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  • Come registrare un marchio: Tutto quello che c’è da sapere

    Come registrare un marchio: Tutto quello che c’è da sapere

    La vostra idea è quella di aprire un e-commerce o di lanciare un nuovo prodotto sul mercato? Per tutelare il vostro business, dove assolutamente registrare il vostro marchio.

    La registrazione di un marchio è un passaggio fondamentale per proteggere l’identità e l’unicità di un prodotto, di un servizio o di un nuovo brand. Si tratta di una procedura essenziale che vi garantirà l’uso esclusivo del marchio e di mantenere il possesso del vostro dominio proteggendolo dall’uso non autorizzato da parte di terzi.

    In questo articolo, esamineremo insieme agli esperti della Web Digital Design come funziona il processo di registrazione di un marchio, le varie fasi della procedura e i costi associati.

    Prima di iniziare, un piccolo consiglio per voi, vi consigliamo di rivolgervi sempre ad un legale esperto in registrazione dei marchi, che sia in grado di occuparsi anche dell’analisi preliminare di registrabilità del marchio, così da indirizzarvi verso la scelta più giusta del marchio da depositare.

    Cos’è un marchio?

    Un marchio è un segno distintivo che contraddistingue un’impresa da un’altra, può essere costituito da parole, lettere, numeri, forme, immagini o combinazioni di questi elementi ed è regolamentato dal codice civile e dal codice di proprietà industriale, oltre che dalle normative europee e internazionali.

    In generale un marchio per essere definito tale, deve possedere due caratteristiche fondamentali: prima di tutto deve essere distintivo, ciò significa che non deve avere denominazioni generiche e deve essere nuovo, ovvero deve distinguersi da tutti gli altri marchi. Inoltre, un marchio funziona come indicatore di provenienza del prodotto o del servizio e da indicatore di garanzia di qualità. Infatti, tutti i consumatori capiscono la qualità dei prodotti a seconda del marchio a cui appartengono. Infine, un marchio ha anche funzione pubblicitaria, attraverso i simboli riesce a comunicare ai consumatori un messaggio visivo, trasmettendo le proprie caratteristiche e i propri valori.

    In ogni caso, esistono diverse tipologie di marchio, abbiamo:

    • Il marchio denominativo, costituito da parole, numeri o nomi di persona
    • Il marchio figurativo, costituito da disegni, immagini o elementi visivi
    • Il marchio misto, costituito da disegni o immagini ed elementi verbali.

    Inoltre, nella definizione di marchio sono inclusi anche suoni, odori e movimenti, forma, posizione e colore.

    Come funziona la procedura di registrazione

    La registrazione di un marchio può essere gestita personalmente da voi oppure meglio ancora se affidata ad un legale rappresentante. Prima di procedere con la registrazione, si consiglia sempre di effettuare una ricerca di anteriorità per verificare che il marchio non sia già registrato da altri. Quali sono gli altri passaggi?

    1. Deposito della domanda: La domanda di registrazione può essere presentata online sul sito UIBM (Ufficio Italiano Brevetti e Marchi) o alla Camera di Commercio, o tramite procedura cartacea. La domanda deve includere: modulo compilato, elenco dei prodotti o servizi per cui si richiede la registrazione e ricevuta di pagamento delle tasse di registrazione.
    2. Esame delle domanda: Dopo la richiesta di registrazione, l’UIBM esamina la domanda per assicurarsi che sia conforme ai requisiti legali. L’esame comprende la verifica dell’unicità del marchio e che esso sia diverso dai marchi già registrati.
    3. Pubblicazione: Se l’UIBM approva la domanda, il marchio viene pubblicato nel Bollettino dei Marchi. Attenzione! Durante il periodo di pubblicazione, terze persone possono presentare opposizione alla registrazione se ritengono che il marchio violi i loro diritti.
    4. Registrazione: Se non ci sono opposizioni, il marchio viene finalmente registrato e il titolare riceve un certificato di registrazione. In ogni caso, il marchio ha una durata di 10 anni, poi può essere rinnovato.

    Quali sono i costi?

    Per quanto riguarda i costi per la registrazione di un marchio, questi possono variare a seconda della modalità di deposito e delle classi di prodotti e servizi per cui si richiede la registrazione. I costi principali includo:

    • tassa di deposito, che è di circa 177 euro per una classe di prodotti o servizi. Ogni classe aggiuntiva comporta un costo supplementare di 34 euro circa.
    • Tassa di pubblicazione, inclusa nella tassa di deposito
    • costi professionali, se si chiede aiuto ad un consulente specializzato

    In conclusione, la registrazione di un marchio è senza dubbio un investimento importante per un’impresa, in primis perché offre protezione legale e poi perché aiuta a mantenere la competitività sul mercato. Nonostante il processo possa sembrare difficile, seguendo la procedura giusta e rivolgendosi a dei professionisti, è possibile registrare un marchio in modo sicuro ed efficace. Foto di Pixabay: https://www.pexels.com/it-it/foto/motore-di-ricerca-google-su-macbook-pro-40185/

  • Gamer: Come Trasformare la Tua Passione in Lavoro

    Gamer: Come Trasformare la Tua Passione in Lavoro

    Se sei un appassionato di videogiochi, avrai sicuramente sognato almeno una volta di trasformare la tua passione in una professione remunerativa. Ebbene, ti sorprenderà sapere che nel mondo moderno, diventare un gamer professionista o lavorare nell’industria dei videogiochi è più accessibile di quanto si possa pensare. In questo articolo esploreremo diverse vie per trasformare la tua passione per i videogiochi in una carriera gratificante e, allo stesso tempo, daremo uno sguardo alla fiscalità che riguarda questa attività.

    Diventa un Gamer Professionista

    Una delle strade più ambite per coloro che amano i videogiochi è quella di diventare un gamer professionista. Questo significa competere in tornei di alto livello, guadagnare sponsorizzazioni e persino ottenere contratti da parte di squadre professioniste. Tuttavia, il cammino verso il successo non è facile e richiede impegno, dedizione e abilità.

