad es. per le VPS (V”irtual Private Server”, servizi in cui noleggiamo delle macchine virtuali a prescindere da quelle fisiche) nel caso della “colocation”, che alcuni chiamano anche “housing”, è possibile fare in modo che “il cliente possa disporre di una macchina fisica vera e propria”, da poter controllare a distanza via terminale SSH e/o desktop remoto.

Colocation nella pratica

In termini estensivi – ma ciò, nella pratica, dipende anche da “come questi servizi vengono poi implementati nella pratica – per co-location si intende la possibilità di distribuire lo stesso servizio su più macchine fisiche (non virtuali: parliamo di veri e propri computer con hardware dedicato, CPU e RAM), al fine di facilitare e snellire la gestione dei servizi (ad esempio web, gestionali, e via dicendo) e da garantire la massima disponibilità al servizio stesso, anche nella malaugurata ipotesi di malfunzionamento, rete offline o non funzionante.

Cosa da’ in più rispetto ad un hosting classico

Quello che offrono i servizi di “colocation rispetto ai classici servizi di hosting- ovviamente ad un prezzo maggiorato – è presto detto: connettività potenziata, rete elettrica protetta, continuità del servizio, in molti casi addirittura temperatura costante e controllate. In molti casi possiamo trovare server in colocation che dispongano, per particolari applicazioni delicate dal punto di vista della privacy e del settore, di accessi controllati e (in alcuni casi) addirittura vigilanza armata.

Come viene gestita la colocation

In genere la colocation viene gestita mediante appositi “rack”, che sono i classici “œarmadi” di server che vengono allocati fisicamente dentro appositi slot, che possiedono una forma di computer desktop e che si possono collegare a switch, router ed analoghi dispositivi di rete analoghi. Di solito, poi, il controllo di questo genere di soluzioni è adibito mediante accessi controllabili dall”™esterno, a cui solo il proprietario – giustamente – è in grado di accedere mediante credenziali apposite.

Housing e colocation

L”™housing, pertanto, è una frontiera dei servizi di web hosting che non ha mai trovato, in verità, un riscontro troppo risonante in termini di popolarità: questo è avvenuto, a mio parere, per una varietà di ragioni, a mio avviso, che passano soprattutto per la non adeguata conoscenza del settore (per cui bisognerebbe investire maggiormente nella formazione, anche in questo ambito), spesso illuso e malinteso dalle solite offerte di hosting condiviso e server virtualizzati affollati, difficili da gestire in tanti casi pratici – ed in qualche modo ostici per la maggioranza delle persone che vorrebbe metterli a disposizione. Del resto chi, quale soggetto commerciale o ammininistrativo ha davvero bisogno di un housing oggi? è un punto interessante da approfondire, ci ho pensato per un po”™ in questi giorni – e questo, in definitiva, è quanto esce fuori dalla mia riflessione.

Conclusioni

Da un certo punto di vista, partirei dal fatto che siamo piuttosto saturi di soluzioni “cloud – e non è che sia per forza un bene, a pensarci: l”™idea di affidare a computer “œdi estranei” – controllati quanto vogliamo, ma a volte (specie sui servizi offerti dalle startup) lontani geograficamente, gestiti in modo ambiguo anche dal punto di vista legale, abbastanza carenti come sicurezza – ha finito, tragicamente, per far sviluppare diffidenza verso qualsiasi cosa non sia cloud, oltre che ha finito per rendere quasi superata l”™idea di “colocation”, neanche fosse un residuato “vintage” anni ’90.

In realtà le soluzioni ibride, come in altri settore dell’informatica, sono quelle che andranno comunque per la maggiore nei casi pratici, per cui cìè da aspettarsi che “sia più sicuro, affidabile (ed ovviamente costoso) memorizzare ed elaborare i propri dati su soluzioni di housing”. Dipende dalle situazioni e dai dati che si trattano, da chi ingegnerizza il software e via dicendo. Di fatto, poi, c’è da aggiungere che la sensibilità delle PA e delle aziende sta, almeno in parte, cambiando: a pensarci, è bastato un semplice caso come Cambridge Analytica (nulla di più grave di altre rivelazioni di Snowden qualche anno prima, solo con molto più clamore, accolte con maggiore sensibilità dalla comunità di non addetti ai lavori) a rimarcare l’importanza di disporre di soluzioni realmente sicure, e di fare attenzione a dove memorizziamo i nostri dati, fisicamente.

Solo la colocation è in grado, in questo, di sviluppare la giusta sensibilità per definizione: e allora valutiamo di farne uso, a mio avviso, almeno per i casi di app che trattano dati molto sensibili come quelli sanitari, medici o personali dei nostri utenti finali.

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