Soprattutto al giorno d’oggi (ed in tempi profondamente incerti) è comune che, sui giornali e nei vari dibattiti, vengano citate le probabilità e la statistica. Questa materia viene ampiamente usata in ambito politico, sociologico, sanitario (come ben sappiamo), per lo studio delle probabilità in ambito dei giochi d’azzardo, per stimare la possibilità dell’avvenire di alcuni eventi spesso in modo, purtroppo, totalmente arbitrario e non scientifico. Una materia ampiamente sottovalutata dai più, soggetta a vari bias cognitivi i quali, nella pratica, tendono a fuorviare chi legge e chi scrive sull’argomento anche a livello di vita quotidiana. In questo articolo vedremo, pertanto, i cinque principali bias statistici che tendono ad auto-ingannarci.
Confondere la probabilità con la probabilità inversa
La probabilità in generale è espressa come un rapporto tra due numeri: ad esempio 1 su 5, che corrisponde ad una probabilità di 1/5 (il rapporto tra 1 e 5) ovvero 0,2 -> 20% di probabilità . Questa è una spiegazione semplice, ed immediatamente comprensibile, di che cosa si intenda per probabilità , e potrebbe esprimere ad esempio la probabilità che piova oggi pomeriggio. La probabilità che non piova, nello specifico, è data dall’inverso della probabilità precedente, che per un fatto di logica e di intuito è pari alla “rimanenza” della probabilità precedente: 4 su 5, cioè 0,8 ovvero un 80% di probabilità .
Abbiamo poi la cosiddetta probabilità condizionata, ovvero la probabilità che un evento si verifichi partendo dal presupposto che se ne verifichi un altro, diverso dal precedente. Possiamo pensare ad esempio alla probabilità condizionata che io abbia un ombrello nel caso in cui piove, che sarà plausibilmente pari ad uno. Diverso è il caso, a questo punto, della probabilità che piova se io abbia l’ombrello: tale probabilità è detta probabilità inversa, ed è qui che viene fuori l’inghippo. Molte persone infatti si fanno ingannare a livello discorsivo, e senza avere particolari competenze in statistica (ed anche avendone, a volte) tendono a pensare che le due probabilità siano addirittura identiche tra loro. Cosa ovviamente falsa, perchè un conto è la probabilità che io abbia un ombrello nel caso in cui piove (che è quasi certamente pari ad 1 ovvero il 100%, visto che sussiste una relazione di causa-effetto), altro conto è la probabilità che piova se io abbia l’ombrello (il fatto che piova non dipende certamente dal fatto che io abbia l’ombrello). La probabilità che prenda l’ombrello se piova è diversa dalla probabilit๠che piova se io prendo l’ombrello; allo stesso modo, la probabilità che vada dal barbiere se ho i capelli troppo lunghi è differente dalla probabilità che io abbia i capelli troppo lunghi se vado dal barbiere.
Probabilità e probabilità inversa sono due misure diverse di probabilità , e difficilmente coincidono se non in specifici casi. Eppure per moltissime persone – inclusi eminenti specialisti di vari campi – probabilità inversa e probabilità tendono ad essere confuse e fatte coincidere, e ciò sembra valere addirittura per alcuni casi di diagnosi mediche.
Considerare troppi pochi casi
Vale dai tempi dei sondaggi politici, questa casistica: per capirci subito, è il caso del politico che afferma di avere il 100% dei consensi, senza dire che il campione considerato è quello dei suoi familiari e degli iscritti al suo partito. Un campione parziale o falsato, insomma, il che presta purtroppo la statistica a discorsi manipolatori e fuorvianti, viziati a loro volta da ragionamenti circolari.
L’incidenza della numerosità del campione non andrebbe mai sottovalutata, per cui non dovremmo mai giudicare sulla base di un singolo o sporadico caso. Un campione di 100 casi, di cui uno favorevole e 99 contrari, possiede un “peso” diverso rispetto ad un campione di 10.000 o 3 milioni di casi: quando si parla di percentuali, pertanto, facciamo attenzione che nel caso del campione di 100 casi abbiamo un 1% a favore, mentre se passiamo a 3 milioni di casi con 1 solo favorevole la percentuale sarà dello 0.00003333333%.
Dare più importanza alle prime cose che vi vengono sottomano
Vale lo stesso discorso, a questo punto, per la valutazione di più aspetti in una qualsiasi vicenda: se dobbiamo valutare il fattore A, B e C, tendiamo spesso a dare più importanza al primo in quanto primo, il che conferisce un’importanza superio rispetto al caso in cui lo avessimo incrociato come ultimo.
Psicologi sociali come Stuart Sutherland, molto prima del 2020 (per inciso), avevano parlato in questi casi di bias di disponibilità : una forma mentis fuorviante che tende a dare impropriamente importanza ai primi aspetti di una valutazione e non agli ultimi, qualunque essi siano e a prescindere dalla sostanza degli stessi, stabilendo cosଠuna priorità arbitraria quanto errata.
Il discorso vale per l’analisi di qualsiasi problema, per consulenze in vari ambiti e per le diagnosi di ogni genere: si tende spesso a dare più importanza ai primi aspetti che vengono in mente, quando in realtà bisognerebbe valutarne più di uno e dare a tutti lo stesso peso.
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