    1. Migliora le tue Abilità

    La base per diventare un gamer professionista è avere un’eccellente padronanza del gioco in cui desideri competere. Dedica tempo alla pratica, studia strategie, impara dai migliori e partecipa a tornei locali per mettere alla prova le tue abilità.

    2. Costruisci una Presenza Online

    Essere visibili online è fondamentale nel mondo dei giochi professionisti. Crea e gestisci i tuoi profili sui principali social media e piattaforme di streaming come Twitch o YouTube. Condividi i tuoi gameplay, interagisci con i tuoi follower e costruisci una community attorno a te.

    3. Partecipa ai Tornei

    Partecipa a tornei locali e online per farti notare dalla community e dagli sponsor. Migliora le tue prestazioni, stringi contatti con altri giocatori e cerca opportunità per metterti alla prova contro i migliori.

    Lavora nell’Industria dei Videogiochi

    Oltre a diventare un gamer professionista, esistono numerose altre opportunità lavorative nell’industria dei videogiochi. Potresti diventare uno sviluppatore di giochi, un tester di videogiochi, un grafico, un musicista o un produttore di contenuti.

    1. Sviluppatore di Giochi

    Se hai competenze di programmazione e un’idea originale, potresti intraprendere la carriera di sviluppatore di giochi. Puoi lavorare per una grande azienda di sviluppo o avviare il tuo studio indipendente.

    2. Tester di Videogiochi

    I tester di videogiochi sono responsabili di individuare bug e problemi nei giochi prima del loro rilascio. Se ti piace giocare e hai un occhio attento ai dettagli, potresti considerare questa carriera.

    3. Grafico o Musicista

    Se sei un artista o un musicista, potresti trovare lavoro nell’industria dei videogiochi creando grafica o composizioni musicali per i giochi.

    Fiscalità nel Mondo dei Videogiochi

    Passiamo ora alla parte più pratica: la fiscalità. Quando trasformi la tua passione per i videogiochi in una professione, è importante comprendere gli aspetti fiscali che ne derivano.

    Regime Fiscale per i Gamer Professionisti

    I gamer professionisti sono considerati lavoratori autonomi e, di conseguenza, devono pagare le tasse come tali. È necessario aprire una partita IVA e tenere una contabilità precisa delle entrate e delle spese legate all’attività di gaming.

    Deduzioni Fiscali

    Con alcuni regimi fiscali è possibile dedurre alcune spese connesse all’attività di gaming, come l’acquisto di hardware, software, costi di viaggio per partecipare ai tornei e abbonamenti a servizi online. Puoi dedurre anche le spese relative alla tua postazione di gaming come l’acquisto della scrivania e della sedia ergonomica.

    Consulenza Fiscale

    Date le complessità della fiscalità per i gamer professionisti, è consigliabile consultare un esperto fiscale che possa fornire assistenza personalizzata e consigli su come ottimizzare la propria situazione fiscale.

    In conclusione, trasformare la tua passione per i videogiochi in una carriera è possibile, ma richiede impegno, dedizione e conoscenza degli aspetti fiscali. Se hai domande o dubbi sulla fiscalità legata alla tua attività di gaming, non esitare a contattare Fiscozen per una consulenza gratuita e senza impegno. I nostri esperti saranno lieti di aiutarti a navigare nel complesso mondo della fiscalità dei videogiochi. Foto di Pexels da Pixabay

  • Suggerimenti per creare il giusto ambiente per smart working

    Suggerimenti per creare il giusto ambiente per smart working

    In seguito alla pandemia da Covid-19 una grande fetta della popolazione mondiale si è ritrovata a fare i conti con il lavoro da casa, il cosiddetto smart working.

    Questo nuovo lavoro che viene praticato solo da pochi anni in maniera massiccia è una modalità lavorativa che consente ai dipendenti di svolgere le proprie mansioni al di fuori dell’ufficio tradizionale, utilizzando tecnologie digitali e strumenti di comunicazione avanzati dalla propria casa.

    Questo modo di lavorare, utilizzato inizialmente per far fronte all’emergenza è però rimasta un’abitudine per molte aziende. I vantaggi sono visibili da ambo le parti, sia per i datori di lavoro che per i dipendenti.

    Per i primi, comporta spesso una riduzione dei costi operativi, aumento della produttività e accesso a un bacino più ampio di talenti. Per i secondi, invece, significa riduzione dei tempi di pendolarismo, maggiore autonomia e la possibilità di gestire meglio gli impegni familiari e personali.

    Tuttavia, lo smart working presenta anche delle sfide, come la necessità di garantire la sicurezza dei dati, mantenere la collaborazione tra i team, prevenire il rischio di isolamento dei lavoratori. Per i lavoratori stessi invece a volte può essere un limite perché trovare e adeguare uno spazio dedicato al lavoro da casa non è facile.

    Segui i consigli di seguito per creare il giusto ambiente per lo smart working.

    Scelta del Luogo

    Prima di tutto, bisogna trovare uno spazio dedicato a questa specifica mansione, possibilmente una stanza della casa da dedicare esclusivamente al lavoro, alla postazione e a tutto ciò che può servirti. È meglio evitare gli spazi comuni come il salotto o la cucina per non essere disturbato e a tua volta disturbare gli altri componenti della famiglia.

    Arredamento e attrezzatura

    Una buona postazione da lavoro da smart working deve essere necessariamente comoda ed ergonomica perché ci passerai diverse ore della giornata. Investi in una sedia ergonomica e una scrivania adatta per prevenire problemi posturali e garantire la comodità.

    È importante anche posizionare il monitor ad un’altezza adeguata e anche non molto vicino al viso per non rovinare la vista. Utilizza un supporto per il monitor o un laptop stand per mantenere lo schermo all’altezza degli occhi e ridurre di conseguenza l’affaticamento del collo. Usa anche una tastiera e un mouse esterni, cuffie con cancellazione del rumore e una webcam di buona qualità per migliorare le tue comunicazioni.

