Dati statistici del Covid-19: è necessaria chiarezza e precisione.


L’epidemia da Covid-19 – non è un mistero – sta condizionando da oltre un anno le vite degli esseri umani e le decisioni dei governi oltre alla visione (?) politica devono rispondere e farsi guidare dai dati scientifici in loro possesso e vagliati da un comitato di luminari nel campo medico, pandemico, sociale ed economico. Ma siamo sicuri che i dati che giungono sul tavolo di chi governa siano corretti? Qual è il prezzo da pagare se questi si rivelassero imprecisi o del tutto sbagliati?

Foto di Miroslava Chrienova da Pixabay

Azione e reazione: analisi dei dati

Ormai è noto a tutti che per stilare un programma di chiusura e riapertura delle attività  sociali ed economiche nei paesi afflitti dalla pandemia di Covid-19 i governi debbano consultare i dati elaborati da un team di scienziati che, dalle informazioni che giungono al loro cospetto, sono chiamati a delineare un quadro statistico sull’andamento dell’epidemia che possa rendere elementi utili per delineare le  successive direttive da emanare.

Si è visto, ad esempio, che maggiore è il numero dei tamponi che si riescono ad effettuare quotidianamente, maggiore sarà  l’accuratezza del quadro sulla diffusione della malattia che, di riflesso, permetterà  di prendere decisioni mirate per individuare quali siano i territori da tenere sotto maggiore osservazione, quali gli orari d’apertura preferibili, quando allentare le misure restrittive precedentemente applicate, dove intervenire implementando le strutture ospedaliere. Maggiore è il numero e l’affidabilità  dei dati, maggiori saranno le possibilità  di adottare le scelte contenitive migliori in grado di bilanciare il controllo pandemico e le ovvie necessità  economiche e sociali degli individui.

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Ma siamo sicuri che i dati a disposizione di politici e tecnici siano corretti?

Lungi da noi voler alimentare o, tantomeno, giustificare bislacche teorie complottistiche e complottare – segno tangibile della gretta ignoranza di alcuni e dell’interessata malafede di altri che, purtroppo, albergano in una fetta neanche troppo piccola della popolazione – non possiamo però chiudere gli occhi davanti ad alcune notizie che capita di leggere sui mezzi di informazione e porci delle domande.

Recentemente, ad esempio, alcune testate hanno riportato la notizia di un programmatore siciliano, Gabriele Scalici, che ha regalato all’ASP di Bagheria – in provincia di Palermo – una piattaforma di tracciamento da lui sviluppata chiamata F8. Essendo figlio del dirigente ASP che ha il compito di raccogliere i dati Covid del territorio e inviarli agli enti superiori (e con “enti superiori” non ci riferiamo, purtroppo, a “divinità “, ma ad Assessorato Regionale alla Sanità  e Ministeri vari) affinchè li elaborino per tracciare il quadro locale e nazionale dell’andamento pandemico, Scalici – con l’occhio e le conoscenze del tecnico – ha avuto modo di constatare come l’intero processo della raccolta dati si basi su tecnologie informatiche sbagliate per il tipo di operazione richiesta e, soprattutto, non è nè omogeneo nè tantomeno implementato a livello regionale e nazionale.

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Confrontandosi con il padre, il ricercatore informatico scopre infatti che i dati arrivavano al suo PC sotto forma di file PDF e le informazioni in essi contenute andavano trascritte manualmente su un foglio Excel senza formattazione standard, univoca e bloccata a livello nazionale (nè, tantomeno, regionale). E’ facilmente intuibile come tale procedimento si porti inevitabilmente appresso una serie di variabili d’errore elevatissima: in Spagna, ad esempio, in cui si utilizzava un sistema simile, si è scoperto che a causa di un’errata formattazione del file Excel in uso per immagazzinare i dati sul Covid presso il Ministero competente, i decessi avvenuti tra gli ultracentenari venivano interpretati dal programma come dati relativi alle vittime di età  compresa tra 1 e 3 anni. Prima di scoprire che il dato era fallato da uno degli errori più idioti che si possono commettere utilizzando Excel (l’errata decimalizzazione delle celle), l’intera Spagna per alcuni giorni ha vissuto con il terrore di convivere con una inesistente variante locale del virus particolarmente aggressiva con gli infanti. L’esempio, a posteriori, può far sorridere, ma c’è ben poco da ridere se ad una popolazione già  gravata da lutti e chiusure si instilla il sospetto che all’interno di essa possa essere attiva una variante del virus particolarmente violenta proprio contro i bambini.

