Hai mai pensato di svolgere un’attività creativa? Potresti scoprire un talento nascosto nel farla, oppure potrebbe essere addirittura terapeutico per il tuo umore. Di fatto quando si parla di creatività tantissime persone sono convinte di non avere tempo, prima che talento, per fare attività creative. Certo, la frenesia moderna non aiuta discorsi del genere, e fa sembrare artisti, musicisti e poeti come pochi adepti snob che dovrebbero, in realtà , andare a lavorare in miniera (secondo la vulgata del “vero lavoro” che poi nessuno ha mai capito in cosa consista realmente). In realtà il problema è stato studiato nelle neuroscienze e sembra ricondursi ad un discorso leggermente differente, che vedremo in questo articolo.
Esplorare & fare
Nel lavoro creativo, se volessimo vederla cosà¬, ci sarebbero due fasi ben distinte: quella di esplorazione e quella di esecuzione (ci torneremo più avanti). Nella fase di esplorazione non sai che cosa uscirà fuori, non possiedi nemmeno la totalità delle informazioni o le idee che vorresti avere, non sai nemmeno se quello a cui stai pensando è importante. Nella fase esecutiva sei ispirato, sai cosa fare, oppure semplicemente rinunci e pensi che non valga la pena, in fondo.
Le neuroscienze del “valore percepito”
In genere quando ci si prefigge un obiettivo il cervello tende, secondo gli studi più recenti di neuroscienze, ad attribuire un valore specifico, per intenderci una priorità (ad esempio da 1 a 10). àˆ ciò di cui sembra occuparsi la corteccia orbitofrontale, che calcola anche le “ricompense” che potrebbero derivare dall’eseguire determinate attività , e anche le conseguenze di NON farle. In quest’ottica il lavoro creativo in generale, qualsiasi esso sia, è inquadrabile nell’esecuzione della fase di esecuzione e quella di esplorazione successiva di un compito. Qui prende piede un’idea decisamente controintuitiva, per certi versi: è facile per chiunque, all’inizio, svolgere un lavoro creativo (esecuzione), almeno in apparenza, perchè le potenziali “ricompense” sembrano enormi o sproporzionate in positivo, e l’idea di fondo è che ci sia tutto da guadagnarci.
Il problema, semmai, esce fuori nella fase esplorativa: è una fase che diventa molto incerta, le ricompense percepite tendono a dissolversi, ci si scontra con la difficoltà concreta del fare (o con quella tecnica di eseguire un brano in musica, disegnare una linea dritta nell’arte, scrivere in modo accattivante e comprensibile se stiamo provando a scrivere un libro), la potenziale “punizione” per non aver raggiunto l’obiettivo si dissolve, e tendiamo a distrarci col cellulare, con lo scorrimento delle vite digitali altrui, con qualsiasi altra attività che tenda a riportarci nella fase di una nuova esecuzione. Personalmente mi rispecchio moltissimo in questo quadro, soprattutto per la mia tendenza a iniziare attività diverse in parallelo, senza a volte riuscire a finirne alcune, e credo che molti di noi abbiano intuito di che cosa parliamo.
La possibile chiave di volta (fonte) per uscire dall’impasse, a questo punto, è proprio quella di lavorare meglio sulla fase di esplorazione, aumentando il valore percepito del fare, pesando meglio il costo del non fare e tarando o sminuendo il valore implicito di altre attività distraenti o collaterali. Con un faro che dovrebbe guidare ognuno di noi: la creatività non si insegna, nonostante decine di corsi di formazione e libri abbiano provato a dimostrare il contrario, e seguendo il parere di Stefano Bartezzaghi quando scrisse, nel 2009, l’illuminante e bellissimo saggio L’elmo di Don Chisciotte.Un libro da far leggere a tutti i sedicenti guru e creativi bohemièn illusi, convinti o manipolanti sul fatto che sia possibile trovare modi per indurre la creatività a chi proprio non sa dove stia di casa.
Da informatico non posso che sottolineare come la creatività , ammesso che sia davvero formalizzabile e univoca (cosa di cui dubito), sia annessa a presupposti specifici: per creare devi studiare, devi sapere quello che è stato fatto. Non puoi scrivere il libro del secolo se non leggi, non puoi suonare il pezzo più bello del 2022 se non hai sentito altra musica prima. E soprattutto, è tutta (o quasi) una questione di applicazione della tecnica, di valorizzazione del tuo “utile”, di capacità di coniugare a dovere la facile esecuzione iniziale e la difficile, quanto sottovalutata, esplorazione della tua creazione. Accettando che possano esserci periodi ispirati di iperattività uniti ad altri meno creativi, in cui potresti aspettare giorni senza riuscire a produrre nulla. O tornare sulle cose fatte, rivederle, abbellirle, renderle degne di essere ricordate. Alla ricerca di pregi da valorizzare o potenziali difetti che potrebbero mandarti in crisi, essere sgradevoli, farti maledire d’essere un “artista”. Alla ricerca del bello, per quel poco che vale oggi, nelle brutture pandemico-guerrafondaie che ci troviamo nostro malgrado a vivere. Photo by Quino Al on UnsplashÂ
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