    L’organizzazione e l’ordine sono fondamentali, posiziona i cavi in modo sistemato grazie alle clip e passacavi, sistema la scrivania senza sovraccaricarla di oggetti che non ti sono utili ma riponili in cassetti, scaffali e contenitori.

    Tecnologia e Connessione

    Una volta capito che lavorerai da casa avrai bisogno di una connessione ad Internet stabile e affidabile per interagire con colleghi e superiori. Informati sulle offerte presenti nella tua zona e misura la velocità della linea

    Ambiente e Comfort

    La luce proveniente dal computer non basta, è necessaria anche una buona illuminazione esterna, usa una lampada da scrivania regolabile per avere un’illuminazione adeguata anche per leggere i documenti cartacei. Durante le giornate più soleggiate utilizza tende per porta finestra se è presente nella tua stanza.

    Mantieni una buona temperatura, intorno ai 22 gradi in inverno e 26 in estate, ricorda anche di arieggiare spesso per avere ossigeno pulito a disposizione.

    Personalizzazione

    Infine, ma non meno importante è decorare come preferisci il tuo spazio. Puoi optare per decorazioni, foto, tende e oggetti che ti ispirano e ti rendono felice. Puoi riprodurre della musica per darti la carica e aggiungere anche delle piante facili da tenere in vita che creeranno uno spazio rilassante e piacevole alla vista.

  • Cosa significa assessment

    Cosa significa assessment

    L’assessment è un termine inglese utilizzato in vari contesti per riferirsi a valutazioni, misurazioni o analisi di diverse situazioni, competenze, o performance. L’etimologia della parola “assessment” risale alla parola latina “assidere”, che significa “sedersi accanto a” o “stare vicino a”. Nel contesto dell’assessment, questa radice indica il processo di valutazione o analisi che si svolge “accanto” o in stretta relazione con l’oggetto o la situazione che viene esaminato.

    L’assessment può assumere diverse forme in base al contesto in cui viene utilizzato. Ecco alcune delle principali:

    1. Assessment educativo: In ambito educativo, l’assessment si riferisce alla valutazione delle competenze, conoscenze e abilità degli studenti. Può includere test standardizzati, esami, valutazioni continue e altre forme di valutazione per misurare il progresso degli studenti.
    2. Assessment delle risorse umane: Nelle aziende, l’assessment viene utilizzato per valutare le abilità, le competenze e le caratteristiche dei dipendenti o dei candidati durante il processo di selezione del personale. Questo può includere interviste, test psicometrici, valutazioni delle performance passate, ecc.
    3. Assessment psicologico: In psicologia, l’assessment è utilizzato per valutare la salute mentale, il benessere emotivo e le caratteristiche personali di un individuo. Questo può coinvolgere test di personalità, valutazioni psicologiche e colloqui clinici.
    4. Assessment aziendale: Nelle aziende, l’assessment può essere utilizzato per valutare la performance aziendale, l’efficacia delle strategie, la soddisfazione dei clienti e altri aspetti chiave dell’organizzazione. Questo può comportare analisi finanziarie, sondaggi, ricerche di mercato e altro ancora.
    5. Assessment delle competenze: In diversi settori, viene effettuata un’analisi delle competenze per identificare le abilità e le conoscenze necessarie per svolgere un determinato lavoro o compito. Questo aiuta a valutare se le persone hanno le capacità richieste per una determinata posizione.
    6. Assessment clinico: In campo medico, l’assessment è utilizzato per valutare la salute di un paziente, diagnosticare le malattie e pianificare il trattamento. Questo può coinvolgere esami fisici, analisi del sangue, imaging medici e valutazioni dei sintomi.

    In generale, l’obiettivo dell’assessment è ottenere informazioni affidabili e valide per prendere decisioni informate o per migliorare una situazione o una performance specifica. L’uso dell’assessment varia ampiamente a seconda del contesto e degli scopi specifici. Foto di Алекс Арцибашев su Unsplash

  • Come convertire jfif in jpeg

    Come convertire jfif in jpeg

    Convertire un file JFIF in JPG è un processo molto semplice. JFIF è un formato di file immagine che solitamente contiene dati JPEG compressi, quindi la conversione a JPG è spesso solo una questione di rinominare l’estensione del file. Ecco come puoi farlo:

    Rinominare l’estensione del file (…era facile, non te l’aspettavi, vero 🙂 )

    1. Trova il file JFIF:
      • Vai nella cartella in cui è salvato il file JFIF che desideri convertire.
    2. Rinomina il file:
      • Fai clic destro sul file JFIF e seleziona “Rinomina”.
    3. Modifica l’estensione del file:
      • Modifica l’estensione del file da .jfif a .jpg. Assicurati di modificare solo l’estensione e non il nome del file principale.
    4. Conferma la modifica:
      • Potrebbe apparire un avviso di conferma che ti informa che cambiando l’estensione potresti rendere il file non utilizzabile. Conferma la modifica dell’estensione.
    5. Apri il file JPG:
      • Dopo aver rinominato il file, puoi ora aprirlo con qualsiasi visualizzatore di immagini che supporta il formato JPG, come l’app Foto di Windows, Anteprima su macOS, o qualsiasi altro programma di editing o visualizzazione di immagini.

    Utilizzare strumenti online

    Se preferisci utilizzare uno strumento online per convertire il file JFIF in JPG, puoi seguire questi passaggi:

    1. Visita un convertitore online:
    2. Carica il file JFIF:
      • Carica il file JFIF dal tuo computer.
    3. Seleziona JPG come formato di output:
      • Nelle opzioni di conversione, scegli JPG come formato di output.
    4. Avvia la conversione:
      • Avvia il processo di conversione. Una volta completato, potrai scaricare il file JPG convertito.

    Questi metodi ti permetteranno di convertire facilmente il tuo file JFIF in JPG, rendendolo compatibile con una vasta gamma di dispositivi e software di visualizzazione delle immagini.

  • 10 cose non razionali che forse hai fatto anche tu

    10 cose non razionali che forse hai fatto anche tu

    In questo articolo vedremo un po’ di errori tipici di valutazione che potresti aver commesso anche tu, da dipendente, lavoratore autonomo o capo della tua azienda.

