Gli smartphone sono un’invenzione relativamente recente e si sono diffusi a macchia d’olio da solo un decennio ma anche negli anni ’90 gli adolescenti (e non solo) erano soliti passare il tempo libero sugli schermi di un piccolo aggeggio elettronico: il Game Boy Nintendo. Â
Nascita di un mito
Beh, cari quarantenni, ve lo dico chiaramente, molti di voi non hanno il diritto di lamentarsi con i vostri figli che passano le giornate chini con la testa sul cellulare: perchè in tanti, negli anni ’90, quando eravate (eravamo… ho quarant’anni esatti) adolescenti, facevano lo stesso con il Game Boy!
Il Game Boy è una consolle da gioco portatile prodotta dalla Nintendo a partire dal 1989 e fino al 2003. Il colosso nipponico del gaming – forte di una posizione di dominio nel mercato delle consolle, conquistata grazie al successo della Nintendo Entertainment System e di videogames come Super Mario, che le consentiva aggressive politiche di marketing e di ricerca tecnologica – dalla metà degli anni ’80 in poi aveva iniziato a inondare il mercato con periferiche da gioco di successo a cadenza quasi annuale, ma la vera e propria rivoluzione avvenne nel 1989, quando mise in commercio il Game Boy.
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Questo dispositivo, diventato ormai di culto, nelle prime edizioni era grande come un odierno tablet e poi, successivamente, ridotto pressappoco alle dimensioni di uno smartphone, permetteva di giocare ovunque in libertà : grazie al funzionamento a batterie non necessitava di cavi di alimentazione, le cuffiette per l’audio erano incluse nella confezione e, quando ci si stancava di un gioco, bastava cambiare cartuccia e cominciava una nuova avventura con un altro gioco.
La cosa realmente rivoluzionaria era proprio l’intercambiabilità dei giochi: infatti, se già da qualche anno esistevano sul mercato delle piccole consolle da gioco come le Game&Watch della stessa Nintendo, queste erano quasi tutte dotate di un solo gioco preinstallato e non sostituibile e, le poche capaci di ospitare più giochi (prima tra tutte la Microvision della Milton Bradley Company), erano troppo limitate tecnicamente per poter riscuotere un largo successo commerciale.
I tecnici della Nintendo, capeggiati da Gunpei Yokoi, padre della Entertainment System, riuscirono nel miracolo di assemblare una consolle solida, bella, altamente trasportabile, con una lunga durata delle batterie (circa 30 ore) e, soprattutto, animata da una tecnologia che, seppur non fosse particolarmente innovativa, era intuitiva, affidabile e prestante, nel pieno solco della mentalità del suo creatore che prediligeva l’utilizzo di tecnologie “superate” ma pienamente rodate, perfezionate e spinte al limite (e di riflesso più economiche) piuttosto che quello di tecnologie nuove, ma ancora da conoscere e affinare.
La prima serie del Game Boy (qui il libretto di istruzioni della versione americana) era costituito da una scocca grigio chiaro con una parte preposta ai controlli di gioco, mutuata dalla Nintendo Entertainment System, composta dal grande tasto direzionale nero a croce sulla sinistra, due tasti funzione viola a destra e due tasti più piccoli – “select” e “start” – in basso al centro. Sui lati si trovavano le rotelline per regolare il volume e il contrasto, lo switch di accensione, l’ingresso per le cuffie, quello per un alimentatore esterno e – udite udite – una presa con cui era possibile linkare due dispositivi tramite un cavo in dotazione per poter giocare insieme. Ovviamente, sulla parte superiore del dispositivo era collocato lo schermo a quattro colori (in realtà erano solo sfumature di grigio-verde) di poco meno di 5 cm per lato e, sul retro, trovavano spazio il vano batterie e il comparto adibito ad ospitare le cartucce. Il gioco incluso nella confezione era il mitologico Tetris, vero e proprio simbolo dell’epoca.
Il successo fu più che clamoroso, le unità vendute nelle varie edizioni furono quasi 120 milioni. I giochi creati furono più di mille, e molti erano di proprietà di aziende diverse dalla Nintendo. A questo va aggiunto il fatto che la consolle era relativamente economica (circa 150.000 lire dell’epoca, 75€ di oggi) e alla portata delle tasche di quella classe media che, all’epoca, rappresentava la stragrande maggioranza della popolazione “occidentale”.
