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Aiuto, cosa succede su Twitter (di nuovo)

Sono rimasto abbastanza colpito dall’ennesimo down di Twitter, che ho vissuto postumo perché sono stato sconnesso e non ho avuto modo di seguire la vicenda (priorità musicali). Nei giorni successivi mi sono un po’ documentato, poi ho pensato di scrivere un articolo potrebbe interessare tutti coloro che fanno uso di Twitter: che cosa sta succedendo? Perché sembra non funzionare più nulla, in molti casi?

Un’analisi tecnica degli header HTTP di Twitter.com che ho provato a fare ci racconta uno scenario significativo, nel “limbo” attuale di incertezze sparse in cui ci troviamo; ma prima di passare alla sostanza, vorrei spiegare brevemente di che cosa si tratta. Purtroppo è un’analisi parziale che non fornisce soluzioni, anche perchè non ce ne possono essere finchè la gestione sarà in questa veste, a mio avviso.

Ogni servizio web in genere risponde ad una precisa sintassi, costituito tra le altre cose da una serie di codici numerici a tre cifre: si tratta dei codici di stato, con i quali il web server che si sta esponendo pubblicamente in rete invia e riceve informazioni. Per intenderci: quando aprite una pagina web e riuscite a leggerne i contenuti, è un codice di stato 200 in qualche modo “sottinteso”; non lo vediamo esplicitamente ma c’è, e viene usato internamente come parte di un “linguaggio” tra macchine. Se invece la pagina non esiste perchè è stata cancellata, si tratta di un errore o codice 404; se invece c’è un problema di saturazione delle risorse del server, ci sono vari codici di stato specifici accomunati dall’avere 5 come prima cifra.

Insomma esiste una sintassi specifica per ogni situazione e, per quanto si tratti di caratteristiche “sintomatiche” che possono dare un’idea solo parziale di “come sta” un sito, sono utilizzati in prima istanza per comprendere come intervenire in caso di errori. Ogni volta che un utente vuole fare uso di Twitter, quindi apre l’app o prova a vedere il sito web twitter.com (come avverrebbe per qualsiasi altro servizio o sito, del resto), è un client che fa una richiesta (request) HTTP ad un server.

Premesso questo, bisogna inquadrare l’app / il sito di Twitter nello scenario in cui si muove: internet, ovviamente, dove le richieste di accesso sono numerosissime, contemporanee e non prevedibili. Il lavoro che bisogna fare per tenere in piedi una struttura del genere è enorme: bisogna considerare che potrebbero avvenire picchi di request in caso di eventi clamorosi o molto rilevanti, ad esempio, bisogna mantenere una stabilità interna del sistema, bisogna anche fare in modo che gli utenti non pesi la presenza di altri accessi “concorrenti”, altrimenti avrebbero la sensazione di navigare sul servizio lento e non farebbero più uso.

Di più: bisogna considerare che il servizio interattivo, quindi non si tratta di servizi che devono essere erogati in sola lettura, bensì di un servizio che prevede la possibilità di pubblicare contenuti, inclusi video, di commentare contenuti altrui e anche qui: non si possono fare previsioni a priori sul dimensionamento, sulle necessità e sul carico di lavoro, che può capitare che venga sotto dimensionato (numero di richieste sottovalutato, quindi il servizio va giù) oppure sovradimensionato (troppe risorse allocate, il che corrisponde ad uno spreco di denaro per quanto poi, a conti fatti, in genere che offre questo genere di servizi digitali ragioni “a consumo”). Complicare ulteriormente il quadro se ci mettono anche i motori di ricerca: i tweet vengono generalmente scansionati dai motori e sono reperibili in rete, ovviamente per tutti coloro che hanno un profilo pubblico (qui ad esempio potete vedere la traccia del mio uso di Twitter, ad esempio, secondo Google.it). Anche queste sono richieste a consumo, e naturalmente vengono erogate in modalità variabili, sempre al fine di mantenere aggiornati i risultati di ricerca.

