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Facebook ha bannato qualsiasi notizia australiana dalla propria piattaforma

Può un social network decidere cosa debba essere condiviso e cosa invece no? In effetti già  lo fa (i ban di alcuni domini da Facebook e Instagram sono ben noti), ma in questo caso una legislazione forse corretta quanto poco avvezza alla tecnologia rischia di aver creato un precedente inedito. Di fatto, tutto nasce quando il governo australiano prese in considerazione l’idea di far pagare Facebook per avere una sorta di diritto a condividere i link dei vari siti di news. Dopo aver cercato di trattare, Facebook è arrivato alla decisione drastica di vietare la possibilità  di condividere link, tant’è che ArsTechnica riporta la seguente schermata come indicativa di questo, probabilmente temporaneo e fino a nuovo ordine, divieto:

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Il divieto ha implicazioni alquanto considerevoli e, se vogliamo, meno ovvie di quello che potrebbe sembrare: con questa novità  introdotta da Facebook, di fatto, gli utenti di Facebook in Australia non potranno più pubblicare post che rimandano ad articoli di notizie, nà© sui media australiani nà©, peraltro, a livello internazionale. Nel frattempo, gli utenti al di fuori dell’Australia non possono pubblicare collegamenti a fonti di notizie australiane. Facebook afferma che il blocco è sostanzialmente già  attivo, ed impedisce agli utenti di condividere e commentare siti di notizie di questo genere.

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Da un certo punto di vista, la notizia non dovrebbe stupire più di tanto dato che, ormai da anni, Facebook è un walled garden, ovvero un “giardino” privato, forse più simile ad un centro commerciale, in cui le regole sono decise dall’alto ed in cui siamo tutti, senza discussione, obbligati ad adeguarci. Non meraviglia che abbia preso una decisione di questo tipo, di fatto, perchè l’obbligo di pagare per ottenere delle notizie non sue, e poterle solo condividere, denota un problema più profondo: il fatto che la gente non legga. Se la gente leggesse i link sui social senza limitarsi a commentare in base al titolo, probabilmente l’editoria digitale non sarebbe in crisi come dice di essere ormai da decenni. E se una volta era comodo prendersela con la pirateria, ad oggi è un po’ più difficile prendersela con il mezzo usato per la condivisione – mezzo che, di fatto, usiamo anche noi (anche qui i paradossi si sprecano) per diffondere il nostro pensiero.

Ma c’è un aspetto che va al di là  di qualsiasi considerazione legal-burocratica legata a questa storia: di fatto, Facebook ha applicato un sistema di censura interna che, come se non bastasse tutto il resto, finisce per in discussione il principio di neutralità  della rete (quantomeno dal punto di vista degli utenti: anche se, a ben vedere, chiedere di pagare per una porzione di web già  di fatto viola questo principio=. Se oggi ha impedito la condivisione di siti di news di una certa nazionalità , domani potrebbe fare lo stesso con qualsiasi altro tipo di notizia. Inutile sottolineare, a questo punto, che il problema non riguarda solo Facebook ma anche Google, se non in misura addirittura superiore (pensiamo a Google News). Gli editori devono attrezzarsi con modelli di business virtuosi, a nostro avviso, non limitarsi ad attaccare chi “osi” diffondere le notizie aggregandole, fermo restando che se la gente legge solo i titoli e non legge i contenuti forse c’è anche un problema di altro tipo.

In sostanza sia Facebook che saranno teoricamente (almeno, stando alla legge di oggi) tenuti a pagare i siti di notizie australiani quando inviano loro traffico, e ai colossi in questione non sarà  permesso smettere di collegarsi a siti di notizie di quella nazionalità  perchè, di fatto, non vogliono pagare. In un post sul suo blog ufficiale, Facebook ha affermato che questa proposta “fondamentalmente fraintende la relazione tra la nostra piattaforma e gli editori che la utilizzano per condividere contenuti di notizie”. Facebook sostiene, dal canto suo, che i siti di notizie traggono vantaggio dal traffico che Facebook invia loro, e questo molto di più (secondo loro) di quanto non succeda invertendo le parti. Dati alla mano, Facebook ribadisce che nel corso del 2020 avrebbe inviato qualcosa come 5,1 miliardi di visitatori referral (gratuiti) agli editori australiani, con una stima del valore del traffico di oltre 400 milioni di dollari australiani (315 milioni di dollari USA). Vista in questi termini, il problema di fondo sembra legato ai legislatori australiani che, da un certo punto di vista, cercano di fare gli interessi degli editori da cui hanno ricevuto pressioni, ma senza considerare che la proposta era sostanzialmente più problematica che altro (ed oseremmo scrivere, ai limiti dell’irricevibile). Facebook e Google sono solo mezzi per raggiungere più persone, e valgono anche per gli editori, che pero’ devono saper usare le tecnologie e, ci permettiamo di aggiungere, forse conoscerle un po’ meglio. 

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