Gamification: che cos’è, come farne uso


Se volessimo tradurre gamification in italiano, ne verrebbe fuori un inconsueto “ludicizzazione”: un termine che suona vecchio, se vogliamo, in un contesto tecnologico, e che rende al tempo stesso l’idea di ciò che possa o debba significare nella pratica.

Se volessimo applicare con un esempio pratico tale idea di fondo, in effetti, si tratta di applicare i principi del game design a contesto che non hanno nulla a che vedere coi videogiochi.

Che cos’è la gamification?

Volendo dare una definizione compatta, la gamification è un approccio (tipico del marketing più evoluto, ad esempio) che applica i principi di “guadagno punti” tipico dei videogame ad un contesto reale. Della serie: cerco di coinvolgere il mio cliente o prospect incoraggiando l’uso di determinate pratiche, portandolo a modificare o aggiustare il proprio comportamento per finalizzare determinati obiettivi. Questo, ovviamente, può essere applicato a svariati ambiti – inclusi quelli lavorativi o addirittura interpersonali – con il risultato (vagamente inquietante) di poter risultare in una pratica puramente manipolatoria (do’ l’idea di “far giocare” una persona per raggiungere i miei obiettivi).

Quali sono gli obiettivi di questa pratica?

Obiettivi tipici che possiamo ottenere, secondo i rispettivi sostenitori dell’approccio, grazie all’uso della gamification sono:

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  1. gestire meglio i propri contatti o clienti, coinvolgendoli attivamente;
  2. aumentare il tasso di diffusione e di fedeltà  ad un brand;
  3. ottenere migliori risultati in termini di marketing di un prodotto;
  4. aumentare il tasso di permanenza di un utente su una certa piattaforma, intrattenendolo con il “gioco” in senso lato (non gioco come potrebbe esserlo un arcade, bensଠgioco inteso come design di interfaccia e di tipo di interazione).

Esempi pratici di gamification

Per quanto possa apparire bizzarra come idea, è un qualche che molte aziende hanno fatto: alcuni social network (e già  alcuni forum, in effetti) avevano introdotto l’idea dei “livelli” di utenza, ovvero che ogni partecipante potesse o dovesse guadagnare “punti” per salire di livello e poter interagire sempre meglio. Da un punto di vista tecnico, la cosa era dettata da un’esigenza di “ordine pubblico digitale”, almeno all’inizio: in questo modo si dava ad esempio la possibilità  di linkare il proprio sito solo se avevi un livello di utenza superiore a quello da appena iscritto, con l’ovvio risultato di evitare che la gente si iscrivesse ai social solo per pubblicare il link del proprio sito.

Al netto dei livelli, la gamification prevede ad esempio la raccolta punti per ottenere maggiori vantaggi, ed un esempio primordiale quanto efficace di tale effetto è legato ad esempio alla classica “raccolta punti” al supermercato, che vale come incentivo per l’acquisto. Anche il meccanismo del cashback, se vogliamo, funziona sullo stesso principio: incoraggiare l’economia e l’acquisto di beni e servizi dando la “tangibilità ” di ciò che si fa e la possibilità  di acquisire “punti”, oltre che beni.

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La gamification non è per forza un qualcosa dalla valenza positiva: nel libro La Q di Qomplotto, ad esempio, Wu Ming 1 sostiene che certi meccanismi di funzionamento dei social network, come il classico scroll infinito (quello che fa apparire sempre nuovi aggiornamenti dentro Facebook), siano gamification a tutti gli effetti, tanto da sfiorare in certi frangenti la ludopatia (termine su cui bisognerebbe discutere, cosa che non faremo per amor di brevità ). Lo scroll dei post che fa apparire agli utenti nuove foto, video ed aggiornamenti dello status dei nostri contatti teoricamente all’infinito ricorda, sempre secondo l’autore, la rotazione dei rulli delle slot machine.

Foto di MyTechLogy Where IT Talents Shine da Pixabay

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