Tag: Mondo Internet 😱

  • Domotica: tecnologia avanzata a casa tua, a basso costo

    Domotica: tecnologia avanzata a casa tua, a basso costo

    Introduzione

    Da diverso tempo la parola multi-disciplinare occupa svariati ambiti delle tecnologie e delle attività  che, grazie al progresso, si stanno affermando nella realtà  di ogni giorno: sembrava impossibile che si potesse arrivare ai pagamenti con il cellulare (senza carta=, ad esempio, o che fosse possibile controllare a distanza l’accensione dei riscaldamenti. In questo turbine di innovazioni di ogni genere, la domotica sta occupando un posto molto rilevante all’interno delle vite di noi tutte, da applicazione settoriale (nota più che altro ai frequentatori di fiere dell’elettronica) a componente attivo e vivido nella vita di ogni giorno.

    Andiamo quindi a capire un po’ meglio di che cosa parliamo, e perché tutto questo finisca per migliorare le nostre vite (almeno, si spera).

    Cos’è la domotica

    Volendo dare una definizione facile da capire, la domotica interessa l’ambito applicativo della tecnologia in casa nostra, così come sul luogo di lavoro o in ufficio. Migliorare la qualità  della propria abitazione, del resto, doveva per forza di cose passare, prima o poi, per l’apporto multi disciplinare (per l’appunto) di vari settori, passando per l’ingegneria elettronica, l’automazione, l’elettronica, il design e l’edilizia. Per capire un po’ meglio di che cosa parliamo, del resto, basta passare in rassegna un po’ di esempi pratici di uso della domotica:

    • controllo a distanza di elettrodomestici e timer di accensione (comodo, ad esempio, per trovare casa riscaldata quando stiamo rientrando dal lavoro);
    • rilevamento fughe di gas o di acqua in automatico;
    • scollegamento automatico della corrente dai dispositivi non utilizzati, in modo da ridurre i consumi da correnti passive o comunque non utilizzate;
    • accensione di dispositivi in base alla presenza di persone in una stanza;
    • climatizzazione smart, per migliorare i consumi (ed i costi in bolletta);
    • chiusura ed apertura di tende e persiane in base alla condizione climatica esterna.

    Cos’è la smart home

    Tutti gli esempi appena elencati finiscono per costituire ciò che, in molti ambiti, viene definita smart home, ovvero una casa intelligente in cui i vari dispositivi sono ottimizzati in base alle condizioni esterne o rilevando uno status mediante sensori, e non più mediante semplici controlli manuali dettati ad es. da un telecomando. In genere questi dispositivi sono controllati da un cuore centrale che detta le condizioni ed i controlli all’esterno, facendo in modo di automatizzare

    Una buona smart home, del resto, come abbiamo spesso raccontato su questo blog, richiede una grande cura in termini di sicurezza informatica: ad esempio, se le aperture di casa sono effettuabili mediante riconoscimento vocale, può essere possibile per un estraneo riuscire a forzarle sfruttando una registrazione della nostra voce. Ed è per questo che la progettazione dei dispositivi dovrebbe, in teoria, essere sempre affidata ad esperti che sappiano quello che stanno facendo. In altri casi, ovviamente, i sistemi del cosiddetto Internet delle Cose (IoT, Internet of Things), sono soggetti a minori rischi, ma l’attenzione ed il focus sicurezza in fase progettuale deve essere sempre massimo.

    La crescita della domotica in Italia

    Contrariamente a quello che si potrebbe pensare, la domotica non è costosa: tanto più che varie componenti, come ad esempio Arduino, sono completamente open source, e sono pertanto programmabili in modo sicuro e documentato da chiunque sia un minimo skillato in elettronica e programmazione.

    Sono numerose, del resto, anche le soluzioni low-cost proposte dai vari brand operanti nel settore della smart home: luci smart, prese WiFi, telecamere di sicurezza e sistemi di allarme, smart speaker e molto altro. Si tratta di argomenti che stanno riscuotendo sempre più popolarità  e che è possibile approfondire su portali dedicati come smartdomotica. Qui è possibile trovare spunti interessanti sulla domotica, soprattutto fai da te, e sulla tecnologia in generale. Un sito che proponesuggestioni interessanti e poco note, del tipo: la domotica smart potrebbe ritrovarsi nelle vostre vite, o essere già  presente, molto prima di quanto non ci aspettiamo. E ritrovarci questi dispositivi (ed annessi controlli) installati nelle nostre case, scuole, uffici, automobili e biciclette potrebbe, a questo punto, non essere così fantascientifico come avremmo pensato qualche anno fa.

  • Come inviare allegati più grandi di 25 MB su Gmail

    Come inviare allegati più grandi di 25 MB su Gmail

    Puoi inviare allegati più grandi di 25 MB su Gmail in modo semplice e gratuito utilizzando Google Drive. Ecco come fare!

    1. Crea un nuovo messaggio: Apri Gmail e inizia a scrivere un nuovo messaggio.
    2. Aggiungi il file:
      • Clicca sull’icona di Google Drive (è l’icona a forma di triangolo colorato accanto alla graffetta per gli allegati).
      • Seleziona il file che vuoi inviare dal tuo Google Drive. Se il file non è già presente su Drive, puoi caricarlo cliccando su “Carica” e poi su “Seleziona file dal dispositivo”.
    3. Inserisci il file nel messaggio: Una volta selezionato il file, clicca su “Inserisci”. Il file verrà collegato al tuo messaggio come link.
    4. Imposta le autorizzazioni: Se il file non è già condiviso con il destinatario, Gmail ti chiederà di impostare le autorizzazioni per il file. Puoi scegliere se permettere al destinatario di visualizzare, commentare o modificare il file.
    5. Invia il messaggio: Una volta che hai completato tutto, clicca su “Invia”. Il destinatario riceverà un’email con un link per scaricare o visualizzare il file su Google Drive.