    Ricordatevi che nessuno ha sempre ragione, anche se qualcuno ha sempre torto. (Stuart Sutherland)

    Valutare il rischio sulla base del bias di disponibilità

    Viviamo in tempi frenetici e dobbiamo imparare a fare i conti col dissenso, con la critica e con le eventualità  di ogni genere: nulla di strano che uno valuti il rischio basandosi su esempi passati che possiede in mente, ben vividi. Ma questo quadro è parziale, e potrebbe trascurare elementi importanti meno evidenti, primari o scontati.

    Tale valutazione sembra ragionevole, a prima vista, ma in realtà  è l’esatto opposto, perchè ci potrebbero essere sempre più strade e più valutazioni da fare e da combinare tra loro. Essa finisce per essere subdolamente fuorviante, oltre che condizionata da aspetti che non sono funzionali ad una buona scelta, e tende in definitiva a portarci fuori strada (senza contare che poi, in onore al principio espresso da Dunning-Krueger, siamo anche molto restii ad ammettere la nostra incompetenza). Ma allora che cos’è il bias o distorsione di disponibilità ?

    Proviamo a chiederci cos’è che rende “disponibile” qualcosa, a questo punto: vari esperimenti sociali hanno dimostrato che le persone tendono a considerare disponibile ciò che viene proposto per ultimo, o che viene proposto in modo drammatico, che porta anche alla formazione di immagini realistiche (che è diverso da reali).

    Secondo quelli bravi in psicologia e sociologia, in questi casi si parla di euristica della disponibilità , a voler indicare la scorciatoia mentale che tende a farci valutare scelte, opportunità  o decisioni sulla base della banalissima “prima cosa che ci viene in mente“.

    Se avete (ri)visto il film di culto Lo squalo e andate al mare poco dopo, avrete qualche timore prima di andare a fare il prossimo bagno.   Tanto più che avvistamenti di squali se ne verificano periodicamente: ora, al netto del fatto che Lo squalo fa riferimento ad un’ambientazione che non è nei mari nostrani, la paura potrebbe sembrare ugualmente lecita o quantomeno comprensibile.   Eppure è stato calcolato che, per un bagnante, il rischio di essere morso da uno squalo è molto più basso di quello, ad esempio, di morire in un incidente stradale per andare in spiaggia. È un caso eclatante in cui le persone non sembrano tenere conto della realtà , ma tendono a basarsi su quello che le impressiona di più, o sulla prima cosa che viene loro in mente o che magari li ha colpiti maggiormente. E se gli fai notare che le statistiche dicono il contrario, è improbabile – vedi oltre – che possano cambiare idea!

    Principio di autorità

    Nel dare credito ad una tesi o anche solo ad una banale affermazione, tendiamo a basarci sul principio di autorità : tendiamo insomma a credere a chi possegga titoli o svolga professioni superiori alle nostre, anche nel caso in cui uno sia laureato in lettere, esprima un parere sulla matematica o la medicina (e naturalmente viceversa in tutte le combinazioni possibili su questa falsariga). La scienza in genere non guarda in faccia in titoli, ma la replicabilità  dell’esperimento, la non falsificabilità  della scienza stessa, la ripetibilità  dell’esperimento, per cui credere a chi possieda titoli è una forma di bias di autorità  che genera forte irrazionalità  – e che spesso viene declinato in modo scorretto e manipolatore, in certi casi, quando ad esempio si da’ del “professorone” a chi effettivamente ha i titoli giusti per parlare.

    In ambito scientifico sembra la norma: se c’è un articolo scientifico al vaglio di una rivista, quando i referee e i direttori decidono se lo stesso debba essere pubblicato o no, finiscono per prestare maggiore attenzione al nome degli autori (o magari al prestigio dell’istituzione a cui appartengono) che ai suoi effettivi contenuti scientifici.

    Conformismo

    Ci sono anche qui esperimenti sociali incredibili e documentatissimi, che dimostrano come un gruppo di persone possa indurre in vari modi comportamenti che un singolo, di per sè, mai farebbe. È stato dimostrato che le persone messe adeguatamente sotto pressione (in ambito sociale o lavorativo, ad esempio) tendono a conformarsi ai comportamenti degli altri anche se sono consapevoli di sbagliare nel farlo, o anche perchè non si rendono conto della pressione sociale che subiscono – e tantomeno dell’errore che commettono.

    Non c’è dubbio che nessun uomo sia un’isola, ma senza dubbio distorcere il proprio giudizio per adeguarlo a quello degli altri, il tutto senza neanche accorgersi di farlo, è molto poco razionale, come la maggioranza dei comportamenti massificati e conformisti a cui assistiamo ogni giorno. Tale fiducia nelle decisioni collettive, ad esempio in ambito aziendale (dipendenti che danno ragione al capo per paura di un licenziamento, anche se sanno che sta sbagliando palesemente) nasce anche dal senso di solidarietà  comunicato dal gruppo stesso. Questo può portare a conseguenze estreme ed al cosiddetto groupthink (termine coniato da Irving Janis), ovvero: i gruppi più si conformano più si sentono infallibili, più sono abili a fare cherry picking ovvero scartano le prove contrario ed amplificano quelle che darebbero loro torto.

    Il conformismo viene visto come corretto ed intriso di morale, “giusto”, in qualche modo, per cui la fiducia nella moralità  del gruppo può condurre a commettere azioni immorali – incluso, come si è visto in alcuni esperimenti sociali degli anni ’70, dare delle piccole scosse elettriche (per fortuna solo simulate) ai propri simili per via di un’innata incapacità  di dire di no.

    Stereotipi

    Le persone faranno sempre di tutto per restare coerenti con le proprie idee, e – per quanto ciò assuma una valenza apparentemente positiva – spesso ciò avviene anche a scapito della verità  (e tanto positivo non è). I luoghi comuni sono duri a morire, anche nelle persone che non pensano di esserne affette (e anzi soprattutto in quelle).

