Aggiornato il: 11-07-2017 09:52
Dopo una lunga discussione che ha tenuto occupati molti membri del W3C (l’ente internazionale preposto a definire gli standard del WEB), si è infatti arrivati alla decisione di consigliare ufficialmente uno standard di DRM all’interno di HTML5. Una scelta estremamente criticata e altrettanto controversa, chiara riscontrato parere negativo della Electronic Frontiers Foundation (EFF), ma fortemente voluto da aziende multimediali come Netflix, che basano il proprio modello di business sulla “difficoltà ” di poter accedere ad uno streaming nel browser senza averne i permessi (senza aver pagato, in breve).
La discussione pro o contro DRM è piuttosto vecchia, certamente precedente all’interessamento da parte del W3C che, dopo una prima criticata introduzione nel 2013, ha finalmente deciso di renderla ufficialmente uno standard del web. Chi si oppone ai DRM, non da oggi peraltro, sostanzialmente critica il pesante “paletto” che verrebbe inserito sui contenuti che impedisce agli utenti il riutilizzo legale di contenuti audio/video, o parte di essi, ad esempio per scopi di ricerca o approfondimento senza scopo di lucro (la disciplina del cosiddetto fair use). C’è anche un aspetto più tecnico, ma non meno importante, legato alla questione: l’introduzione dei lucchetti digitali in genere, e sul web in particolare, priva l’utente della libertà di disporre liberamente dei contenuti che acquista, e rende difficoltosa, addirittura rischiosa e spesso impossibile la rilevazione di falle informatiche all’interno dei moduli. Di fatto, senza le opportune distinzioni in materia legale, il rischio per un ricercatore informatico che indaghi sui DRM è quello di ritrovarsi incriminato per averlo violato durante le proprie attività (in Italia, ad esempio, viene punito chi violi il DRM per trarne profitto). Questo è uno dei principali motivi per cui EFF si è fortemente opposta alla proposta, di fatto.
La stessa EFF avrebbe infatti proposto, durante la lunga discussione che ha preceduto l’approvazione, di impedire potenziali azioni legali contro chi violasse i DRM senza per questo fare pirateria (fair use), ma la proposta è stata bocciata dai membri W3C pro-DRM. Quest’ultimo è stato il vero nodo cruciale della giornata, che ha suscitato scalpore tra gli addetti ai lavori nei confronti del W3C, considerato da sempre un organo da sempre favorevole all’open web. Dal canto suo Tim Berners-Lee (il creatore del markup HTML, nonchà© presidente del W3C) ha trascurato queste obiezioni, e le nuove specifiche sono ufficialmente state approvate.
Pertanto il W3C ha deciso di introdurre lo standard Encrypted Media Extensions (EME), che darà la possibilità a chi pubblica contenuti online di criptare e proteggere contenuti audio e video. Di suo EME non corrisponde ad un lucchetto digitale (DRM), bensଠprevede (quale “raccomandazione”) la possibilità che un’applicazione in Javascript possa interagire con moduli DRM, chiavi crittografiche e dati protetti, il tutto a fine di rendere uno streaming audio/video fruibile soltanto a determinati utenti, e cosa di cui i principali “attori” sul mercato come Microsoft, Google, e Adobe già dispongono da tempo (fonte).