    Questo metodo è gratuito e semplice, e ti permette di inviare file molto più grandi senza preoccuparti dei limiti di dimensione degli allegati. Se preferisci non utilizzare Google Drive o cerchi un’alternativa, ci sono altri metodi per inviare file di grandi dimensioni senza costi aggiuntivi. Ecco alcune opzioni:

    1. Servizi di File Sharing:
      • WeTransfer: Puoi inviare file fino a 2 GB gratuitamente senza dover creare un account. Carica il file sul sito, inserisci l’email del destinatario e WeTransfer invierà un link per il download.
      • Firefox Send: Un servizio sicuro e gratuito che permette di inviare file fino a 1 GB senza un account (o fino a 2,5 GB con un account). Purtroppo, questo servizio è stato sospeso, ma esistono altre alternative simili.
    2. Compressione dei file:
      • Zippare i file: Puoi comprimere il file (o i file) in un archivio ZIP o RAR per ridurne la dimensione. Questo potrebbe funzionare se il file è solo leggermente superiore a 25 MB, ma non aiuterà molto per file molto grandi.
    3. Utilizzo di cloud storage alternativo:
      • Dropbox: Puoi caricare il file su Dropbox e poi condividere il link con il destinatario. La versione gratuita offre 2 GB di spazio, quindi potrebbe essere sufficiente per le tue necessità.
      • OneDrive: Se hai un account Microsoft, puoi caricare il file su OneDrive e condividere il link con il destinatario.
    4. FTP o SFTP:
      • Se hai accesso a un server FTP o SFTP, puoi caricare i file lì e poi condividere le credenziali di accesso o un link diretto al file con il destinatario. Questo richiede un po’ più di competenza tecnica e accesso a un server.
    5. Suddividere il file in parti più piccole:
      • Se possibile, potresti dividere il file in parti più piccole (ci sono programmi come 7-Zip che ti permettono di fare questo) e inviarle come allegati separati. Il destinatario dovrà poi ricomporre il file.

    Queste soluzioni ti permettono di inviare file di grandi dimensioni senza spendere nulla e senza dover usare Google Drive.

    Foto di antonynjoro da Pixabay

  • PhantomJS : software free per testare le vostre pagine web

    PhantomJS : software free per testare le vostre pagine web

    Consideriamo il seguente scenario: dobbiamo simulare le azioni dell’utente finale sul lavoro web (portale, sito, ecc.) che abbiamo appena terminato, e che dovrà  probabilmente essere ottimizzato. Quello che si fa in ambito professionale, di solito, consiste nell’effettuare test incrociati (cosiddetto cross-browsing) simulando in tal modo la corretta visualizzazione delle pagine. Per farlo in modo massivo, si sfruttano degli appositi software di supporto a questo tipo di analisi.

    Che cos’è un browser headless?

    Un browser headless – letteralmente “senza testa” – è un browser privo di interfaccia grafica: in altri termini, esso permette l’accesso alle pagine web in modo tale da mostrarne le caratteristiche tecniche, e consentire all’analista di ottimizzarne i contenuti. Nella pratica di questo tipo non è altro che un programma che accede alle pagine Web simulando un “utente tipo”, che permette di visualizzare caratteristiche del testo della stessa come ad esempio fondi colori coordinate degli oggetti e così via.

    Nel 2009 Google, sempre attento a questo genere di problemi, aveva posto il problema di rendere scansionabili anche alcuni elementi JS/AJAX delle pagine, cosa che poi sembrerebbe aver superato nel seguito. Quello che si fa in questo tipo di scenari non è altro che utilizzare software che permettano il controllo automatizzato di uno o più modelli di browser, e che fornisce un vantaggio fondamentale visualizzare le pagine nel modo più vicino possibile a come appariranno agli utenti finali.

    Il più grosso problema di software di test di questo tipo è che richiedono un’interfaccia grafica valente nonostante il fatto che si tratti di una soluzione molto utile nella pratica dei test delle ottimizzazioni e così via.
    D’altro canto è possibile utilizzare PhantomJS un piccolo progetto free / open source interamente realizzato in Javascript, che permette di utilizzare istruzioni di questo tipo:

    console.log('Loading a web page');
    var page = require('webpage').create();
    var url = 'http://www.phantomjs.org/';
    page.open(url, function (status) {
      //Page is loaded!
      phantom.exit();
    });
    

    Come descritto nel sito ufficiale, PhantomJS è una soluzione ottimale al fine di effettuare test su contenuti sguardi guarda guarda guarda compresa la possibilità  di generare l’ anteprime delle pagine l'(thumbnail).

  • In quanti modi posso connettermi ad internet: guida rapida ai tipi di connettività

    In quanti modi posso connettermi ad internet: guida rapida ai tipi di connettività

    Nell’era digitale la connettività rappresenta la linfa vitale che consente a persone, imprese e dispositivi di comunicare, scambiare dati e accedere a servizi innovativi. Dalle tradizionali linee in rame fino alle reti in fibra ottica ultraveloce, passando per le soluzioni wireless e satellitari, ogni tecnologia offre vantaggi e limiti peculiari in termini di velocità, latenza, copertura e costi. Scopriamo in sintesi le principali modalità di connessione — fisse e mobili — per orientarsi nel panorama delle reti e scegliere quella più adatta alle proprie esigenze.

    ADSL/ADSL2+ (Asymmetric Digital Subscriber Line)

    La tecnologia ADSL si basa sullo standard ITU-T G.992.1 (G.dmt), che sfrutta il doppino in rame per veicolare dati asimmetrici con velocità fino a 8 Mbit/s in downstream e 1,3 Mbit/s in upstream; le evoluzioni ADSL2 (G.992.3) e ADSL2+ (G.992.5) innalzano la capacità a 12–24 Mbit/s in downstream e fino a 1 Mbit/s in upstream, grazie a modulazioni DMT e schemi di correzione avanzati (en.wikipedia.org, it.wikipedia.org).

    VDSL/VDSL2 (Very-high-bit-rate DSL)

    La VDSL (ITU-T G.993.1) offre fino a 55 Mbit/s in download e 3 Mbit/s in upload su doppino corto, mentre la VDSL2 (G.993.2) spinge fino a 200 Mbit/s in downstream e 100 Mbit/s in upstream; con l’“Annex Q” (VDSL2-Vplus) si raggiungono picchi teorici di 300 Mbit/s su tratti in rame molto brevi (it.wikipedia.org).

    FTTC (Fiber to the Cabinet)

    In architettura FTTC la fibra ottica arriva a un armadio stradale, da cui coppie in rame fino all’abitazione usano VDSL2 per garantire velocità realistiche di 50–200 Mbit/s downstream e 10–30 Mbit/s upstream, bilanciando prestazioni e costi di infrastruttura (fibra.click).