    Gli stereotipi, infatti, sono classicamente noti per il fatto che vivono su ragionamenti circolari, ovvero in qualche modo si auto-confermano. Se si pensa che le persone di una nazionalità  X siano pigre, essi faranno fatica a trovare lavoro, li vedremo per strada a bighellonare ed avremo l’auto-conferma del fatto che sono “pigri”!

    Coerenza (o presunta tale)

    In genere gli esperti di comunicazione suggeriscono ai politici loro clienti di rinviare il più possibile la dichiarazione di una presa di posizione: una volta che un politico ha detto X, infatti, sarà  improbabile che possa tornare sui propri passi e rinnegare X perchè era ad esempio una baggianata. L’ostinazione in determinate idee anche sbagliate e apertamente dannose è un caso palese di un malinteso senso di “coerenza” che ci aiuta a rimanere vivi e sentirci orgogliosi: le persone, nel momento in cui debbano fare marcia indietro rispetto a una decisione presa, spesso si spingono assurdamente all’estremo opposto!

    Il rifiuto di abbandonare un progetto inutile, ad esempio, in cui è stato investito molto denaro è noto in letteratura come errore dei costi sommersi, ed è una forma inquietante di presunta coerenza, dovuta al fatto che le persone non sembrano disposte ad ammettere, con se stesse   e con gli altri, che non avrebbero dovuto investire nulla fin dall’inizio. Chiaro, a questo punto, che l’incapacità  di riconoscere i propri errori anche di fronte a se stessi è una delle cause fondamentali di bias radicati e dotati di forte irrazionalità .

    Sopravvalutare i premi

    L’ottica secondo la quale una persona che si comporta bene debba essere premiata è molto diffusa fin dai tempi delle scuole, ma non è detto che sia sempre e comunque la migliore alternativa possibile. Ragionare in ottica di premio può essere talvolta dannoso, soprattutto se è vero – e non sembra esistere conformità  di giudizio a riguardo – che fin da piccoli sviluppiamo un sistema di valori personale, proprio, che tendono a diventare sempre meno controllabili con l’età . Pensare ed illudersi di poter controllare qualsiasi cosa, peraltro, è uno degli errori irrazionali più comuni, che andrebbe aggiunto alla lista.

    Sopravvalutare la propria libertà  di scelta

    Se abbiamo fatto una scelta con grande libertà  come è giusto che sia, potremmo rimanere “ipnotizzati” dalla scelta e considerarla sempre e comunque la migliore cosa possibile. È un errore di valutazione diffuso che tende a farci ostinare che si possa e si debba sopravvalutare ciò che pensiamo, solo perchè lo pensiamo, o ciò che abbiamo fatto solo perchè abbiamo scelto di farlo. Anche qui, l’autocritica è difficile da ammettere prima di tutto con se stessi, ed è altrettanto irrazionale – di contro – svalutare un qualcosa soltanto perché altri lo hanno scelto per noi.

    Bias di conferma

    I ragionamenti circolare sono all’ordine del giorno per molti di noi, e si esplicano nel cosiddetto bias di conferma: so già  come la penso su X, per cui cerco conferme ad X ignorando il resto delle prove, ed il resto viene da sè – mi auto-convinco di qualsiasi cosa, cosa che sembra essere alla base di un certo framing complottista, fin troppo in voga in vari ambienti. L’esempio del disastro di Pearl Harbor è emblematico: pare che l’ammiraglio USA Husband Kimmel avesse ricevuto varie informazioni riservate che anticipavano l’attacco da parte dei Giapponesi, ma finì per ignorarlo deliberatamente. Lo fece a quanto pare perchè non combaciava con la sua idea ed i suoi piani, ed arrivò a definirlo ridicolo. I fatti pero’ provano che se avesse agito diversamente, rinnegando le proprie convinzioni personali, l’attacco si sarebbe potuto evitare.

    La mente umana in generale è potente ma spesso ci inganna: una volta che ha scelto un’opinione, fa in modo che tutto il resto venga a concordare per forza di cose. Se poi qualcuno prova a contraddirlo o a portare prove contrarie, imbastisce qualsiasi scusa o minimizza il discorso, pur di concretizzare la propria ostinata predeterminazione: in molti casi lo fa perchè, ad esempio sul lavoro, l’autorevolezza della sua precedente conclusione possa rimanere inviolata.

    Varrebbe la pena di citare anche l’esagerata fiducia che ripongono le persone, a questo punto, anche su cose false ma su cui hanno molto investito emotivamente, un po’ come accade a chi crede a X per averlo letto su internet e continua a farlo anche quando X viene smentito ufficialmente da più parti.

    Cercare spiegazioni arbitrarie dei fenomeni

    Nella conversazione ordinaria e nelle riunioni di lavoro è fin troppo diffusa la tendenza a dare “spiegazioni” dei fenomeni, senza considerare che potrebbero essere del tutto errate. Da uno studio condotto a riguardo, di fatto, è uscito fuori che il 15% delle affermazioni umane riguardano tentativi di spiegare un comportamento, un fenomeno e via dicendo, ed il tutto anche a costo di prendere esempi passati del tutto non correlati, o addirittura inventare di sana pianta la spiegazione.

    La dinamica classica è sempre la stessa: le persone prima si inventano una spiegazione arbitraria, per quanto plausibile, di un fatto che viene presentato come vero, e poi continuano a crederci anche quando scoprono che le informazioni iniziali non erano vere. Anche qui la politica mondiale è abilissima a dare il cattivo esempio, per così dire.

    La nostra effettiva capacità  di determinare le autentiche connessioni tra gli eventi è molto più piccola di quanto possa sembrare, a meno che non ragioniamo su numeri verificabili.

