Creare e salvare dati in digitale è una cosa che facciamo abitualmente tutti da anni, senza neanche accorgercene. Foto, documenti di testo, video, messaggi sui social, musica e chi più ne ha più ne metta: siamo invasi dai dati ma non pensiamo mai a quale possano essere i risvolti di questa sorta di digitalizzazione e storaggio compulsivi. Analizziamo alcuni dati (ovviamente in digitale) per vedere dove ci stiamo dirigendo nel nostro viaggio collettivo nel cyberspazio.
Montagne di dati.
Sapete quanti dati produciamo ogni giorno? Circa 2,5 quintilioni di byte! Non chiedetemi come si scriva questo numero perchè non sarei in grado di farlo! E quante ricerche facciamo sui motori di ricerca ogni secondo? Circa 50.000, per un totale quotidiano che sfiora i 5 miliardi. Numeri enormi ma non troppo se si considera che quasi 4 miliardi di persone nel globo utilizzano internet quotidianamente.
Recentemente l’ISTAT ha pubblicato un reportage sull’utilizzo di internet in Italia (scaricabile qui) da cui si evince come, contrariamente a quello che saremmo spinti a pensare, il principale utilizzo della rete non avviene tramite il PC ma tramite gli smartphone e che la gran parte del traffico dati che utilizziamo si riferisce a servizi legati alla comunicazione (social, posta elettronica e app di messaggistica istantanea). Ciò significa che i dati che produciamo e conserviamo per lo più si riferiscono alla nostra sfera privata e gli stessi sono là¬, fermi da qualche parte nel cyberspazio oltre che nei nostri dispositivi, in balia di hacker, governi autoritari, multinazionali senza scrupoli, investigatori pagati da mariti gelosi e quant’altro, per il semplice fatto che ci viene spontaneo creare e archiviare dati in maniera compulsiva e disattenta.
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Backup o backdown?
Se traduciamo dall’inglese il termine “backup” tra i vari significati che i dizionari ci suggeriscono (noi – giusto per creare ulteriori dati digitali – abbiamo utilizzato il dizionario online Reverso) possiamo attribuirgli varie interpretazioni che vanno da “rinforzo” a “salvataggio”, passando per “di scorta” e “supporto”. Va da sà© che quando facciamo il “backup” dei nostri sistemi o dei nostri dati digitali, la nostra intenzione inconscia è quella di “rinforzarli”, “supportarli”, renderli più sicuri in caso ci trovassimo nell’eventualità di poterli perderli. Mentre se traduciamo il molto meno utilizzato termine “backdown” – che, personalmente, non abbiamo mai trovato abbinato a contesti informatici – troveremo sostanzialmente un solo significato da attribuirgli, “arretramento”.
Ebbene, siamo sicuri che ogni qualvolta che facciamo un “backup”, in realtà , almeno in parte, non stiamo facendo anche un “backdown”? Non vi è mai venuto il dubbio che ogni qualvolta che aggiorniamo il “backup” dei nostri dati perdiamo di vista quelli più vecchi, “arretrandoli” (backdown) nelle nostre preferenze ed attenzioni? Non sarebbe più sensato aggiornare i nostri database solo alle informazioni veramente utili, sempre attuali e che siamo consapevoli di poter o dover riutilizzare un giorno?
Certo, nessuno è dotato della palla di vetro e quindi è impossibile sapere ciò che ci servirà domani ma ciò che non ci servirà forse, con un po’ di attenzione, lo sappiamo già .
Esempio personale: Ho appena fatto una veloce ricerca tra i dati nel mio hard-disk e ho trovato (tra migliaia) l’mp3 del brano We Are The Champions dei Queen (ne cito giusto uno a caso). Ebbene, io posseggo già il CD in cui il brano è stato pubblicato più diverse raccolte (sempre in CD) in cui compare nuovamente. Tra l’altro, se anche volessi ascoltarlo fuori, in macchina o altrove, mi basta aprire Youtube dallo smartphone e ascoltarla da lଠrapidamente. Quindi, la domanda è: ho davvero necessità di fare un backup di dati del mio hard-disk che comprenda anche l’mp3 di We Are The Champions (come di migliaia di altri brani) avendolo già disponibile immediatamente in tanti altri formati a portata di mano che non comportano un’ulteriore utilizzo di dati?