    FTTB (Fiber to the Building)

    FTTB porta la fibra fino alla centrale di un edificio residenziale o commerciale (MDU), sfruttando poi cavi Ethernet o il rame interno per l’ultimo miglio: tipicamente supporta connessioni da 100 Mbit/s fino a 1 Gbit/s in downstream, a seconda delle tecnologie LAN impiegate (en.wikipedia.org).

    FTTH (Fiber to the Home/Premises)

    Con FTTH la fibra ottica raggiunge direttamente l’interno di ciascuna unità abitativa o locale (PON o point-to-point), consentendo velocità simmetriche che vanno da 100 Mbit/s fino a diversi Gbit/s, grazie a tecnologie come GPON, XGS-PON e point-to-point Ethernet (en.wikipedia.org).

    HFC (Hybrid Fiber-Coaxial – DOCSIS 3.1/4.0)

    Le reti HFC usano fibra fino ai nodi di quartiere e poi cavo coassiale con tecnologia DOCSIS 3.1 per offrire fino a 10 Gbit/s in downstream e 1–2 Gbit/s in upstream (EuroDOCSIS a 8 MHz), mentre DOCSIS 4.0 mira a 10 Gbit/s simmetrici ampliando lo spettro di frequenza (it.wikipedia.org, viavisolutions.com).

    Satellite (DVB-S2, LEO/Starlink)

    I sistemi DVB-S2 (ETSI EN 302 307) supportano fino a 60 Mbit/s per transponder con modulazioni fino a 8PSK/16APSK, mentre le costellazioni LEO come Starlink garantiscono tipicamente 25–220 Mbit/s downstream, 5–20 Mbit/s upstream e latenze di 25–60 ms (starlink.com).

    Fixed Wireless Access / Wireless Local Loop (FWA/WLL)

    L’FWA (o WLL) impiega ponti radio punto-multipunto nelle bande 24–29 GHz o tecnologie 3GPP LTE/5G per collegare in modo fisso l’utente finale, offrendo oggi fino a 1 Gbit/s teorici e latenze di 10–30 ms, ideale dove la fibra non è disponibile (it.wikipedia.org).

    Connettività Mobile (UMTS/HSPA, LTE, 5G NR)

    Le reti UMTS/HSPA offrono picchi fino a 42 Mbit/s in downlink (HSPA+), mentre LTE/E-UTRA (3GPP Release 8–10) raggiunge 299 Mbit/s (4×4 MIMO) o oltre 1 Gbit/s con LTE-Advanced; il 5G NR (3GPP Release 15+) spinge fino a diversi Gbit/s simmetrici, con latenze sub-5 ms in condizioni ottimali (en.wikipedia.org, rohde-schwarz.com).

  • Hosting HTTPS: tutto quello che devi conoscere

    Hosting HTTPS: tutto quello che devi conoscere

    Da fenomeno tecnologico opzionale quanto incidentale, usato solo da alcuni siti, bistrattato da alcuni e usato in modo fuorviante da parte della community SEO, l’esplosione del fenomeno HTTPS sul web è ormai definitiva. E per quanto i siti web si posizionino lo stesso anche in HTTP, a volte, tutti parlano di questa tecnologia, dai vari siti e riviste del settore ai forum ed ai gruppi Facebook.

    HTTPS, piaccia o meno, sembra destinato a consolidarsi come uno dei principali standard del web, e prevedibilmente potrebbe rimpiazzare completamente HTTP già  nei prossimi mesi.

    Cerchiamo di capire a questo punto se il servizio di hosting di cui faremo uso debba usare HTTPS, e in che termini debba farlo.

    Che cos’è HTTPS?

    HTTPS è il protocollo in versione criptata e sicura di HTTP, lo standard usato dal web per inviare e ricevere dati sulle pagine web e su alcuni servizi web ed app per vari dispositivi; funziona più velocemente se abilitato su HTTP/2, e garantisce sicurezza alla comunicazione client-server tramite un certificato ed una idonea crittografia. In tal modo può trasmettere e ricevere dati senza rischi e con la certezza che siano inviati al vero destinatario.

    Di fatto, HTTPS viene offerto gratuitamente dalla quasi totalità  di servizi di hosting web, sia economici sia di media o alta fascia, tipicamente come certificato gratuito Let’s Encrypt.

    Cos’è un certificato?

    La necessità  di acquisire un certificato SSL emerge da due considerazioni fondamentali: la prima è legata al fatto di voler garantire l’identità  del proprio sito web, la seconda è legata al voler ridurre il numero di possibili intercettazioni dei dati riservati che transitano sul proprio sito.

    Che vantaggi fornisce HTTPS?

    Senza scendere in complessi dettagli tecnologici, abbiamo che:

    1. i siti in HTTPS sono più sicuri per gli utenti, per i proprietari e per i clienti del sito stesso;
    2. HTTPS fornisce una protezione contro l’intercettazione dei dati inseriti nei form, nei pagamenti online e nelle transazioni riservate;
    3. HTTPS può anche fare in modo di garantire l’identità  del sito che stiamo visitando, in modo da essere certi che stiamo comunicando con una certa azienda e non con un sito di phishing;
    4. se scritti adeguatamente lato frontend, possono sfruttare tecnologie come HTTP/2 e sono quindi più veloci a caricare
    5. in generale l’uso di HTTPS è considerato un fattore di posizionamento su Google abbastanza importante (per quanto, almeno apparentemente, non decisivo e non l’unico da prendere in considerazione)

    A che serve HTTPS?

    Il suo scopo è quello di aumentare il livello di sicurezza delle pagine web, e dare una maggiore garanzia (per quando indiretta e da verificare, in certi casi) dell’affidabilità  di un sito web. Un sito che ne fa uso è decisamente più sicuro di uno che non lo fa: HTTPS ci mette al sicuro da possibilità  di intercettazioni quando ad esempio digitiamo username e password di un sito, ma in generale serve ad evitare la possibilità  che la pagina web a cui accediamo venga manipolata o sostituita con una di phishing, ad esempio. Google stessa, in termini SEO, tende a vederla come una discriminante per la sicurezza del sito web, ed è ovvio che questo è particolarmente importante nel caso in cui abbiate un sito di e-commerce – tipologia di siti per cui i certificati SSL dovrebbero, di fatto, essere comunque obbligatori. Ad ogni connessione HTTPS si accompagna un certificato che serve, appunto, a dare autenticità  al sito a diversi livelli e con diverse “gradazioni”.

