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La supremazia quantica di Google

Tutti i patiti di informatica sanno bene che i computer quantici (al momento attuale, solo prototipi non commercializzati) sono in grado di offrire prestazioni superiori anche al miglior computer attuale. Un conto è la teoria, pero’, decisamente un altro è la pratica: ma secondo il Financial Times Google sarebbe riuscito a sancire, con un articolo apposito, la supremazia quantica di un certo tipo di operazioni di calcolo rispetto a quella dettata dalle architetture hardware tradizionali, incluse quelle di ultima generazione.

Che cos’è un computer quantistico

Un PC quantistico, ad oggi, è un modello teorico e sperimentale che si basa sulla fisica quantistica: permette di eseguire le stesse operazioni che faremmo su un PC normale (acquistare online, andare su Facebook, leggere la posta), con l’ulteriore possibilità  di disporre di ulteriore potenza per far funzionare servizi cloud e su server. In termini di crittografia, poi, un computer quantico sembrerebbe essere in grado di crackare le chiavi private anche più complesse (quelle a 2048 bit sono considerate inespugnabili, ad oggi), cosa che con un computer normale non potremmo mai fare.

Alla base dell’informatica quantistica ci sono i qubit, che sono dei bit a stato quantico 0 o 1, che ammettono anche sovrapposizioni come terzo ulteriore stato. Al momento della misurazione avrano sempre un valore fisso, ovviamente, ma oscillano tra i due stati secondo una certa teoria della probabilità . Esistono ovviamente prototipi in tal senso: i computer quantistici reali di oggi sono parecchio rumorosi, e rimane il problema della precisione e dell’assenza di rumore che indurrebbe errori di calcolo (quantum error correction). Insomma, i computer quantici non si vedranno prima di qualche altro decennio, probabilmente, per quanto siano un campo di studio molto promettente anche per le aziende e varie startup.

A livello pratico, comunque, siamo ancora nel campo delle speculazioni e della sperimentazione pura; ma il risultato annesso alla superiorità  del qubit è senza dubbio molto interessante.

Cosa ha fatto Google

La storia di Google che dimostra la supremazia quantica, a livello computazionale, rispetto a quella dell’informatica classica – il qubit surclassa il bit, in termini di operazioni – è stata confermata da ArsTechnica che ha scritto un approfondito articolo in merito. L’uso di questa tecnologia, del resto, è complicato: le operazioni quantistiche sono soggette a rumore di fondo (molto di più di quanto non ve ne sia su un circuito integrato classico), entanglement (correlazioni quantistiche) smarrite e difficilmente misurabili, effetti indesiderati tra particelle quantiche che si trovino ad interagire involontariamente tra di loro.

A quanto pare Google ha campionato il funzionamento di un (gran) numero di qubits ed ha tirato fuori un po’ di dati statistici sugli stessi, rilevando che la questione non si sarebbe risolta certo in pochi minuti: il calcolo richiedeva troppo tempo. Questo ha indotto i ricercatori a determinare un numero minimo di qubit necessari, ed è stato individuato nel numero 14, oltre il quale la memoria non era più sufficente (out of memory). Niente male se si pensa che calcolare fino a 30 qubit avrebbe richiesto qualcosa tipo un peta-watt di consumo di energia elettrica, non proprio una cosa da fare esaltare gli ambientalisti, insomma. A conti fatti, quindi bastano 30 qubit – secondo la ricerca fatta dal team di Google – per surclassare in termini di prestazioni qualsiasi computer esistente ad oggi, ed il bello è che pare che Google (forse in collaborazione con IBM) ne abbia costruito uno.

ArsTechnica dice di aver letto il paper di Google, e si è mostrata tutto sommato scettica a riguardo (rimane il problema della validazione del metodo, secondo loro, o ccc): il problema è che l’algoritmo sviluppato è utilizzabile solo per generare numeri casuali validati, cosa che potrebbe avere un’applicazione reale ad esempio per le lotterie online (avere la certezza assoluta che ci sia casualità , e che non ci sia un criterio prevedibile dietro la generazione dei numeri vincenti). Un po’ deludente, forse: ma siamo sicuri che ci saranno altri sviluppi, e chi leggerà  questo articolo tra 30 anni scriverà  un articolo su di noi, e su come eravamo vintage ed ingenui nel 2019.

Immagine di Gabriel Trujillo Escobedo – Alcuni diritti sono riservati 

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