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Perchè l’industria dei microchip è in crisi

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I circuiti integrati o microchip sono comuni nella fabbricazione di semiconduttori in silicio (cosiddetti MOS), e da quando vengono adottato non hanno mai conosciuto crisi. Dalle loro origini negli anni ’60, infatti, si è riuscito a ridurne notevolmente le dimensioni – tanto che un microchip moderno può possedere miliardi di transistor in pochi millimetri quadrati. L’evoluzione vertiginosa del microchip, simboleggiata e formalizzata dalla legge di Moore che ne formalizza empiricamente i costi, sembrava essere una delle poche certezze sul mercato.

Secondo un articolo pubblicato su Reuters, le cose stanno cambiando: i costi di produzione dei microchip sono aumentati negli ultimi tempi, e questo comporterà  dei ritardi nella consegna ad esempio di elettrodomestici che si basano sulla domotica. Non solo cellulari e computer sono infatti basati su microchip: l’insieme di microcircuiti in questione, costruiti in silicio, fanno parte della nostra vita quotidiana un po’ ovunque, incluse alcune auto di ultima generazione.

Proprio il settore motori è stato fortemente colpito dalla carenza di microchip, tanto che molte case automobilistiche (anche per via della pandemia e della conseguente compressione dei turni in fabbrica) hanno dovuto ridurre la produzione. àˆ il caso della Ford e del suo pickup F150, ad esempio, che ha dovuto pianificare di lasciare a casa i propri operai per 6 settimane anche per la rarità  e la carenza di questa componentistica. Nel caso degli elettrodomestici, la Whirpool ad esempio ha potuto soddisfare solo il 90% della domanda di mercato, sospendendo le richieste rimanenti proprio per carenza di questo prezioso componente. Anche la produzione di console per videogiochi ne ha risentito, rendendone quasi introvabili alcuni tipi delle stesse. In un mondo in cui il collezionismo è comunque praticato e piuttosto all’ordine del giorno, questo potrebbe finire per far lievitare i costi per gli appassionati sembra sulla base della rarità  di quel componente.

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Storicamente il microchip è sempre stato considerato scalabile e affidabile come pochi altri componenti elettronici al mondo: i circuiti integrati hanno rivoluzionato l’elettronica e sono finiti in qualsiasi tipo di dispositivo ed elettrodomestico, per via della facilità  di integrazione e delle dimensioni sempre più ridotte. Un circuito integrato presenta costi contenuti perchè è facile produrlo in scala (ad esempio mediante fotolitografia) senza dover costruire un transistor alla volta, e perchè le dimensioni ridotte fanno sଠche i consumi energetici siano sempre contenuti, al netto di prestazioni ottenibili addirittura crescenti. Al netto di questo, la loro fabbricazione presenta in genere dei costi considerevoli in fase di startup, e ciò ne rende conveniente la produzione solo in previsione di volumi di vendita molto elevati. Ciò spiega ulteriormente, se vogliamo, la problematica che deve affrontare l’industria moderna, mentre la ricerca potrebbe muoversi per provare a pensare ad alternative equivalenti. Cosa tutt’altro che facile, al momento, e questo soprattutto in una fase di transizione economica e sociale abbastanza importante come quella che stiamo vivendo.

Al netto di tutto, i governi non sono rimasti a guardare, e se la Cina punta all’indipendenza e all’autonomia anche in questo campo da anni, gli USA hanno subito puntato a rimpolpare il settore nei prossimi mesi, e dargli una spinta decisiva sotto la spinta di Biden. Colossi del settore come TMSC e Intel, al tempo stesso, hanno stabilito di effettuare maggiori investimenti nel settore.

(Foto di copertina: Di Kimmo Palosaari – OpenPhoto.net, Pubblico dominio, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=670348, fonte)

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