Per concludere il quadro bisogna considerare che Twitter si appoggia ad Amazon AWS (e probabilmente anche a Google Cloud), che sono entrambi servizi a consumo: entrare nel merito delle modalità di erogazione, basta considerare che se ad esempio 1000 utenti provano ad accedere 3 volte al giorno a Twitter, il carico di lavoro è di almeno 3000 request al giorno, che possono essere distribuite anche malamente o in modo non uniforme: ad esempio 2000 request in 10 secondi e 1000 distribuite nel resto della giornata. Chiaramente le aziende che erogano questi servizi non fanno sconti, tant’è che già a marzo si parlava di un debito di fatturazione pari a circa 70 milioni di dollari che Twitter doveva ad Amazon. Debito che sarebbe salito al 30 giugno di quest’anno a quasi 100 milioni, e che Twitter è riuscito a pagare soltanto in parte, a quanto ne sappiamo.

Gli header pubblici di Twitter non funzionano più!

Ed ecco che ci arriva finalmente al punto: per cercare di gestire meglio le risorse in ballo, Musk ha valutato di limitare il servizio, per evitare che le quote in gioco venissero consumate troppo rapidamente ed imponendo un limite numerico all’uso giornaliero che si poteva fare. Questo serve sia di evitare situazioni di collasso tecnologico, ma anche (probabilmente) ad evitare che il conto diventi troppo salato in seguito. Questo è il motivo per cui il servizio funzionava a singhiozzo nei giorni scorsi, ed è anche il motivo per cui non riesco a fare embed dei tweet di approfondimento che avevo pensato di inserire in questo articolo.

Di seguito ho provato a interrogare gli header in vari modi, causando un browser che simulando una scansione di Google: in tutti i casi, purtroppo, viene fornito errore (accessi anonimi, ovvero da non loggati con un account nel servizio). Significa che dall’esterno Twitter è inaccessibile, di fatto, se non si ha una account, ed è appena il caso di sottolineare che questa cosa vale per tutti, anche per gli utenti premium, per quanto si sia provato a cavalcare l’onda del marketing “emotivo” anche qui. In un caso (quando vedete scritto “Exceeded maximum number of redirects“), sembra che ci sia proprio un problema di configurazione dei redirect, che sono probabilmente rimasti male impostati da giorni.

Per inciso, un servizio che non sia pubblicamente accessibile da Internet rientra nella definizione di giardino murato, walled garden, fenomeno di cui uno dei padri di internet, Tim Berners-Lee, aveva previsto prospettive e sviluppi non ottimali già nel 2007.

Situazione attuale

Da quello che ho letto Musk parla di una situazione temporanea, quindi bando ai catastrofismi: non è detto che rimanga così per sempre. La sensazione però è che si tratti dell’ennesimo altalena a cui molti utenti stanno rispondendo con il rigetto, minacciando di andare su un altro social (molti l’hanno fatto). Da questo punto di vista vale la pena sottolineare come sia presente una sorta di “amore tossico”: molti utenti affezionati di Twitter si lamentano spesso di questi problemi di gestione, poi rimangono sempre lì. Lo dico perché sono il primo a farlo, E mi spiego il fenomeno considerando il fatto che Musk probabilmente sa bene che la retention (cioè la capacità del social di mantenere viva l’attenzione e l’interesse su di sè) di Twitter è elevatissima, molto più alta di quella degli utenti Facebook, proprio perchè è stata accuratamente coltivata in passato dalla precedente, amatissima gestione. Per cui quello che sta facendo attualmente Twitter sembra essere “surfare” sull’onda del malcontento, suo malgrado, con la tranquillità (per non dire peggio) chi dà per scontato che non se ne andrà proprio nessuno, per quanto questo sia un fattore di rischio anche per eventuali sponsorizzazioni che potrebbero dileguarsi di conseguenza.

Da quello che ho potuto vedere, Twitter.com risponde malamente, ad oggi, a qualsiasi request si provi a fare senza essere loggati: in sostanza il social network è stato escluso dalla scansione dei motori di ricerca

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