  • Il quesito numero 3 del referendum 2025 spiegato facile

    Il referendum abrogativo del 2025 propone la modifica delle norme che regolano i contratti di lavoro a tempo determinato, introducendo l’obbligo di indicare una causale anche per i contratti di durata inferiore a 12 mesi. Attualmente, secondo il Decreto Legislativo 15 giugno 2015, n. 81, i contratti a termine possono essere stipulati liberamente fino a 12 mesi senza necessità di motivazione. Il quesito referendario mira a eliminare questa possibilità, reintroducendo l’obbligo di specificare le ragioni tecniche, organizzative o produttive per l’assunzione a termine fin dal primo giorno di contratto.(Wikipedia, Fisco e Tasse)


    ✅ Ragioni del “Sì”

    • Maggiore tutela per i lavoratori: Reintrodurre l’obbligo di causale fin dal primo giorno di contratto a termine potrebbe ridurre l’abuso di contratti precari e promuovere una maggiore stabilità occupazionale.
    • Contrasto alla precarietà: Limitare la possibilità di stipulare contratti a termine senza motivazione potrebbe incentivare le aziende a ricorrere a contratti a tempo indeterminato.

    ❌ Ragioni del “No”

    • Flessibilità per le imprese: Mantenere la possibilità di stipulare contratti a termine senza causale fino a 12 mesi offre alle aziende una maggiore flessibilità nella gestione del personale, soprattutto in settori con esigenze stagionali o temporanee.
    • Rischio di contenziosi: Reintrodurre l’obbligo di causale potrebbe aumentare il rischio di contenziosi legali, in quanto le motivazioni addotte potrebbero essere oggetto di contestazione.

    ️ Significato dell’astensione

    Nel contesto dei referendum abrogativi, l’astensione può essere una scelta politica consapevole. Non partecipare al voto può esprimere fiducia nella legislazione esistente o disaccordo con l’uso del referendum per modificare determinate norme.


    Cosa cambierebbe

    • In caso di vittoria del “Sì”: Sarebbe reintrodotto l’obbligo di indicare una causale per tutti i contratti a tempo determinato, indipendentemente dalla loro durata.(Fisco e Tasse)
    • In caso di vittoria del “No” o mancato raggiungimento del quorum: Le disposizioni attuali rimarrebbero in vigore, consentendo la stipula di contratti a termine senza causale fino a 12 mesi.(Fisco e Tasse)

    ️ Informazioni sul voto

    • Date: Domenica 8 giugno (dalle 7:00 alle 23:00) e lunedì 9 giugno (dalle 7:00 alle 15:00).
    • Quorum: Perché il referendum sia valido, è necessaria la partecipazione della maggioranza degli aventi diritto al voto.

    Per ulteriori dettagli, è possibile consultare il testo ufficiale del decreto sulla Gazzetta Ufficiale e la documentazione disponibile sul sito del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali.

  • Che cos’è PagoPA

    Che cos’è PagoPA

    PagoPA è la piattaforma nazionale italiana per i pagamenti elettronici verso la Pubblica Amministrazione (PA) e altri enti pubblici. Gestita da PagoPA S.p.A., una società interamente partecipata dallo Stato, la piattaforma è stata istituita per semplificare, rendere più sicuri e trasparenti i pagamenti da parte di cittadini e imprese verso enti come Comuni, Regioni, ASL, scuole, università, INPS, Agenzia delle Entrate e altri soggetti pubblici.

    ✅ Cos’è e come funziona

    PagoPA non è un sito unico, ma un sistema standardizzato che consente di effettuare pagamenti elettronici tramite vari canali, sia online che fisici. Ogni pagamento è identificato da un codice IUV (Identificativo Univoco di Versamento), che garantisce la tracciabilità e l’associazione del pagamento all’ente creditore

    Cosa si può pagare con PagoPA

    Con PagoPA è possibile effettuare pagamenti per una vasta gamma di servizi, tra cui:

    • Tributi locali (IMU, TARI)
    • Bollo auto
    • Multe e sanzioni amministrative
    • Ticket sanitari
    • Rette scolastiche e universitarie
    • Servizi comunali (mensa, trasporto)
    • Canoni e concessioni pubbliche

    Come pagare con PagoPA

    I cittadini possono effettuare pagamenti tramite diversi canali:

    • Online:
      • Sito dell’ente creditore o app IO
      • Home banking tramite circuito CBILL
      • App di pagamento come Satispay, PayPal, BANCOMAT Pay
      • Sito ufficiale di PagoPA
    • Offline:
      • Sportelli bancari e ATM abilitati
      • Uffici postali
      • Esercizi convenzionati (tabaccherie, supermercati, ricevitorie)
      • Pagamenti self-service

    Vantaggi per cittadini e PA

    Per i cittadini:

    • Maggiore semplicità e velocità nei pagamenti
    • Trasparenza sui costi di commissione
    • Ricevute digitali immediate
    • Ampia disponibilità di canali di pagamento

    Per la Pubblica Amministrazione:

    • Gestione centralizzata dei pagamenti
    • Controllo e monitoraggio in tempo reale degli incassi
    • Riconciliazione automatica dei pagamenti
    • Riduzione dei costi operativi e dell’uso del contante (innovazione.gov.it)

    App IO: il punto di accesso ai servizi pubblici

    L’app IO, sviluppata da PagoPA S.p.A., consente ai cittadini di accedere a una vasta gamma di servizi pubblici, tra cui:

    • Ricezione di avvisi di pagamento
    • Effettuazione di pagamenti tramite PagoPA
    • Consultazione di documenti ufficiali
    • Accesso a notifiche personalizzate

    Per ulteriori informazioni o per effettuare un pagamento, visita il sito ufficiale di PagoPA: (pagopa.gov.it).

  • Cosa significa skills – Spiegazione ed esempi

    Cosa significa skills – Spiegazione ed esempi

    Cosa si intende con skills?

    Skill è una parola inglese che significa letteralmente competenza.

    skills è la forma al plurale che indica, di conseguenza, le competenze.

    Le skills sono intese come le abilità, le competenze o le capacità che una persona possiede e che le consentono di svolgere attività specifiche in modo efficace ed efficiente. Possono essere sia competenze tecniche, specifiche di un determinato settore o professione, sia competenze trasversali, che si applicano a molteplici ambiti.

