Dopo la pubblicazione di dati riservati di Twitch, inclusivi del sorgente del sito, delle contromisure per la sicurezza e dei guadagni degli streamer, è uscito fuori un dato significativo che evidenzia il cosiddetto (noto in letteratura con questo nome) problema di Scurnthorpe. Per capire subito di che cosa si tratta, basta considerare la fase di iscrizione ad un qualsiasi servizio online: inseriamo un indirizzo di posta ed una password, e in alcuni casi ci è richiesto di indicare un nickname. Ed è qui che emerge il problema, meno banale di ciò che possa sembrare.
A parte l’ovvia verifica del fatto che non sia già stato preso da qualcun altro, alcuni sistemi implementano una sorta di filtro ulteriore, che impedisce l’uso di nickname con parole volgari al loro interno. Il problema di Scurnthorpe si verifica nel momento in cui alcune parole possono avere un significato ambivalente, ad esempio essere parte di una parola volgare oppure no. Pensiamo ad esempio alla parola cazzare, che può fare riferimento al cazzare la randa cosଠcome, via pattern matching, al membro maschile. Il problema è ancora più sensibile perchè se ad esempio uno possiede un cognome “ambiguo” (dove il virgolettato è soggettivo ovviamente), dal “punto di vista” del sistema certi cognomi esistenti come Vacca, Chiappa, Porco e cosଠvia sono potenzialmente filtrabili, creando un blocco all’utente che vorrebbe legittimamente registrarsi.
I programmatori di Twitch avevano previsto varie funzioni per limitare l’uso di certi nickname non opportuni, sfruttando corrispondenza con regex (espressioni regolari, ovvero pattern per verificare la presenza di certe stringhe o sottostringhe). Nell’ambito del data leak di Twitch, nello specifico, su Ghostbin (un servizio tipo pastebin per postare codice in anonimo) sono state pubblicate alcune funzioni SQL che servono a filtrare la scelta delle username, apparentemente. Il tutto evitando riferimenti all’Isis, al razzismo, alla pornografia infantile, alla droga, alla blasfemia (in italiano!) al sesso in genere, al neonazismo, al suicidio, al cyberbullismo, alla violenza. Ma anche a George Floyd, associato ad una funzione is_tragedy (di cui non capiamo il senso, francamente), confermando la tendenza di queste piattaforme a limitare le scelte degli utenti, creando l’effetto walled garden tipico di molti altri social. Una delle tante piattaforme che assomigliano sempre di più a delle nazioni con delle regole, che spesso travalicano quelle degli stati degli utenti e su cui, ovviamente, tanto ci sarà da discutere nei prossimi anni.
Foto di Anemone123 da Pixabay
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