La concorrenza
Com’è facilmente intuibile, la concorrenza non restò a guardare il successo della Nintendo e immise nel mercato prodotti simili. Per la verità , quasi tutti i competitor, nell’immediato, produssero dispositivi ben più prestanti del Game Boy. Nello stesso anno, ad esempio, la Atari, mise in vendita il suo Lynx – prodotto di molto superiore al rivale della Nintendo, essendo a colori, dotato di tecnologia 3D e con la possibilità di connettere in rete ben 17 dipositivi – ma che, per una scelta completamente sbagliata dell’area marketing dell’azienda, era troppo grande rispetto al Game Boy e questo aspetto non ne consentiva la portabilità di quest’ultimo. Altri punti a sfavore del Lynx erano l’esigua durata delle batterie, solo 4 ore, e la scarsa disponibilità di giochi. Il risultato fu che se ne vendettero meno di 500 mila unità e il prodotto venne dismesso dopo appena due anni.
Andò un po’ meglio alla SEGA e al suo Game Gear: anche questo aveva un motore grafico superiore rispetto a quello del Game Boy ed era a colori come il Lynx ma, sebbene come il corrispettivo di Atari peccasse in dimensioni e autonomia, aveva il vantaggio di poter ospitare tramite un adattatore le stesse cartucce da gioco della sua console “da casa”, il SEGA Master System. Questo dispositivo ebbe un discreto successo – seppur costasse circa un terzo in più del Game Boy – e rimase in produzione fino al 1997 vendendo circa 10 milioni di esemplari… ma 10 milioni non sono nemmeno un decimo dei 120 milioni di esemplari venduti di Game Boy.
Il mito
Quello che è mancato ai rivali, al di là dei particolari tecnici (che per tanti versi pendono sul piatto della bilancia di Atari e SEGA), è stata l’incapacità di creare un mito, un oggetto di culto, un must have per le generazioni adolescenti degli anni ’90.
I giovani dell’epoca (tra cui chi vi sta scrivendo) avevano sete di mostrare al mondo di essere una generazione ipertecnologica che nel futuro avrebbe vissuto a stretto contatto con l’informatica che le avrebbe semplificato la vita, e il videogioco della Nintendo, era l’esempio perfetto di questa nuova visione del mondo. Niente inutili orpelli e cose complicate (i giochi a colori delle rivali di Nintendo erano ritenuti inutili poichè per i giochi a colori e ad altre prestazioni c’era già il PC disponibile ormai in quasi tutte le case), economicità del dispositivo, interscambiabilità e varietà dei giochi, dimensioni tascabili e robustezza di un carro armato: queste erano le cose che i giovani cercavano e questo è stato ciò che la Nintendo offrଠloro. Il merito di Gunpei Yokoi e del suo team fu quello di non andare ad inseguire le nuove mode dell’informatica, ma di assecondare le esigenze dei ragazzi e con questa semplice mossa sbaragliò la concorrenza e consegnò la sua creatura alla storia.
Modding del game boy
Ancora oggi i Game Boy e i relativi giochi, dopo il definitivo (?) ritiro dal mercato avvenuto nel 2003, sono richiestissimi nei siti di compravendita dell’usato. Molto in voga è tuttora il fenomeno del modding della periferica per cui esistono interi siti internet dedicati e in rete abbiamo scovato anche un libro che ne spiega i trucchi. In fondo, la tecnologia e la componentistica del Game Boy sono cosଠsemplici che chiunque abbia un minimo di basi di elettrotecnica può operare le sue modifiche in breve tempo e con costi irrisori.
Alcuni sono riusciti a modificarlo in maniera tale da potergli installare videogiochi che richiedono prestazioni elevate, come DOOM.
Insomma, la Nintendo, prima di perdere colpi con il nuovo millennio, si è dimostrata essere la protagonista assoluta del gaming della fine del secolo scorso, dapprima con il personaggio di Super Mario degli anni ’80 e poi con il Game Boy degli anni ’90: due indimenticabili miti iconici in venti anni, niente male Nintendo!
Foto di Alexander Antropov da Pixabay
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