Tornando a Scalici, essendo programmatore e volendo alleviare l’insofferenza e lo sconforto del padre, oberato dalla mole di dati che giungevano sul suo PC, di difficile gestione e con un’alta possibilità  di essere trattati in maniera errata – in una Regione in cui, ricordiamolo, c’è un procedimento penale in corso verso l’ex assessore alla sanità  e alcuni funzionari dell’assessorato che, secondo le accuse, avrebbero falsato i dati della Regione Sicilia per evitare le zone rosse – ha deciso di realizzare per l’ASP di Bagheria la piattaforma F8 (poi regalata all’ente stesso) tramite la quale, non solo è possibile inserire i dati direttamente da chi li raccoglie (centri vaccinali, reparti covid, uffici anagrafe) con il margine d’errore che si riduce alla sola possibile errata digitazione del dato da parte dell’operatore, ma si possono estrapolare anche dati utilissimi a livello locale, per capire l’andamento del contagio anche comune per comune e zona per zona.

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Può sembrare strano ma, dopo oltre un anno, ancora non esiste una statistica dei dati Covid comune per comune e, spesso è accaduto che – dati i tempi pantagruelici della Pubblica Amministrazione, sommati all’oggettivamente enorme massa di dati che i vari operatori, a catena, sono tenuti a trattare – le ordinanze di quarantena firmate dai Sindaci siano state emesse dopo che il soggetto in questione si era ormai negativizzato senza che i Sindaci stessi ne siano venuti a conoscenza. Ma c’è di più: avere un’evidenza lampante ed immediata di ciò che sta avvenendo in un dato territorio può aiutare ad intervenire tempestivamente su microaree la cui stessa esistenza può sfuggire ad un controllo effettuato da un Ente centrale quale può essere un Ministero.

Ci spieghiamo con un esempio: recentemente in Calabria si sta vivendo un periodo di particolare recrudescenza dell’epidemia. Ebbene, i dati che giungono sul tavolo del Ministro della Salute da circa due mesi si aggirano tra i 450 e i 600 contagi al giorno (esclusi i lunedଠper i motivi che sono ormai chiari a tutti, legati al basso numero di tamponi che si effettuano la domenica). Da questi dati il Ministro e il Comitato Tecnico Scientifico, non possono fare altro che constatare come la situazione in Calabria sia particolarmente delicata e decidere di far attuare misure contenitive particolarmente stringenti su tutto il territorio regionale. Ma, analizzando i dati per provincia si scopre che per circa un mese la metà  dei contagi quotidiani veniva registrata nella provincia di Reggio Calabria, dopodichè, da un mese a questa parte, è la provincia di Cosenza che totalizza oltre la metà  dei contagi quotidiani nonchè il maggior numero di accessi ai reparti.

Nel mezzo stanno le province di Catanzaro, Vibo Valentia e Crotone che registrano spesso anche contagi inferiori alla decina per giorno ma che sono sottoposte alle stesse misure restrittive delle altre due province più colpite. E “torturando” ulteriormente i dati, si evince che i contagi della provincia cosentina degli ultimi tempi siano concentrati soprattutto nel capoluogo e nella parte ionica della stessa provincia (con “epicentro” il popoloso comune di Corigliano Rossano) mentre, sulla dorsale tirrenica la situazione è di relativa calma o comunque simile a quella delle province meno colpite.

