ChatGPT sostituirà i programmatori?


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Prima che miriadi di programmatori si ritrovino a dover pensare ad un nuovo lavoro, specifichiamo che non intendiamo fare informazione sensazionalistica. Già qualcosa, ovviamente, anche se da sola non basta: ci chiediamo oggi se davvero ChatGPT – che scrive, parla e discute come un bambino un po’ discolo, dato che a volte copia e “studia” a memoria, verrebbe da scrivere – sia in grado di sostituire il compito per eccellenza di ogni informatico, ovvero programmare.

I motivi per cui ChatGPT non può sostituire i programmatori è dovuto ad una varietà di ragioni, tra le quali partirei da una delle più importanti: il fatto che si tratta di una tecnologia di machine learning non supervisionata (supervised), dove la supervisione è ovviamente quella umana. Per definizione, infatti, la supervisione consiste proprio nel fatto di monitorare (watch) una certa attività per verificare che sia effettuata in modo corretto. Cosa che spesso certe cronache sensazionalistiche e clickbait tendono a dimenticare: ricordiamocelo la prossima volta che leggiamo di intelligenze artificiali che ambiscono a sostituire l’uomo lasciando gli operai a casa, perchè nella migliore delle ipotesi potrebbe essere un improponibile luddismo e, nella peggiore, vero e proprio populismo.

Pareri soggettivi, diranno i più scettici a riguardo, ma siamo talmente convinti che rispondiamo come al solito che ci sia da preoccuparsi più dell’uso che si pensa di fare delle tecnologie che delle tecnologie in sè. Del resto lo dimostra il caso clamoroso e preoccupante dei deepfake: fin quando li usavano per creare controfigure digitali o video divertenti sotto il nostro controllo, va tutto bene. Non appena qualcuno ha inventato un loro uso malevolo o addirittura perverso, le cose sono cambiate radicalmente: troppo semplice limitarsi a dire “blocchiamo tutti”, come un po’ è stato anche detto. Per l’appunto, conta l’uso che se ne fa, e le pause sono relative e poco significative se poi non corrispondono all’essersi un po’ chiarite le idee, in quelle pause.

Da sempre le tecnologie affiancano i processi di produzione, quale che sia la produzione stessa (editoriale, meccanica, tecnologica, …) e propongono da un lato automatismi sempre più marcati e potenti. Ci sta che in questi tempi le intelligenze artificiali lo facciano, insomma. Questo va colto come opportunità, non come minaccia, per quanto ovviamente sia facile nascondersi dietro la tecnologie e darle semplicemente la colpa di qualsiasi problema. Del resto, i software sbagliano e convivono con l’errore da quanto esistono e da quando venne scoperto il primo bug, letteralmente una falena rimasta incastrata dentro un preistorico calcolatore dell’università di Harvard. Vale anche la pena ricordare che le intelligenze artificiali più “spaventose” per l’opinione pubblica sono tipicamente non supervisionate, per cui l’antidopo più semplice resta sempre quelle di supervisionarle da parte di un esperto (sto semplificando un po’, ma è per capirci) – ecco perchè, in modo connaturato alle tecnologie stesse, la conoscenza è potere, ed è importante studiare come funzionano le cose prima di emettere giudizi sbrigativi e fuorvianti. Il problema non è tanto quanto potenti diventino queste tecnologie, dato che sempre più aziende ci investiranno, quanto l’attribuzione di compiti e ruoli a queste tecnologie su criteri eventualmente sbagliati o biased.

Il futuro andrà certamente monitorato, questo sì, perchè il rischio di fare troppo affidamento su queste tecnologie è reale, e va regolamentato anche da un punto di vista formale (il che vuol dire anche etico, anche se non sarà prevedibilmente facile farlo). Ma l’equilibrio non si troverà imponendo limitazioni o spargendo il terrore sulle possibilità di errori anche gravi di questi software, evitando eventuali bias di automazione (considerare corretti i risultati solo perchè determinati da un computer) e, al tempo stesso, senza cedere a tentazioni populistiche o anti-tecnologiche di un “ritorno alle origini” che oggi come oggi rischierebbe di essere pura fantasia o al massimo mera suggestione. E di una intelligenza artificiale soggetta molto spesso ad equivoci e vere e proprie “allucinazioni“, non c’è ovviamente da poter far affidamento, e per quanto sia suggestivo un ufficio fatto di programmatori automatizzati o bot, siamo ancora ben lontani da una cosa del genere.

Sarebbe, insomma, come affidare una catena di produzione ai risultati contenuti in un file Excel, cosa che nessun addetto alla produzione farebbe mai, così come nessun medico baserebbe mai una diagnosi sull’analisi dei risultati prodotti da un software.

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