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Come essere più felici con le nuove tecnologie

Come faccio ad essere più felice? In molti, al giorno d’oggi, potrebbero essersi posti questa domanda, senza trovare una vera e propria soluzione – o quantomeno una risposta credibile. Certo, è una domanda insidiosa che, a nostro avviso, potrebbe addirittura essere malposta, dato che si basa su un malinteso concetto di “felicità ” che è, per sua stessa natura, soggettiva. Il nostro rapporto con la felicità  ha molto a che vedere con la tecnologia, dato che la stessa tende a veicolare i messaggi impliciti ed espliciti, consci ed inconsci che preoccupano e condizionano il nostro umore.

Soprattutto con la pervasività  della tecnologia moderna può capitare di affacciarsi su internet e ravvisare molta gente, nostri contatti a vario livello che appaiono preoccupati, tesi, pessimisti, cupi, sinistramente aggressivi, senza speranza per il futuro: ecco, magari sono condizionati da fake news o dal cosiddetto FUD (Fear Uncertainty & Dubt: una vera e propria strategia di marketing aggressivo, utilizzata anche da giornali e con cui, in passato, la Microsoft accusò il mondo Linux di effettuare imprecisate violazioni di brevetti informatici, al mero scopo di scoraggiarne l’uso). Di fatto, sono definibili sbrigativamente come “infelici”, e tanto (ci) basta ad etichettarli: un errore madornale che non possiamo, forse, oggi più permetterci.

C’è da specificare che, in prima istanza, internet tende a favorire soltanto determinati tipi di contenuti: quelli che veicolano rabbia, indignazione, pessimismo sono oggetto del cosiddetto selection bias, una distorsione cognitiva con cui ciò che vediamo online è frutto di un meccanismo di selezione personale implicita. Le notizie che vediamo sullo smartphone catturate da Google News, ad esempio, sono frutto di una selezione che abbiamo fatto in passato: Google tende infatti a mostrare notizie su cui abbiamo già  cliccato, con la possibilità  di escludere le fonti a noi sgradite ed il rischio, alla lunga, di non vedere più fatti davvero importanti – fissandoci ossessivamente su quelli di minor conto. Insomma sembra davvero che i presupposti con cui erano nate le nuove tecnologie (diffusione democratica dell’informazione, parità , accesso paritario ai dati) siano stati in parte aspettative tradite, forse eccessive primi tra tutti da parte di quelli che avevano formulato quelle convinzioni (e ci avevano costruito libri e seminari a tema: c’era un tempo in cui dire web 2.0 era il top di gamma).

àˆ difficile idea online, del resto, soprattutto perchè i pareri sono sempre polarizzati in bianco vs. nero, ma anche perchè in molti casi le persone sono già  di cattivo umore quando si connettono. Per cui non abbiamo la pretesa di risolvere una questione cosଠdelicata con un contenuto digitale, che peraltro non tutti finiranno di leggere o magari leggeranno sui mezzi, mentre sono occupati a fare altro o distratti da mille impellenze, dubbi, priorità  vere o presunte da risolvere quotidianamente.

Del resto vorrei poter aiutare altre persone ad essere più felici: lo penso molto spesso, mi basterebbe riuscirci anche solo per pochissime. Pero’ penso spesso: magari ci sono già  riuscito, non me ne sono reso conto ma l’ho fatto. E se il punto chiave non può certo essere “guardami, la mia vita è straordinaria e anche tu ce la puoi fare, soprattutto se compri il mio infoprodotto a soli 99€”, resta il paradosso della consapevolezza e chissà  quanti bias di mezzo a rendere complicata una spiegazione realistica. Quello che so è che, dopo due anni pandemici strani, tesi, altalenanti, pervasi da ipocondria selettiva da un lato (il mood espresso parodisticamente con la frase “moriremo tutti“, citazione del film di culto Predator, peraltro) e da decadente lassismo dall’altro (anche lଠfrutto di esasperazione quanto grottesco, e spesso in contraddizione con qualsiasi regolamento etico, per non dire morale), può essere lecito chiedersi come fare ad essere felici: ma di sicuro non sarà  la tecnologia a darci le risposte.

La ricerca della felicità  interroga l’uomo dalla notte dei tempi, e forse un buon punto di partenza può essere chiedersi che cosa vogliamo davvero, e provare ad andare in quella direzione. Senza farsi più stordire da voci che sembrano ostinatamente dirci di non farlo, allentando la pressione e provando ad immaginare, pure, che non sia tutto contro di noi come rabbiosamente ci è capitato di aver pensato.

La tecnologia infatti è solo uno strumento, non dobbiamo mai dimenticarlo, e dico questo per evitare di stabilire un legame che manca nella vita reale e sopperire con quello puramente oggettificato di uno smartphone: viene in mente la puntata di South Park – sempre sia lodato per la sua lungimiranza – in cui il piccolo Cartman va in crisi con la fidanzatina anche perchè, di fatto, preferisce una relazione con Alexa, costretta a costruire liste della spesa coprolaliche per l’egoistico divertimento del personaggio.

Ecco, forse dovremmo ripartire proprio da questo, e ridefinire la felicità  come valore personale, come obiettivo da costruire passo passo, senza dimenticare mai di essere umani.

“La felicità  è per le persone stupide”: l’ho pensato anche io e l’ho sentito dire molte, troppe volte. Una lamentela che ha il proprio perchè e che suggerisce due cose che possiamo trarre da quell’episodio:

  • da un lato, possiamo prendere ispirazione da Cartman che vive in un mondo autoreferenziale, ludico e pieno di parolacce, adattandolo ovviamente ai nostri valori, alle nostre aspirazioni, a ciò che amiamo e ci piace di più;
  • dall’altro, dobbiamo fare attenzione a non effettuare una rischiosissima sostituzione impropria di valori: ovvero, cercare la felicità  su internet, utilizzarla in modo funzionalistico (secondo un’efficace sintesi proposta da James Bridle nel suo saggio Nuova era oscura), riduci ad amare più Siri ed Alexa delle persone che sono con noi sul pianeta. Perchè questo, alla lunga, si configura come una potenziale psicosi di massa da cui non sarà  facile uscire, ammesso che non sia già  in atto.

Certo, è comune e anche giusto pensare che chi sia più intelligente tenda a vedere oltre, tenda ad una maggiore sensibilità : vede i rischi, vede meglio i pericoli, vede anche i vantaggi, all’estremo assume un atteggiamento fatalistico e vede calamità  ovunque. E allora magari si rifugia nel cinismo, lo rende parte del proprio personaggio, e tanto basta: sà¬, ma poi? Probabilmente una nuova forma di intelligenza, in questo caso, potrebbe essere liquida, nel senso di adeguarsi al contesto in modo adattativo, senza irrigidirsi sui concetti, senza effettuare considerazioni troppo spinte. Vivendo giorno per giorno per costruire qualcosa che possa avere senso per noi, senza specchiarsi nella tecnologia invasiva e negli altri, e senza riporre aspettative in loro. Un modo per essere felici, a questo punto (qualsiasi cosa possa o voglia significare per voi), potrebbe essere questo.

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