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Non solo algoritmi: Google può posizionare manualmente i siti che preferisce

Il mondo della SEO e dello studio delle SERP (le pagine di ricerca di Google come questa) è spesso soggetto di osservazioni, test, strategie ed analisi da parte degli esperti che, in modo più o meno attendibile, provano a capire perchè e con quali criteri i siti finiscano in prima pagina.

Come funziona la ricerca di Google (più o meno)

Da quello che sappiamo esistono due componenti di base per la valutazione dei risultati di ricerca:

  1. una parte algoritmica, che si fonda su Information Retrieval (IR), machine learning e fattori di posizionamento non noti ufficialmente, se non per grandi linee;
  2. una parte umana, affidata a dipendenti o quality rater di Google, che aiutano ad affinare i risultati ed intervenire sugli aspetti sui quali diventa difficile affidarsi ad un software per decidere cosa fare.

Questo duplice stadio di analisi, alla prova dei fatti, pur non essendo realmente tale – visto che gli stati intermedi di valutazione sono quasi certamente molti di più – permette a Google di raggiungere una sostanziale (con le dovute eccezioni, soprattutto negli ambiti local) raffinatezza nei risultati di ricerca, ma mette anche un’ombra inquietante sull’etica dell’azienda. Se Google controlla tutto, chi dice che non ceda alle pressioni delle aziende per far posizionare meglio di rispettivi siti? E se fosse possibile per loro posizionare manualmente anche siti che non lo meritano, o che non avrebbero gli attributi idonei per farlo?

Sà¬, Google può violare gli algoritmi che ha creato per posizionare i siti

Non c’è bisogno di scomodare troppo scetticismo a riguardo, visto che esiste un precedente apparentemente accreditato ed ufficiale: secondo un articolo del Wall Street Journal ripreso anche da Ars technica, infatti, il sospetto sarebbe fondato: secondo questo report i risultati di ricerca di Google potrebbero, in alcuni casi, essere più umani e meno algoritmici di quanto potrebbe sembrare a prima vista.àˆ un dato di fatto, e qualsiasi esperto del settore lo sa bene, che Google non si occupi più semplicemente di catalogare le informazioni del web, ma pensi molto bene anche a come presentare le stesse: se cerchiamo il nome di una persona famosa su Google, ad esempio, è plausibile che tutto quello che volevamo sapere fosse disponibile “no click“, riassunto in appositi snippet che, di fatto, impediscono e limitano la possibilità  che qualsiasi risultato venga cliccato. Secondo il report in questione, in particolare, attraverso un centinaio di interviste anonime a dipendenti di Google emergerebbe un livello di manipolazione dei risultati decisamente voluto e “umano”, soprattutto per via delle valutazioni (quality rating) che portavano spesso a far schizzare in prima pagina determinati siti, anche se non avrebbero mai avuto i “numeri” per farlo (numeri nel senso di backlink di qualità , struttura del sito, numero di citazioni e tutto quello che ogni SEO conosce a riguardo).

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Il caso della ricerca “perchè i vaccini causano l’autismo

Un caso clamoroso riguarda gli anti-vax, secondo il WSJ (il report originale è qui, ma è disponibile solo per gli abbonati): nel 2015, a quanto pare, venne rilevato che la query di ricerca (in inglese) “perchà© i vaccini causano l’autismo” (in inglese “how do vaccines cause autism“) portasse troppa disinformazione mediante vari siti complottisti che, per l’appunto, sostenavano questa causa. Almeno una persona all’interno di Google, a questo punto, sarebbe stata dell’idea di “far decidere” all’algoritmo (e molto probabilmente era vicina alle posizioni no vax), ma alla fine Google ha deciso di premiare manualmente il sito howdovaccinescauseautism.com, che non ha nemmeno un certificato HTTPS e riporta semplicemente la risposta “They f—ing don’t.” (non lo fanno, tradotto in italiano). Se la sostanza del caso è condivisibile perchè si tratta di problemi di salute che, se sottovalutati, possono portare a conseguenze gravi (e non dovrebbe servire scomodare Burioni per convincersene), rischia di diventare controversa per altre circostanze. Teoricamente, infatti, lo stesso ragionamento – alterare una SERP a mano sorvolando sul criterio che Google avrebbe usato normalmente – si sarebbe potuto applicare per modificare risultati in prima pagina sulla politica nazionale ed internazionale, con conseguenze altrettanto gravi.

Il rapporto difficile con l’antitrust

Già  a settembre di quest’anno era uscito fuori il caso dell’indagine antitrust condotta in diversi paesi, in cui Google era sospettato di avere scarsa trasparenza ed aver “favorito” il proprio prodotto Android nei risultati di ricerca e nelle ads pubblicitarie. La battaglia legale è comunque promossa da Ken Paxton, un avvocato repubblicano non certo noto per le sue simpatie verso l’azienda anche in passato. àˆ altresଠnoto che funzionalità  come i suggerimenti di ricerca di Google, del resto, non siano completamente automatizzati, e anzi evitino di mostrare suggerimenti o associazioni imbarazzanti, inappropriati, di natura allusiva o sessuale o che espongano dati sensibili nel suggerimento stesso (negli USA è stato fatto per le ricerche su Britney Spears, da noi prevedibilmente per qualsiasi VIP).

Di fatto, poi, Google conserva una serie di siti che periodicamente finiscono in blacklist per problemi di spam, o magari perchà© cercano di accaparrarsi traffico sfruttando la popolarità  di ricerche associate a parti anatomiche di attrici o attori. Lo fanno perchè, ovviamente, quei siti sono interessati a portare visibilità  ai banner ed agli inserzionisti che permettono loro di esistere, in molti casi: e finchè il modello di business sarà  basato sulla pura visibilità  non troppo profilata, questo fenomeno sarà  difficile da combattere. Soprattutto perchè, alla prova dei fatti, il fatto che una query non venga suggerita non significa che certi risultati di ricerca non siano ugualmente oscurati arbitrariamente: e se oggi succede per ricerche discutibili (nel plauso della maggioranza, probabilmente), domani potrebbe succedere per la ricerca di eventi storici che un eventuale regime potrebbe voler occultare. Ma senza scomodare per forza scenari fanta-politici basta ricordare un ulteriore fatto: nel report del WSJ si evidenzia come determinati interventi umani (ed alcuni filtri algoritmici, in parallelo) siano in grado di mostrare in modo adeguato sia le pubblicità  di Google Ads che i risultati Google My Business, con la possibilità  (citando testualmente) di “favorire le aziende grosse a svantaggio delle piccole”, cosa che – per dovere di cronaca va detto – Google ha sempre pubblicamente negato.

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Conclusioni

Difficile scendere in ulteriori livelli di dettaglio: Google, ad oggi, è piuttosto chiaro che faccia più o meno quello che vuole: che lo faccia per mantenere la propria posizione di primato assoluto nel settore, per non perdere la fiducia dei propri utenti o per motivi biecamente commerciali (o, ancora, per un mix delle tre cose) si trova comunque in una posizione ideale per farlo, ed ha ormai perso – parere personale – la propria immagine iniziale, nerd e progressista, in favore di una decisamente più seriosa, rigorosa e (solo apparentemente, forse) adulta.

E di fronte alla possibilità  che le SERP siano manipolate ad arte, comunque venga fatto, c’è soltanto da sperare che l’etica abbia sempre la meglio sul resto.

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