Con una mossa netta – e in larga parte prevedibile – OpenAI ha annunciato il lancio della piattaforma Media Manager. È da molto tempo che si trova nell’occhio del ciclone per la questione del copyright, con accuse pervenute da vari artisti che sembrano preoccuparsi, giustamente, per il riutilizzo incondizionato e senza preavviso di opere altrui per costruirne di nuove. Media Manager non è ancora stata ultimata, ma dovrebbe consentire all’autore di un certo numero di opere di caricarle nella piattaforma, e suggerire ad OpenAI di non volerne rendere disponibili per l’addestramento. Rifiutare l’uso per addestramento, fare in modo – in altri termini – che quell’opera sia “coperta da diritto d’autore”, segnando così una svolta epocale, un qualcosa che nell’ambito digital non si era ancora vista in termini così netti.
La piattaforma in questione avrà pertanto un compito importante: consentendo ai detentori di diritto d’autore di caricare le proprie opere e specifiche che non si vogliano utilizzarle per l’apprendimento della macchina, si esprime finalmente la possibilità che ci si possa opporre al trattamento dei dati. Lato privacy è (quanto sembra) una svolta notevole, con pochi dubbi sulla validità e qualcuno, ad oggi residuo, sull’applicabilità: come farà ad esempio l’autore di un libro fotografico o di una saga di romanzi a caricarli online in blocco? Il passaggio analogico-digitale spesso non è scontato, e finisce per porre ulteriori questioni legate al trattamento dei dati: che fine faranno i dati che carichiamo mediante piattaforma? Da chi saranno custoditi? Abilitando questa funzione, non si rischia forse di attribuire ad OpenAI l’importante responsabilità (forse eccessiva) di detenere una sorta di “biblioteca digitale”, che conterrà potenzialmente tutto lo scibile umano che si vuole tutelare dal plagio? Non è forse paradossale che io debba fornire ad OpenAI volontariamente gli stessi dati che NON desidero condividere? In che modo saranno gestiti quei dati che carico, e a quali condizioni? Neanche Google e Wikipedia erano arrivati a tanto, e non è da escludere, pertanto, che nuove ed imprevedibili questioni possano porsi in futuro. Nei prossimi anni, a quanto pare, tra privacy e digitale ne vedremo delle belle.
La questione non si chiuderà qui ed è probabile che abbia conseguenze poco prevedibili, ad oggi. Rimane da evidenziare il paradosso di fondo, che è insito nell’idea di “arrendersi” alle nuove tecnologie e deporre volontariamente i dati da tutelare, affidando una questione di diritto d’autore ad una ennesima azienda privata che se ne prende carico, a ben vedere solo nel proprio interesse. Questa funzione di esclusione dei contenuti – che i motori di ricerca come Google, peraltro, offrono da tempo – consisterà in altri termini in una piattaforma per escludere contenuti dall’addestramento di ChatGPT, ma ad oggi assume contorni chiari solo in parte. Un problema certamente annoso ma dai contorni più ampi di quanto sembri a prima vista: la violazione di diritto d’autore può avvenire anche senza fare uso di IA, mediante un motore di ricerca, ad esempio, il quale pero’ offre quantomeno il vantaggio “indiretto” di rendere reperibile quel contenuto al pubblico, e di rispettare la volontà del detentore. Illudersi di risolvere il problema in questi termini, senza che si passi per una regolamentazione definitivamente più chiara, e molti altri passaggi intermedi, è pia illusione, a nostro avviso.
Non che le violazioni di copyright siano esclusiva delle IA generative, insomma, le quali che sembrano seguire la logica – vagamente parassitaria – di un “assenso fino a prova contraria”. Ma rimane comunque vero che si possano plagiare opere altrui anche senza usare le IA, che non sono causa di tutti i mali in questo ambito, considerando che la violazione può avvenire ed avviene purtroppo da sempre, e questi software tendono ad accelerare. Dare tutta la colpa alle nuove tecnologie, insomma, appare comunque fuorviante.
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