    Sviluppare le propri skills: la chiave per il successo personale e professionale

    Le skills nel CV rappresentano le competenze e le abilità pertinenti per il lavoro desiderato. Possono essere suddivise in “hard skills” (competenze tecniche specifiche) e “soft skills” (competenze trasversali e interpersonali). È importante adattare le skills elencate alle richieste del lavoro e supportarle con esempi concreti. Organizza le skills in modo chiaro, bilanciando la rilevanza e la varietà delle competenze. Le skills nel CV offrono una panoramica delle tue capacità e possono fare la differenza nella tua candidatura. Assicurati di mantenerle aggiornate.

    Cosa sono le hard skills?

    Sono le competenze tecniche specifiche di un ambito lavorativo.

    Cosa sono le soft skills?

    Dette a volte competenze trasversali nell’ambito della psicologia (fonte), distinte dalle competenze tecniche specifiche: le competenze trasversali sono diventate sempre più richieste. Queste competenze, come la capacità di comunicare in modo efficace, la flessibilità, la creatività e la leadership, sono importanti in qualsiasi ambito professionale e personale. Le competenze trasversali ci rendono più adattabili, in grado di affrontare nuove sfide e di lavorare in team multidisciplinari.

    Qual è la differenza tra soft skills e hard skills?

    Le “soft skills” e le “hard skills” sono due categorie distinte di competenze che una persona può possedere.

    La differenza principale tra le due risiede nella natura delle competenze stesse e nel modo in cui vengono acquisite.

    Esempi di soft skills

    Le “soft skills” sono competenze trasversali e più legate alle abilità interpersonali e comportamentali. Queste competenze sono spesso più difficili da misurare e definire in termini tangibili. Le soft skills sono solitamente apprese attraverso l’esperienza di vita, l’osservazione, l’interazione sociale e l’auto-riflessione. Esempi di soft skills possono includere la comunicazione efficace, la capacità di lavorare in team, la flessibilità, l’empatia, la leadership, la gestione del tempo e la capacità di risolvere i problemi.

    Esempi di hard skills

    Le “hard skills” sono competenze tecniche e specifiche di un settore o di una professione. Queste competenze sono tangibili, misurabili e solitamente possono essere apprese attraverso l’istruzione formale, la formazione professionale o l’esperienza pratica. Esempi di hard skills possono includere la conoscenza di un particolare software informatico, la capacità di utilizzare attrezzature specifiche, abilità matematiche avanzate o conoscenze linguistiche.

    Quali soft skills sono preferite nel mondo del lavoro?

    Dipende. Non c’è una risposta univoca a questa domanda, che potrebbe considerarsi anche in parte malposta se si considera che il mondo del lavoro non per forza valorizza queste competenze in modo uniforme. Le skills svolgono un ruolo cruciale in molteplici contesti. Nel mondo del lavoro, le aziende sono alla ricerca di individui con le competenze adeguate per occupare determinati ruoli. Possedere skills pertinenti può migliorare le opportunità di carriera, consentendo di affrontare nuove sfide e di adattarsi rapidamente ai cambiamenti del mercato. Ma le skills non sono importanti solo sul posto di lavoro. Nella vita di tutti i giorni, le competenze come la comunicazione efficace, la risoluzione dei problemi e la gestione del tempo possono contribuire a una maggiore produttività e soddisfazione personale. Le skills relazionali, come l’empatia e il lavoro di squadra, sono essenziali per costruire relazioni solide e armoniose con gli altri.

    Le skills possono essere acquisite attraverso vari mezzi, con l’esperienza diretta o lavorando a contatto con professionisti. L’apprendimento formale, come corsi universitari o programmi di formazione professionale, può fornire una solida base di conoscenze e competenze. Tuttavia, l’apprendimento informale è altrettanto importante. L’esperienza sul campo, l’osservazione e la pratica possono aiutare a consolidare e migliorare le competenze nel tempo. In alcuni casi le skillsi possono acquisire o migliorare mediante il supporto o degli idonei percorsi psicoterapeutici.

    Comunque lo si faccia, investire nello sviluppo delle skills è un investimento in noi stessi. Acquisire e migliorare le competenze ci dà fiducia, ci rende più competitivi e ci prepara per le opportunità che il futuro può offrire. Le skills non sono mai finite: è un processo continuo di apprendimento e miglioramento.

  • Server dedicati di posta: perchè usarli per la tua azienda

    Server dedicati di posta: perchè usarli per la tua azienda

    Non sembrano esistere dati ufficiali sul numero di email che, ogni giorno, vengono inviate e ricevute attraverso i vari server di posta: una stima attendibile, effettuata dall ‘azienda dei londinesi The Radicati Group, Inc, per intenderci, è stata in grado di rilevare un totale di 2.6 miliardi di utenti (ovvero persone o aziende dotate di un account) – a generare complessivamente un traffico di circa 246 miliardi di invii al giorno (quasi 10 miliardi di invii all ‘ora, secondo questi dati che risalgono allo studio del 2019).

    Molti di questi account sono evidentemente di privati oppure fake, per quanto una massa critica degli stessi coinvolga liberi professionisti ed aziende che, ogni giorno, comunicano tra di loro oppure con i rispettivi clienti.

    Un mare di mail

    È abbastanza sicuro che non tutto il traffico derivante da questo uso sia effettivamente proficuo: ad oggi, infatti, molte mail vengono inviate mediante sistemi di smistamento automatici, che sono utili per l ‘internet marketing, ma che spesso degenerano in sistemi di phishing o spam. In questi termini, per molti di noi, l ‘email viene percepita come strumento poco affidabile o di poco conto, per quanto poi sia diventato uno strumento di lavoro quotidiano a prescindere. La preoccupazione porta alla diffidenza, ma fino ad un certo punto: in altri termini, la mail è sempre stata utilizzata, soprattutto mediante servizi free – dall ‘altra i suoi problemi di sicurezza sono rimasti quelli di sempre (spam, phishing, invio di malware).

    Del resto non sempre è agevole proteggersi da quel genere di traffico per l ‘utente medio, per quanto i sistemi di filtraggio e di riconoscimento della posta indesiderata siano sempre più avanzati ed evoluti (ne abbiamo discusso in questa sede): in linea di massima, l ‘effettiva consegna di un messaggio al corretto destinatario dipende moltissimo dalla qualità del servizio relativa al server di posta utilizzato, che – soprattutto per l ‘elevata diffusione di email gratuite – è spesso lasciato in balia del proprio destino.

