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Spotify contiene musica generata da un’intelligenza artificiale

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Lee Walker, Danni Richardson, Lesley Hart, Bailey Barnes sono nomi di artisti che probabilmente non diranno granchè alla maggiorparte di noi. Eppure sono presenti su Spotify, e vantano migliaia di esecuzioni ciascuno. Nulla di strano, in effetti, se si pensa che la maggioranza di noi ascolta musica “di nicchia” e che la “nicchia” stessa assume una valenza ben diversa da quella del jazzista snob o del metallaro elitario che ascolta quello che ama: tutto è nicchia, ormai, con milioni di micromercati che caratterizzano gran parte del movimento legato alla diffusione di qualsiasi cosa, o quasi, su internet.

Il punto è che gli artisti citati sembrano essere letteralmente fake, non associabili a esseri umani con strumenti in mano, mentre i brani che compaiono su Spotify sono legati a meccanismi di generazione di brani, forse realizzati mediante software di intelligenza artificiale (AI).

La scoperta è stata rilevata da Robin Sloan, un autore di libri e blogger molto attivo negli Stati Uniti. Il blogger stava seguendo i suggerimenti sul proprio account Spotify, fino ad arrivare ad una delle raccolte note come “radio” che vengono, per inciso, generate automaticamente dall’intelligenza artificiale del software. Suggerimenti di ascolto sulla base di quello che hai sentito in precedenza, in sostanza, molto utile per scovare musica nuova che possa piacere all’utente. Era arrivato così ad ascoltare tale Danni Richardson, un artista di cui è presente un singolo brano su Spotify, senza che null’altro fosse suggerito.

L’unica possibilità di continuare l’ascolto, a quel punto, era il suggerimento di un ulteriore brano noto come Romilda Gebbia. Il punto cruciale è che i brani suggeriti erano, letteralmente, sempre gli stessi, della durata di soli 45 secondi e con lo stesso tema musicale ripetuto all’infinito. Artisti diversi, centinaia di artisti diversi con lo stesso brano leggermente variato. Un piccolo frammento di musica elettronica caratterizzato da un breve ritornello, e poco più.

Ecco la playlist scovata da Sloan, che è stata condivisa mediante il suo blog: ascoltandola, si nota che il tema musicale sia sempre più o meno uguale.

Quelle riportate sono soltanto alcune delle playlist che sono state reperite, che sembrano essere centinaia, se non migliaia, distribuite su tutto l’archivio di Spotify. Il quale evidentemente accorpa i brani sulla base di somiglianze musicali e sonore, in modo più avanzato di quanto possa sembrare e a prescindere dal titolo. Ma per quale motivo è stato fatto tutto questo?

Le certezze dietro questo singolare comportamento dell’intelligenza artificiale non sono molto numerose, ma restano legate a quanto segue: qualche produttore musicale deve aver pubblicato una serie di brani di test, caratterizzati da un tema musicale comune sviluppato con strumenti e tonalità leggermente diversi tra loro. Veri e propri campioni musicali, distribuiti nel “cervellone” di Spotify, e caratterizzati da nomi degli artisti e dei brani sempre diversi e scorrelati tra di loro.L’autore del blog ritiene che siano stati inseriti per puro divertimento e per testare le capacità di accorpare brani simili, se non letteralmente identici, da parte dell’intelligenza artificiale.

Generare musica originale mediante software può diventare un modello di business? Sembrerebbe di sì, anche se è difficile averne la certezza assoluta. La cosa più interessante di quel singolare cluster di file musicali consiste sia nella tecnologia che è stata utilizzata per generarli se non, soprattutto, nel fatto che qualcuno potrebbe averci addirittura guadagnato. A livello di produzione musicale, infatti, verrebbe da pensare a qualcuno che abbia generato con software tipo Ableton Live tutta quella musica, in numerose variazioni a tema, o magari industrializzando il processo e sfruttando probabilmente software di intelligenza artificiale che possano inserirsi nel funzionamento di Spotify e ne possano trarre profitto. I brani analizzati conteggiano dalle 50.000 alle 200.000 esecuzioni totali, il che si tradurrebbe – secondo una stima molto orientativa – in qualcosa dell’ordine delle decine di migliaia di dollari pagati da Spotify all’artefice della cosa. Niente male, insomma, e degno di qualche riflessione per i vari artisti che cercano di farsi conoscere e che, a questo punto, potrebbero avere come concorrenti sul mercato dei software in grado di generare musica originale (o quasi).

Fino a prova contraria, e se le views non mentono, le cose sembrano stare così.

Photo by David Pupaza on Unsplash

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