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Quasi certamente mi risponderete di NO ma aggiungendo la postilla “però non ho voglia di andare a controllare ogni singolo file che ho nell’hard-disk per vedere cosa mettere in un backup e cosa escludere! Metto dentro tutto cosଠmi sbrigo!” Risposta più che lecita (che è la stessa che mi sono dato da solo) che non risolve il problema. Sà¬, perchè c’è un problema: se ci portiamo dietro per decenni nei nostri backup “tonnellate” di “dati zavorra” arriverà il momento in cui non saremo più in grado di ripescare vecchi file che, improvvisamente, torneranno a servirci perchè, semplicemente, nel marasma digitale che ci siamo creati intorno, non sappiamo più dove trovarli, pur sapendo che sono “lଔ da qualche parte. C’è di più: ci stiamo costringendo ad acquistare dispositivi di archiviazione dati sempre più capienti per riempirli di dati inutili che creano solo caos.
L’unica soluzione che ci resterà sarà quindi quella di fare un “backdown”, di “arretrare” dalla nostra posizione di grandi possessori di dati inutili e di cercare di fare una cernita di quelli realmente utili, salvarli a parte e usare poi con certosina parsimonia quella nuova cartella di dati indispensabili.
Dal micro al macro.
Se questo caos imminente presto o tardi si abbatterà sui nostri “umili” dati personali (senza nessun riferimento alla privacy per cui bisognerebbe fare un lungo articolo correlato a parte) pensate che i grandi “possessori” di dati sul web (o, meglio ancora, in cloud) non siano nelle nostre stesse situazioni? Credete davvero che Youtube e Facebook possano immagazzinare ancora a lungo i video dei nostri gatti (con 8 visualizzazioni collezionate in un decennio) senza che questo non diventi prima o poi un problema?
Quando parliamo di “problema”, ovviamente, non ci riferiamo tanto allo spazio di immagazzinamento – quello si è sempre trovato aggiornando le tecnologie – ma al fatto che questi colossi di internet dovranno scegliere a chi dare visibilità e, guarda caso, è ciò che stanno già facendo. Provate a digitare la parola “gatto” su Youtube e vedrete che nelle prime dieci posizioni tutti i video che ci verranno proposti si riferiranno a soli due canali, i più “potenti”, quelli con più iscritti, che portano sponsor e visualizzazioni di massa, mentre per trovare il video del vostro gatto pubblicato nel 2012, probabilmente impiegherete un sacco di tempo.
E ora divento tragico: sapete quando il video del vostro simpatico gatto diventerà di tendenza? Non vorrei dirvelo ma devo farlo: solo nel momento in cui il vostro nome sarà balzato agli onori delle cronache (vi auguro in maniera positiva ma potrebbe essere anche il contrario) e il voyerismo che ci circonda farà nascere una morbosa attenzione verso di voi.
Conclusioni di un utente digitale disilluso.
La spazzatura digitale ci sta sommergendo perchè, proprio come quella reale, o non vogliamo disfarcene per pigrizia e disattenzione o, peggio, perchè nemmeno ci rendiamo conto che la stiamo disseminando in ogni dove. Cosଠcome nelle nostre case c’è sempre la mensolina messa troppo in alto su cui – quando va bene – si va a dare una spolverata una volta ogni sei lustri, anche nei nostri computer e smartphone ci sono hard-disk zeppi di dati di cui sarebbe meglio disfarsi… mi capita a puntino il fatto di aver appena trovato in una vecchia cartella il manuale d’istruzioni in pdf di una lavatrice che non abbiamo più in casa da almeno dieci anni. Allo stesso modo, cosଠcome in ogni angolo del mondo (e ormai anche nello spazio) ci sono sempre più rifiuti pericolosi e fuori controllo da noi stessi abbandonati, anche “fuori” dai nostri hard-disk, nello sterminato e onniscente cyberspazio, siamo riusciti a ricoprirci di melma e sporcizia che rende sempre più invivibile anche “quel” mondo virtuale dove anche gli errori si fanno con un click.
Sarebbe ora di fare pulizia digitale, sia per rendere le nostre vite private meno attaccabili e ridicolizzabili (pensate bene a cosa condividete sui social, gente! Andate a controlalre cosa avete pubblicato 10 anni fa, farete delle spicevoli scoperte!), sia per renderci l’utilizzo pratico del digitale più smart e funzionale, in modo tale di non affogare in una montagna di rifiuti fatti di bit che magari non puzzano, ma danno all’occhio.
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