Si tende a parlare di ransomware come di virus di ultima generazione, particolarmente cattivi e difficili da rimuovere; lo abbiamo fatto in più occasioni anche su questo sito, indicando i rimedi per evitare e per rimuoverli (purtroppo piuttosto limitati, ad oggi). Come indicato anche da Wikipedia, infatti, e come raccontato da Mikko Hypponen in una recente conferenza, il primo esempio noto di ransomware nella storia dell’informatica risale al 1989, con il trojan AIDS / PC Cyborg, con il quale veniva richiesto un riscatto di 189 dollari per riavere i propri file (che nel frattempo erano stati criptati di nascosto).
Ricordiamo che i virus di tipo ransomware – esempi recenti sono xtroj/PHPrans-b (ransomware che colpisce siti web), Ransom32, CTB-locker, Cryptolocker – sono dei malware che tendono a limitare l’accesso ad alcune aree del sistema operativo della vittima, e sono diffusi sia in varianti relativamente agevoli da rimuovere (bloccano il PC e ne rendono molto difficile l’accesso) che in versioni decisamente più “cattive”, le quali criptano i file importanti rendendo il computer impossibile da utilizzare e, soprattutto, lasciando poche o nessuna possibilità di riavere i documenti, le immagini ed i file in generale corrotti. Se i file fossero cancellati, infatti, ci sarebbero decisamente più possibilità di recuperarli mediante opportuni software di recupero: criptandoli, invece, le difficoltà aumentano notevolmente e, ad oggi, non sembra esistere un modo di recuperarli.
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