    Hosting che forniscono HTTPS gratis (e non solo)

    HTTPS si può avere (a volte) gratis. La prima cosa da sapere, per chi volesse resettare la propria conoscenza in merito e ripartire da zero, è che si può attivare HTTPS sul proprio sito senza costi aggiuntivi, il che sarà  probabilmente uno dei modi più diffusi per configurare un certificato SSL come suggerito, del resto, da tempo da Google stessa. Se già  utilizzate un servizio di hosting, in sostanza, come prima cosa se volete passare ad SSL / HTTPS – conviene chiedere direttamente a loro se dispongano della possibilità  di fornire certificati ai propri clienti. C’è la possibilità  che vi offrano un certificato SSL gratis, ma questo non è sempre vero e comunque dovreste prepararvi ad affrontare la spesa, in prospettiva, che può andare (a seconda dei casi e delle offerte) dalle 100 alle 300 euro in più all’anno. Ricordatevi, comunque, che non tutti i certificati sono uguali (i più costosi sono quelli che “si presentano meglio” ai visitatori) e che SSL è la tecnologia che fa muovere HTTPS, anche se i due termini SSL / HTTPS vengono spesso usati (impropriamente) come se volessero dire la stessa cosa.

    I siti in generale ed i blog possono utilizzare Let’s Encrypt senza troppe esitazioni; i siti autorevoli e di grosse aziende dovrebbero, inoltre, fare uso di HTTPS a livello di certificati più costosi, al fine di garantire come specificato all’inizio sia autorevolezza e garanzia di autenticità  che sicurezza nella connessione.

    Quando e perchè usare SSL

    Da un punto di vista prettamente tecnico HTTPS sarebbe necessario solo sulle pagine in cui transitano dati riservati (ad esempio, le pagine di pagamento) ed è tuttora aperta la discussione sul fatto che debba essere utilizzato per i siti in WordPress in “sola lettura”, come spiegato per esteso in questo articolo che ho pubblicato giorni fa.

    In linea di massima il problema si riconduce alla scarsa perizia con cui la maggiorparte delle persone sta attivando HTTPS, mettendo potenzialmente a rischio il proprio sito o pensandoci esclusivamente in termini di “vantaggi SEO” (salvo poi ritrovarsi con un certificato mal configurato). Da qualche tempo poi si aggiunge un dato importante: è un dato di fatto che Google Chrome stia notificando ai visitatori quando un sito non disponga di HTTPS e certificato, come potrete notare anche su questo stesso sito. La notifica è “neutra”, in realtà , cioè viene vista come una mancanza che non compromette la navigabilità  o l’utilizzo del sito web, ma è comunque una notifica che denota una certa trascuratezza (per non dire peggio)   del sito in questione.

    Cosa bisogna fare tecnicamente per HTTPS

    Il passaggio da HTTP ad HTTPS non è indolore (spiace dirlo, ma è così) e, anzi, richiede più di una competenza tecnica da mettere in gioco: in un sito web medio che utilizza già  di suo redirect 301/302, ad esempio, sarà  necessario prevedere un ulteriore redirect da HTTP a HTTPS: se non lo facciamo, le pagine non saranno più reperibili, potrebbero dare errori lato server, non essere visibili sui browser e così via.

    In genere comunque ci sono ottimi plugin per utilizzarlo in modo indolore su WordPress e Joomla! (ad esempio l’ottimo Really Simple SSL), ma è necessario comunque che a monte ne sia stato attivato uno dal vostro hosting (o che comunque ne supporti uno).

    Passaggio da HTTP ad HTTPS: esempio pratico

    Un possibile scenario, abbastanza semplice, potrebbe quindi essere il seguente:

    http://miosito.it/pagina.html —-> https://miosito.it/pagina.html

    per tutte le pagine del nostro sito, ma anche cose ancora più complesse quali, ad esempio, un multi-redirect: il primo da una pagina obsoleta ad una aggiornata, il secondo da quella aggiornata a quella con protocollo HTTPS!

    http://miosito.it/pagina.html —redirect 301—> http://miosito.it/pagina_aggiornata.html —>  https://miosito.it/pagina_aggiornata.html

    Una delle tecniche più utilizzate nel passaggio indolore da HTTP ad HTTPS per tutte o parte delle nostre pagine web, dunque, sarà  quella di effettuare un redirect da HTTP a HTTPS per garantire la reperibilità  del proprio sito per Google e per i visitatori che non sanno che siamo passati in SSL. In questo articolo (Come effettuare un redirect da HTTP a HTTPS), per la cronaca, ho spiegato in modo piuttosto semplice ed accessibile a tutti come fare.

    Accortezze nel passaggio ad HTTPS

    Attenzione, quindi, a valutare bene caso per caso. Lo stesso vale nel caso in cui si configuri male un certificato SSL, oppure si utilizzi un certificato scaduto o non riconosciuto come autorevole dai browser (ad esempio un certificato auto-firmato spesso usato in fase di sviluppo): la pagina di errore o warning è in agguato, e potrebbe (almeno in teoria) ridurre l’impatto dei visitatori sulle proprie pagine.

    Bisogna documentarsi un po’, in sostanza, prima di decidere a passare ad HTTPS, a meno che non abbiate un tecnico già  preparato sull’argomento a vostra disposizione; è anche necessario valutare bene che tipo di certificato usare, in base al sito ed alla tipologia dello stesso. Sono da sempre promotore di un uso consapevole delle tecnologie, e c’è il forte rischio, in questo caso, che la maggiorparte di noi finisca per passare ad SSL per lo scopo o con modi sbagliati.

    Un caso particolare di cattivo utilizzo di HTTPS è legato al cosiddetto mixed content, che è un improprio mix di HTTP e HTTPS spesso dovuto alla cattiva configurazione di plugin, a theme obsoleti e via dicendo. Se il sito è in HTTPS deve essere interamente in HTTPS, per ogni pagina, script, immagine ed inclusione di frame, altrimenti sarà  inutile aver fatto il passaggio ed il lucchetto dei browser non sarà  comunque verde. Bisogna fare comunque molta attenzione a come si configura, ed è opportuno farsi aiutare da un esperto a farlo, se non vi si riesce.