La soluzione?

Dove sta il problema? Ebbene, se noi siamo stati in grado di farvi l’esempio di cui sopra è in virt๠del fatto che, controllando la stampa locale, siamo arrivati alle ovvie conclusioni esposte. Ma se per una persona residente in Calabria (come chi vi sta scrivendo) è relativamente facile desumere determinate informazioni di carattere “locale”, non possiamo pretendere che la stessa cosa possa avvenire per un Ministro che siede a Roma e deve gestire la situazione sanitaria dell’intero territorio nazionale.

Ecco dunque che se ci fosse a livello nazionale una piattaforma informatica unica, centralizzata, implementata con i software archivistici e statistici in uso nei vari enti locali e centrali – gestita possibilmente da personale dotato di competenze informatiche che sa come trattare i dati in quanto flussi di informazioni digitali e non come meri estremi anagrafici, (e questa non è certo una critica a quanti si stanno sobbarcando il gravoso compito di trasmettere i dati poichè, nella maggioranza dei casi, fino ad un anno fa si occupavano di tutt’altro e stanno affrontando la “tempesta perfetta” senza un’adeguata formazione che, in fondo, non era loro richiesto avere) – deputata a gestire i dati sulla pandemia, probabilmente si potrebbe affrontare l’emergenza pandemica con più raziocinio, meno generalizzazioni e meno disagi nella popolazione poichè, con dati aggiornati e precisi, i “colori delle zone” che stanno condizionando la vita della gente potrebbero essere tranquillamente decisi da decreti prefettizi su base provinciale e non per forza dai Ministri su base nazionale.

Un ulteriore ultimo esempio: se c’è un comune con numeri da “zona rossa” ha senso imporre la stessa a quel comune e, magari a quelli limitrofi, magari con una “zona cuscinetto arancione” in eventuali altri comuni che hanno una certa vicinanza chilometrica con “l’epicentro” e si potrebbe risparmiare un gravoso regime di chiusura ad un’intera regione che in determinate zone potrebbe essere del tutto covid-free. L’esempio si potrebbe fare anche al contrario, nel senso che è possibile che si mantengano regioni a basso controllo anche se nella stessa esistono delle aree limitate con grande diffuzione percentuale di casi che, se non delimitate a dovere, potrebbero far propagare i contagi ovunque in virt๠del basso livello di cautela. E’ vero, i governatori delle Regioni in base ai dati a disposizione hanno il potere di istituire motu proprio delle “zone rosse” in determinati comuni o aree della regione ma sappiamo bene che questi, essendo cariche politiche, sono restii ad imporre decisioni impopolari, soprattutto se consci del fatto che i dati nelle loro mani sono probabilmente fallati in una maniera non chiaramente quantificabile.

Foto di Sumanley xulx da Pixabay

In conclusione, non volendoci sostituire al lavoro di nessuno, poichè siamo sicuri che – a parte sparuti episodi su cui la magistratura indaga e indagherà  – ogni dipendente che sta trattando i dati nella nostra nazione lo sta facendo con encomiabile attenzione e spirito di sacrificio per cui tutti noi siamo loro grati, ma non possiamo esimerci dal sottolineare che, dato che stiamo parlando di flussi di dati informatici, e che coloro che con essi lavorano per mestiere (i tecnici informatici, appunto: dai periti agli ingegneri, passando per programmatori ed analisti) li elaborano in maniera diversa e più razionale di come si sta facendo da un anno a questa parte, sarebbe proprio a loro che bisognerebbe affidarsi per studiarne la strategia e il metodo di trattamento.

La situazione in cui ci troviamo è paragonabile un po’ a quella che si avrebbe se ogni filiale di una stessa banca utilizzasse una diversa piattaforma per gestire conti e mutui: secondo voi quella banca potrà  mai avere dati certi e coerenti con la realtà ?

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