    Problemi che la mail possiede fin dalla sua nascita, a ben vedere: chiunque sia stato realmente l ‘inventore della mail, di sicuro non diede troppa importanza alla possibilità che una mail potesse essere ingannevole, o avere una natura malevola. In tal senso, peraltro, c ‘è una controversia di attribuzione tra le figure di Ray Tomlinson e Shiva Ayyadurai, e non è mai stato chiarito chi davvero l ‘abbia inventata. Forse, per l ‘epoca, ignorare i problemi di eventuali invii malevoli di email poteva avere un senso, dato che veniva utilizzata in contesti ben circoscritti come ARPANET, e solo da pochi utenti “eletti”.

    Oggi le cose sono destinate a cambiare, ed il mercato sta seguendo necessariamente questo trend.

    L’uso dell ‘email è ancora poco consapevole?

    Secondo i dati ufficiali ISTAT, relativamente all ‘anno 2015, sono state conteggiate nel territorio ben 4 milioni e 338 mila aziende nel territorio italiano; un dato che sembra interessante rapportare con l ‘utilizzo di servizi internet che queste aziende effettivamente fanno.

    Se da un lato, infatti, è vero che solo alcune di esse sono aziende di informatica – o comunque legate ad un uso “attivo” di internet (web agency, uffici in smart working, liberi professionisti, ecc.), molte altre rimangono confinate ad un uso ancora marginale del mezzo, preferendo sfruttare i mezzi tradizionali di comunicazione (telefono, e a volte addirittura il fax) e combattendo ogni giorno con un ‘alfabetizzazione informatica non propriamente eccellente, anche ad esempio nel caso della Pubblica Amministrazione (PA).

    Sarebbe pertanto importante spingere nella direzione di far sfruttare questi servizi in modo più consapevole: questo va segnalato, da subito, ai tanti professionisti che, ad esempio, sfruttano semplici email gratuite per comunicare con il propri clienti, diventando spesso veicolo di spam, violazioni inconsapevoli del proprio account ed con conseguente danno di immagine. Non è il massimo, insomma, che ti arrivino mail indesiderate da una casella di posta gratuita inconsapevolmente violata, ed associata al tuo consulente di fiducia o magari un commercialista, ad esempio. Ma questo, per qualche strana ragione, ancora oggi per molti passa per assurdo come un problema marginale, o addirittura del tutto trascurabile.

    La tecnologia dei server dedicati

    Nell ‘ambito degli hosting e dell ‘IT, in genere, l ‘uso di un server dedicato è legato ad una necessità specifica: quella di riuscire a disporre risorse per un singolo cliente (dedicate a lui, per l ‘appunto). Dietro questa scelta vi è uno scenario tipico dell ‘utilizzo dei servizi internet: venire incontro alla necessità di far cooperare più servizi tra di loro, e dare l ‘idea all ‘utente finale di essere l ‘unico ed il solo utilizzatore degli stessi.

    Grazie ai server multi-thread, ad esempio, gli accessi contemporanei vengono gestiti con facilità ; sfruttando avanzati sistemi di cache lato server, poi, si permette ai servizi di essere più snelli e non essere sovraccaricati inutilmente. Le grosse realtà come Amazon o Ebay, del resto, per far funzionare i loro servizi come effettivamente fanno dovranno per forza di cosa ricorrere a soluzioni di questo tipo, o rispettivi surrogati.

    I servizi dedicati offrono queste maggiori potenzialità e tutele, e molto raramente (per non dire mai) i servizi di posta gratuita consentono di dare questo genere di garanzie

    Mail server dedicati aziendali

    Tornando a mettere a fuoco lo scenario delle email, un server dedicato è adibito esclusivamente ad inviare e ricevere posta elettronica, e questo suggerisce anche all ‘utente meno esperto che le probabilità di errore si possono ridurre drasticamente. I filtri antispam, i server SMTP per l ‘invio e quelli POP3 / IMAP per la ricezione funzioneranno in modo più efficente di qualsiasi servizio gratuito, dando altresì l ‘opportunità di sincronizzarsi con il proprio programma di posta in modo semplice e più veloce di qualsiasi altro sistema. Per quello che riguarda questo ambito, in definitiva, un server dedicato di posta è in grado di risolvere una serie di problematiche che, di fatto, nell ‘ambito dei servizi free non sono ideali per la tua azienda.

    Tali problematiche possono riguardare, per sommi capi, ad esempio:

    1. la possibilità di gestire lo spazio in modo autonomo e scalabile; se la nostra mailbox è piena, infatti, le mail semplicemente non potranno mai essere ricevute.
    2. la possibilità ulteriore di creare una mail professionale del tipo mario@nomeazienda.it, con conseguente incremento dell ‘autorevolezza e della possibilità di fare un branding minimale coerente.
    3. l ‘adeguamento a standard internazionali importanti per garantire la privacy dei propri dati, ovvero la certezza che solo noi ed i nostri destinatari possiamo leggere la nostra posta e nessun altro, come ad esempio il certificato CISPE che è l ‘unico ad essere ufficialmente allineato con il GDPR che tutti, ormai, siamo tenuti a rispettare.
    4. la possibilità di recuperare facilmente l ‘account in caso di violazioni, oltre a quello di disporre di un servizio di backup (cioè una copia di sicurezza delle proprie email salvate su un server a parte) che sia facile e pratico da utilizzare.

    Chi usa account gratuiti di posta per lavoro, insomma, dovrebbe fermarsi un istante a riflettere sui sopraelencati problemi, e chiedersi se non sia il caso di cambiare servizio e passare ad uno davvero professionale per la propria email. E, nel frattempo, ci auguriamo che una maggiore consapevolezza in merito a tale priorità possa diffondersi in tutti gli ambiti lavorativi, e non soltanto in quelli prettamente IT o informatici.