Nella prefazione del libro Miti, meme, iperstizioni di Tommaso Guariento (ed. KrillBooks, gennaio 2023) Valentina Tanni fa partire la propria prefazione con una considerazione molto mirata. Scrive infatti nelle prime righe chenegli ultimi vent’anni, grazie alla diffusione esponenziale di internet, abbiamo assistito a una quantità inimmaginabile di eventi.
What-if?
Considerazione interessante, senza dubbio, e vale la pena soffermarsi sulla frase grazie alla diffusione esponenziale di internet. Internet come mezzo di diffusione di grandi quantità di eventi, o forse addirittura come causa? Mezzo di diffusione di avvenimenti reali, da un lato, potenziale causa di notizie non verificate, tendenziose o parziali dall’altra. Eventi di ogni genere da cui siamo stati assillati, bersagliati da notifiche push, clickbait, fake news che ogni volta si mescolavano con mezze verità, giornalisti e blogger che costruivano titoli ad effetti su mondi da loro mai visitati stando nel chiuso della propria stanzetta, con tanto di tepore dell’aria condizionata.
Ma cosa sarebbe successo senza internet, nell’anno di grazia 2023? Mondo inimmaginabile, secondo alcuni. Mi colpisce un aspetto di quell’affermazione, mentre provo ad immaginare una seconda possibilità: senza internet, privandoci ipoteticamente di internet, immaginando una regressione tecnologico che certi luddisti anti-tecnologici, in effetti, vorrebbero pure, certe cose sarebbero successe lo stesso?
Avremmo vissuto meglio o peggio quegli eventi traumatici, senza avere internet?
Viene il dubbio, rileggendo, di voler sapere – in un qualche universo parallelo, per intenderci – come sarebbe andata a finire, tra guerra e pandemia degli ultimi anni, o meglio ancora come avremmo vissuto interiormente questi eventi traumatici senza poter avere internet, senza un mezzo che ci informava – certamente – sia pur disseminando FUD, semi del dubbio, cospirazioni presunte o reali, considerazioni lapidarie e via dicendo.
Pesare le parole
Concentrati come siamo (in teoria) a combattere la cattiva informazione, abbiamo da sempre sottovalutato il peso delle considerazioni lapidarie in pubblico, riportate dai giornali affamati di click (anche per colpa di inserzionisti sempre più avari e, per dirla tutta, giustamente perplessi sul quanto investire), tutte le volte in cui il politico o lo sportivo di turno prevede, come un novello Nostradamus, l’esito del campionato o addirittura dell’umanità intera, sulla base di cosa non si sa, basandosi su considerazioni opinabili elevate a verità assolute.
Se c’è qualcosa che internet non ci insegna, del resto, anzi tende ad illuderci, è che aver detto qualcosa non significa che quella cosa si avveri, e anche se fosse – poco cambierebbe per le sorti della nostra povera umanità. La parola ha un potere enorme, lo aveva capito anche Sigmund Freud con la scoperta della psicoanalisi: ma il più delle volte il potere delle parole su internet tende a dire più su chi scrive (e sulla sua avidità, ambizioni, egocentrismo) di quanto effettivamente deponga in favore di una “buona informazione” – qualsiasi cosa ciò possa significare oggi. Dovremmo pensarci meglio, forse, ogni volta che un quotidiano afferma qualcosa di tassativo, inequivocabile, soprattutto se virato su toni esacerbati per il puro gusto di drammatizzare.
E anche oggi ci chiediamo, nell’era del web pervasivo, che cosa significhi davvero anche una semplice frase come “guardare in faccia la realtà“.
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