    Se hai ulteriori curiosità  da soddisfare su SSL / HTTPS, ho preparato una FAQ molto nutrita con molte delle risposte alle domande più frequenti.

  • Perchè realizzare un sito web nel 2021?

    Perchè continuiamo a parlare di realizzazione siti web Roma e dei vantaggi del sito web? Semplice. Oggi il sito web ha una grande importanza, il suo utilizzo è ampiamente diffuso e sono sempre più le aziende e gli imprenditori che si rivolgono a specialisti della realizzazione siti web a Roma. Crescono le aziende che decidono di essere visibili online sfruttando le potenzialità  della rete e credono nell’importanza di una pagina web, un sito web o un blog personale.

    In breve, i motivi per cui creare un sito web nel 2021 sono i seguenti:

    • possibilità  di contare su una piattaforma proprietaria che rappresenta un biglietto da visita insostituibile e che, a differenza dei social media, non rischia di chiudere;
    • possibilità  di contare su un ottimo alleato per la brand identity, capace di rispecchiare la linea grafica dell’azienda e lo stile di comunicazione;
    • possibilità  di contare su uno strumento a cui rimandare nelle newsletter informative e promozionali per aggiornare i clienti e ottenere la massima visibilità  per l’azienda.

    Non solo: il sito web permette di creare campagne pubblicitarie e fare pubblicità  online ad un costo contenuto generando traffico sul sito web. Tra i motivi per cui ogni azienda ha bisogno di una pagina web ci sono:

    • Pubblicità  a basso costo per aumentare la visibilità ;
    • Strumento di marketing adatto a tutti;
    • Canale di comunicazione redditizio e facilmente accessibile dai clienti;
    • Possibilità  di ottenere feedback dai clienti.

    Il sito web professionale è economico e facilmente accessibile e ben l’81% delle persone cerca un’attività  o un servizio su internet prima di acquistare. In tal senso il sito web è il biglietto da visita digitale a cui i potenziali clienti possono fare riferimento per trovare le informazioni di contatto e conoscere di più su prodotti e servizi offerti. Nel 2021 ben il 56% delle aziende ha dichiarato di non poter gestire un’attività  senza sito web e il sito è anche lo strumento ideale per aumentare la credibilità , dato che il 79% degli utenti legge le recensioni online.

    Realizzazione siti web Roma: quanto costa un sito web professionale

    Il sito web professionale creato dagli esperti di Realizzazione Siti Web Roma di Romaweblab costa poche centinaia di euro, ma per essere efficace la sua progettazione va affidata a professionisti del settore. Una società  di web design sa dar vita a un sito web che permette di catturare l’attenzione e coinvolgere il potenziale cliente portandolo a compiere l’azione desiderata. Nel preventivo del sito web sono inclusi:

    • Nome del dominio
    • Web Hosting
    • Sviluppo Web
    • Spese di Web Design
    • Costi di manutenzione del sito

    10 motivi per avere un sito web nel 2021 (e nel 2022)

    Vediamo ora nel dettaglio i 10 motivi per cui avere un sito web nel 2021 e nel 2022:

    • Il sito è alla base della comunicazione digitale e rappresenta la sede virtuale dell’azienda, che genera traffico e visite dato che tutti oggi cercano online informazioni su brand, prodotti e servizi;
    • Il sito permette di farsi trovare sempre a qualsiasi ora e 7 giorni su 7, senza gli orari di apertura e chiusura che caratterizzano il punto vendita fisico e questo assicura la possibilità  di non perdere clienti;
    • Un buon sito web migliora la brand awareness e la brand identity: oggi più che mai è importante che le aziende abbiano un’immagine chiara e definita e che il brand sia immediatamente riconoscibile e coerente. In questo modo si può raggiungere chi ha sentito parlare dell’azienda con il passaparola e cerca online prodotti e servizi. Attenzione: non avere un buon posizionamento e un buon sito web significa avvantaggiare la concorrenza;
    • Il sito web permette di dare al visitatore informazioni approfondite su aziende, prodotti e servizi, raccontare i punti di forza e mostrare in foto e video i progetti realizzati. Per questo il sito web è paragonato a una vetrina in continua evoluzione:
    • Il sito web è un canale di comunicazione misurabile dato che si può conoscere per quali keyword si posiziona e quanto traffico attrae con strumenti come Google Search Console e Google Analytics, che raccolgono dati e statistiche sul sito. Ad esempio chi fa web marketing sa quanti visitator ci sono, quali sono le pagine più frequentate, la durata delle visite e altro ancora per creare la migliore strategia;
    • È possibile posizionarsi per diverse parole chiave in modo da intercettare i clienti grazie ai contenuti e alla SEO;
    • Si generano contenuti da condividere sui social media per ottenere il massimo da Facebook, Instagram e Twitter in modo da incuriosire il cliente;
    • Si può vendere direttamente online prodotti e servizi grazie all’ecommerce, un settore in continua crescita in Italia e che negli ultimi due anni ha fatto segnare un +264%.

    Non meno importante è la possibilità  di trovare nuovi clienti con il sito web facendo advertising mirato per intercettare chi in un determinato momento ha bisogno di uno specifico prodotto o servizio. Il sito web è fondamentale anche per fidelizzare i clienti aggiornandoli sui nuovi prodotti, progetti e novità  grazie ai contenuti sempre freschi, originali e interessanti. In questo modo il sito web genera un costante traffico di qualità  e permette all’azienda di raggiungere gli obiettivi di medio, lungo e breve periodo in termini di flusso di clienti, aumento del fatturato e incremento delle vendite.

    Come vedi sono veramente tanti i motivi per cui creare un sito web nel 2021 e anche nel 2022: per raggiungere i tuoi obiettivi devi affidarsi a chi di web design se ne intende e ad agenzie specializzate come Romaweblab a Roma, evitando il fai da te. Foto di Coffee Bean da Pixabay

  • Come ottenere un certificato SSL gratis grazie a Let’s Encrypt (da terminale)

    Come ottenere un certificato SSL gratis grazie a Let’s Encrypt (da terminale)

    Chiunque abbia il problema di impostare in maniera sicura il proprio sito web, avrà  a che fare con SSL ed i suoi certificati: la configurazione non è un qualcosa propriamente per principianti, ma per fortuna esiste un modo per aggirare il problema ed ottenere un certificato SSL gratis. Let’s Encrypt, una notissima autorità  per la certificazione dei domini (gestita dall’ Internet Security Research Group, organizzazione no-profit sostenuta da realtà  come Electronic Frontier Foundation, the Mozilla Foundation, Akamai e Cisco), cerca di sopperire al problema cercando di semplificare il servizio e soprattutto farlo gratuitamente.

