Sono passati quasi due anni dallo scandalo che ha coinvolto Facebook, noto come Cambridge Analytica: all’epoca era uscito fuori che molte app, mediante il celebre social network, utilizzavano impropriamente i dati personali di molti utenti. L’immagine del social di Zuckerberg ne uscଠsenza dubbio zoppicante (per usare un eufemismo), facendo trapelare che la tutela della privacy dei propri iscritti fosse, in molti casi, superficiale e solo di facciata. Oggi le cose sembrano essere cambiate: è recente, infatti, la notizia che molte app siano state sospese dall’uso di Facebook proprio per un uso “dubbio” dei dati privati degli utenti. L’uso dei dati privati come indirizzo, telefono, email e via dicendo, dovrebbe essere sempre correlato ad un miglioramento dell’esperienza dell’utente, e dovrebbe anche essere strettamente necessario rispetto all’uso che se ne fa – per intenderci, un conto è concedere l’accesso alla rubrica a Whatsapp, decisamente un altro è richiederlo se l’app è un semplice videogame.
A diverse centinaia di app bannate sono associati gli account di circa 400 sviluppatori, anche se molte di esse sono state, nel dubbio, semplicemente sospese. Il problema è, come al solito, l’uso che facevano dei dati personali degli utenti, in aperta violazione con le policy di Facebook stessa. In almeno un caso, poi, Facebook avrebbe fatto causa ad altre aziende che hanno violato le sue condizioni, come già ha fatto contro Rankwave, LionMobi e JediMobi – un’azienda coreana che si era rifiutata di collaborare nell’indagine sull’effettivo uso dei dati personali degli utenti. Nel caso delle ultime due appena citate, per intenderci, Facebook veniva usato per diffondere un malware sui telefoni degli utilizzatori, e riuscire a generarne un guadagno per l’azienda. L’abuso in questione è stato, per quanto ne sappiamo, scoperto, fermato e Facebook avrebbe anche rimborsato gli inserzionisti. Un ulteriore caso di violazione riguarderebbe due sviluppatori ucraini che, mediante un’app dedicata (un quiz ingannevole), si impadronivano di dati personali degli utenti senza il loro consenso.
Un’altra app dubbia, myPersonality, è stata anch’essa sospesa, in quanto condivideva dati privati degli utenti (anche qui senza l’opt-in adeguato). In definitiva, poi, Facebook ha introdotto nuove norme per regolamentare l’accesso ai dati anagrafici e preferenziali degli utenti, e la speranza è che tenga la guardia molto più alta, finalmente (fonte).
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