    Perchè usare SSL?

    L’importanza di SSL sta crescendo giorno dopo giorno, anche se sono stati diffusi parecchi equivoci sul tema (tra cui un celebre comunicato di Google, che lo annunciava ufficialmente come fattore SEO invitando tutti i siti, indiscriminatamente, a farne uso), e non tutti i siti ne hanno effettivamente bisogno: i blog, per esempio, sono tra chi non ne necessiterà , al contrario dei siti di e-commerce e quelli che trattano dati sensibili ad accesso riservato come le banche online.

    Installare il client

    Per installare un certificato gratuito SSL, stando al sito ufficiale di Let’s Encrypt, sarà  sufficente aprire un terminale di comando remoto e digitare:

    sudo apt-get install lets-encrypt

    che installerà  il servizio.

    Installare il certificato sul sito

    il tutto deve essere seguito da un:

    lets-encrypt miosito.com

    che lo attiverà .

    Questo dovrebbe abilitare SSL sul sito in questione (quando il servizio sarà  attivo, quantomeno: si parla di metà  di quest’anno, cioè durante questo mese o quest’estate) o, detta meno formalmente, l’indirizzo https://miosito.com con la ‘s‘ finale che caratterizza questo tipo di connessione.

    Conclusioni

    Ricordo inoltre che SSL offre la duplice protezione della connessione da un lato (per evitare interferenze malevole dall’esterno) e la “garanzia”, entro certi limiti, di essere connessi al sito giusto da parte degli utenti e non ad un sito truffa o clone. Per scoprirne di più su SSL, inoltre, leggete il mio articolo Le 14 domande più comuni su SSL/HTTPS.

    Il fatto che sia necessario installare il certificato via terminale potrebbe incoraggiare gli utenti ad acquistare servizi avanzati come VPS e dedicati, e non più i classici condivisi: a meno che, ovviamente, gli hosting commerciali non si mettano in testa di fornire il servizio di default.

    Photo by blondinrikard

  • DuckDuckGo: il motore di ricerca che non traccia gli utenti

    DuckDuckGo: il motore di ricerca che non traccia gli utenti

    DuckDuckGo nell’era di Google? Qualcuno potrebbe avanzare un legittimo sospetto sulla sua utilità  effettiva: chi mai ne farà  uso? Eppure si usa, seppur da un settore specifico di pubblico e non certo, ovviamente, senza un perchè.

    Perchè si usa DuckDuckGo?

    Prendiamola larga: il principale problema dei motori di ricerca odierni sembra legato da un lato al fatto che utilizzano cookie ed altri fingerprint in maniera troppo disinvolta, e dall’altro al livello di controlli di qualità  sui risultati, rendendo qualsiasi intervento SEO molto più difficile di un paio di anni fa. Le politiche commerciali stringenti – e spesso parzialmente chiare – di questi motori hanno finito per influenzare un intero mercato, rendendo il processo stesso di link building (chi forza più link, vince) vero e proprio link earning (il link te lo guadagni se lo meriti o, in molti casi, se sei disposto a pagarne il prezzo). Senza contare che, se l’influenza delle precedenti ricerche è davvero così determinante, fare SEO su un sito più diventare quasi inutile ai fini del posizionamento.

    Come nasce DuckDuckGo

    Fondato da Gabriel Weinberg ed arrivato inizialmente un po’ in sordina, è diventato noto grazie ad un articolo su TechCrunch che ne illustrava le caratteristiche principali: la più importante era che combinava, per stabilire il ranking di una pagina, i risultati di Wikipedia con la tradizionale tecnologia di IR usata da Bing e Google. Eppure in pochi, tutt’ora, se ne sono accorti: stranamente, perchè DuckDuckGo sembra un progetto dalle intenzioni serie, che mette in primo piano semplicità  e difesa della privacy dell’utente.

    Quali sistemi operativi hanno adottato DuckDuckGo?

    Probabilmente più attratti, all’epoca, dalle rumorose novità  introdotte da Google, in pochi si sono accorti di questo motore: personalmente anch’io ne ho sempre sottovalutato l’impatto, anche perchè ritenevo un po’ vago il loro non utilizzo di tracciamento, da sempre distintivo di riconoscimento di DDG rispetto ai più noti competitor. GNOME Linux, ad esempio, utilizza DuckDuckGo come motore di ricerca di default, e la Apple (in mezzo a qualche polemica in termini di privacy) ha annunciato il suo supporto ufficiale allo stesso a partire da iOS 8 e OS X Yosemite. Meno dell’1% delle ricerche a questo sito, ad esempio, proviene da DDG: sono pronto a scommettere che questa percentuale aumenterà  nei prossimi mesi, anche perchè la qualità  dei risultati che sto monitorando mi sembra davvero interessante.

    Ma allora cos’è e come funziona…?

    Vedremo se DuckDuckGo potrà  avere un futuro anche in Italia, e che possa essere utilizzato come motore quantomeno “alternativo” quantomeno nel caso di ricerche non instantanee (puramente informative). Per saperne di più sugli aspetti pratici e tecnici (perchè dovresti usare DuckDuckGo, per intenderci) leggi la panoramica generale che ho scritto di seguito. DuckDuckGo è il motore di ricerca (in inglese, italiano e molte altre lingue)   fondato da Gabriel Weinberg che sta lentamente prendendo piede anche in Italia. Poichè l’ho sperimentato un po’ nella scorsa settimana, presento un po’ di osservazioni secondo me utili sullo stesso.

    Esso si presenta semplice ed essenziale fin dal suo primo utilizzo, che qui ho testato per la chiave di ricerca “hosting“. Le informazioni sono presentate senza fronzoli, con un buon livello di leggibilità , con la favicon del sito a fare da icona e – cosa ancora più interessante – senza paginazione dei risultati, visto che i risultati si possono caricare progressivamente restando nella stessa pagina. Quasi a voler dare per scontato che ciò che l’utente sta davvero cercando non è per forza in prima pagina.

    Screen 2015-07-05 alle 14.13.06

    Il suo URL (in HTTPS di default) appare piuttosto semplice e poco manipolabile, anche perchè non sembra tenere conto realmente delle ricerche precedentemente effettuate (ho cercato hosting dopo aver cercato domini e PHP, per la cronaca). Gli altri parametri – di cui alcuni difficilmente identificabili – sembrano relativi ad opzioni di nazionalità , lingua e tipo di ricerca.

    Screen 2015-07-05 alle 14.14.01

    A seconda del termine richiesto, possono apparire all’utente – a seconda delle ricerche – ricerche verticali relative a “Informazioni“, “Immagini“, “Video” e l’interessante “Significati“, relativo alla disambigua di termini come “domini” che possono avere più di un significato a seconda delle intenzioni dell’utente.

    Screen 2015-07-05 alle 14.18.38

    Per quanto riguarda le ricerche per adulti, sono nascoste di default, a meno che non sia impostate diversamente dai settings. Impostazioni che, peraltro, riguardano lingua, ricerca sicura, risposte istantanee, suggerimenti automatici, annunci pubblicitari (possono essere disabilitati), interruzioni di pagina e molto altro.

    Screen 2015-07-05 alle 14.30.32

    Il tutto è simile al caso di Google ma, ripetiamo, senza alcun tracciamento da parte dell’utente: i risultati di ricerca non sono quindi condizionati dalle ricerche precedenti dello stesso utente: in termini di chi fa SEO, può essere un vantaggio non indifferente, ammesso che il volume di traffico sia consistente.

    Cosa curiosa, se provate a visualizzare un video da Youtube, può apparire una notifica che chiarisce come la navigazione anonima non sia, di fatto, consentita dal sito. Non lo sapremmo mai in modo così esplicito se non fosse per DDG, in effetti.

    Screen 2015-07-05 alle 14.21.45

    Una differenza sostanziale rispetto a Google coinvolge il livello di “recentismo” delle informazioni, apparentemente ancora assente dal motore; e ce ne accorgiamo subito cercando una parola chiave molto popolare su cui siano uscite di recente notizie. Google privilegia il lato più relativo al trend, almeno per le ricerche di news, mentre DDG comunque quello informativo-didascalico.

    Screen 2015-07-05 alle 14.40.32
    Screen 2015-07-05 alle 14.40.25

    A confronto, i criteri utilizzati dai due motori sono quasi certamente molto diversi, ma è difficile specificare meglio di così questo aspetto se non per semplici congetture o ipotesi.

    Per concludere, DuckDuckGo sta pubblicando su GitHub numerosi progetti open source in Perl e non solo: tenere d’occhio la pagina in questione può essere certamente motivo di ulteriore interesse.

    La forza di una novità , quindi, che prova a fare concorrenza ad un Google che, ormai, occupa la maggioranza del mercato del settore, arrivando al 90-95% di tutto il traffico web: praticamente una posizione monopolista, difficile da contrastare per definizione. Anche perchè, al di là  delle questioni legate soprattutto alla privacy, è difficile arrivare al livello di precisione e di dettaglio che, con qualche eccezione, Google riesce ad offrire ai propri utenti.

    Photo by Infomastern

  • Cos’è un backorder di domini

    Cos’è un backorder di domini

    Un backorder di domini è un servizio su internet che consente agli utenti registrati, generalmente dietro pagamento di un fee periodico e di un costo (che può essere variabile) di ogni singolo dominio, di tentare di “prenotare” la registrazione di un dominio in scadenza, in cancellazione o comunque non più rinnovato.

    Questi servizi in sostanza cercano di individuare i nomi di dominio dall’elevato valore commerciale, che possono essere ad esempio:

    1. nomi di brand famosi o variazioni / mispelling;
    2. chiavi di ricerca molto popolari in corrispondenza parziale o (anche se piuttosto raro) in corrispondenza esatta;
    3. nomi molto brevi (di 3 o 4 lettere) cosiddetti premium.

    Questo genere di attività  è molto sfruttata dai SEO al fine di incrementare la popolarità  di un sito web, cercare di superare la concorrenza o al limite effettuare dei redirect 301 (o al limite recuperare dei backlink) al sito che si intende promuovere. Ogni estensione di dominio possiede le proprie precise tempistiche in merito ai tempi di recupero, per cui a volte per l’assegnazione effettiva del dominio sarà  necessario attendere anche 40 o 60 giorni, come spiegato nella pagina su come recuperare un dominio scaduto.

    L’importanza della scelta di un buon nome di dominio è fondamentale per il successo di una qualsiasi attività  di web-marketing: molto spesso pero’ i nomi migliori sono già  stati comprati da qualcun altro, e non è facile riuscire a monitorare quando sia il momento opportuno per prendere un nome abbandonato prima di qualche altro concorrente. Nidoma, ad esempio, uno dei principali backorder italiani di nomi di dominio, permette di fare backorder e brokeraggio di questi nomi, ovvero ne consente l’acquisto agli utenti che ne desiderino qualcuno in particolare. Non sempre è facile (e soprattutto non sempre è davvero economico) riuscire ad aggiudicarsi i nomi migliori, ma le offerte sono davvero tantissime (e quotidiane) e con un po’ di fortuna e di attenzione si possono fare davvero degli ottimi affari.

    La lista di domini in scadenza viene aggiornata periodicamente a questo indirizzo del forum alverde.net.

  • Che cos’è davvero BERT di Google

    Che cos’è davvero BERT di Google

    Cos’è Google BERT

    BERT è un acronimo che indica Bidirectional Encoder Representations from Transformers , espressione intraducibile in italiano che consiste in un algoritmo di intelligenza artificiale che è in grado di processare il linguaggio naturale, quindi ad esempio il francese, l’italiano, l’inglese e così via. Alla base di BERT vi è una tecnologia molto evoluta, fondata sulle reti neurali o neuronali, già in voga da diversi anni per altre applicazioni, e qui sfruttate in termini dei cosiddetti transformers. BERT ha ovviamente rivoluzionato il mondo dell’elaborazione del linguaggio naturale (NLP) con risultati promettenti, che si sono visti sia nell’evoluzione dei software come chatbot sempre più evoluti che nell’ambito puramente SEO, con SERP di risposta alle nostre ricerche sempre più evolute e “umanizzate“.

    Si tratta di un caso particolare di rete neurale, detta RNN (Recurrent Neural Network, o rete neurale ricorrente) utilizzata per la comprensione del linguaggio da parte di un algoritmo, o per indurre ad un chatbot (ad esempio) la capacità di rispondere a domande specifiche poste dall’uomo. La parola recurrent denota la capacità di BERT di essere curiosamente dotata di “auto-attenzione”, una dote tecnologica che la presta naturalmente (per quanto si è scoperto) ad essere molto adatta a tradurre in automatico e in modo efficace articoli in francese, inglese e tedesco anche di natura molto complessa. A fronte di una maggiore qualità di “interpretazione” del testo che gli diamo in pasto (in input), richiede anche meno sforzo computazione e si candida, pertanto, ad essere usata con successo dentro BERT.

    Esistono vari branch che si adeguano ad altrettanti scopi leggermente diversi: ALBERT, RoBERTa, ELECTRA e SpanBERT, che è quello che viene usato per lo più dai chatbot più evoluti.

    Come funziona BERT a livello pratico: il pre-training

    L’algoritmo BERT cerca di “imparare” una lingua dalla scansione di una fonte come un sito web, ad esempio, come potrebbe esserlo Wikipedia. Tale fase viene detta pre-training o pre-addestramento, e una volta che ha “studiato” sarà pronta ad effettuare operazioni come rispondere a domande poste in linguaggio naturale (ad esempio: “dove posso trovare un hotel in zona”, ma anche “quanti anni hai”, il che pone una serie di problematiche etiche emerse sul progetto LaMDa, ad esempio).

    Alla prova dei fatti, gli sviluppatori sono in grado di effettuare le operazioni di pre-training per uso nell’ambito del cosiddetto NLP (Natural Language Processing), ovvero capacità di processare testi scritti in qualsiasi lingua parlata, in circa mezz’ora di tempo massimo dal lancio della procedura. Vale anche la pena immaginare cosa succederebbe se BERT fosse addestrato su un sito poco controllato o di notizie di scarsa qualità, ad esempio, e non è impossibile immaginare che diventerebbe un potenziale strumento di diffusione di fake news non da poco.

    Come funziona BERT a livello di sviluppo

    La versione open source di BERT si basa su tecnologia anch’essa open source ad oggi TensorFlow 2.3. Le attività software su BERT sono orientativamente basate sui seguenti passi che ogni sviluppatore o progettista deve eseguire:

    • comprensione del transformer;
    • test e addestramento di BERT su un modello di linguaggio (MLM);
    • test su parole e frasi brevi;
    • sviluppo software dopo apprendimento su una knowledge base adeguata (Wikipedia o altri);
    • testing e affinamento del prodotto;
    • varie ed eventuali: studio modelli interlinguistici (XLM, XLM-R), analisi dei risultati e migliorie progressive del prodotto.

    Esempio pratico di BERT nelle SERP di Google

    Un esempio classico per capire cosa cambia con BERT per le SERP è quello di immaginare delle ricerche-tipo e provare a vedere, sulla falsariga di quanto indicato dal loro blog, quanto sia sostanziale il mutamento della risposta.

    Il motore di ricerca nel dare una pagina web come risposta ragiona sul matching parziale, esatto o approssimato delle keyword che cerchiamo all’interno delle parole chiave. Questo va bene e va per la maggiore ancora adesso, ma di per sè non è più sufficente: in alcuni casi, infatti, può essere un approccio fuorviante, soprattutto quando il senso di alcune parole fosse ambiguo. Per risolvere la questione BERT ha rivoluzionato l’approccio, introducendo la possibilità per il parser che analizza la frase di cogliere l’essenza delle parole del testo in modo più preciso. I modelli usati da BERT sono infatti in grado di comprendere e analizzare il contesto della frase, ed effettuare quella che viene chiamata definizione della search intent, cioè le reali intenzioni di chi sta cercando a prescindere da come abbia scritto la ricerca (e da quanto la stessa sia a volte “poco ortodossa”, peraltro).

    Quali sono le ricerche su cui lavora usualmente BERT, a questo punto? Non abbiamo una lista ufficiale in merito ma, per quanto ne sappiamo da Google stessa, sono frasi in cui sono presenti preposizioni come “per” o “verso” che abbiano una valenza più importante di semplici stopword, ovvero non siano parole da ignorare.L’utente non deve preoccuparsi di come scriva uan ricerca, perchè BERT dovrebbe in teoria essere in grado di capirla lo stesso, grazie ad un semplice motivo statistico: conosce varie forme di frasi scritte nella sua base di conoscenza, e può intuire (per dirla così) cosa sia leggermente diverso e assimilarla ad una semantica già nota.

    Esempi pratici di BERT

    Qualche esempio sarà di aiuto per capire di cosa parliamo, a questo punto. Google riporta l’esempio di un utente che cerchi  “nel 2019 i viaggiatori brasiliani verso gli stati uniti hanno bisogno di una carta visa“? La preposizione “verso” è molto importante per comprendere il contesto: ci interessa capire cosa debbano fare i viaggiatori diretti negli USA, e questo senza BERT sarebbe impossibile da effettuare. La confusione potrebbe regnare sovrana, perchè Google potrebbe restituire pagine web che parlano di cittadini USA che vanno in Brasile, ad esempio. Motivo per cui, nei tempi pre-BERT, sarebbe apparsa in prima pagina su Google un articolo che parla di viaggiatori USA che vanno in Brasile o viceversa, imprevedibilmente. Oggi, con BERT, può comparire il sito dell’ambasciata brasiliana negli USA, con tutte e sole le informazioni necessarie.

    Facendo un altro esempio per capire ancora meglio, ecco cosa succede con e senza BERT in risposta alla ricerca “gli estetisti fanno un sacco di lavoro“: senza BERT, esce plausibilmente fuori una pagina web che riporta semplicemente le corrispondenze delle parole utilizzate. Con BERT, al contrario, le parole della ricerca sono contestualizzate meglio, e Google comprende la sfumatura esistente del verbo stand, che non va inteso come “stare in piedi” e non va matchato nella pagina così com’è (screen a sinistra, sotto BEFORE), ma va inteso nel contesto di un sito differente che si occupa, ad esempio, della salute e dello sforzo fisico legato alla professione di estetista (screen a destra, AFTER).