Proprio ieri Jeff Bezos, patron di Amazon e uomo più ricco del mondo, è riuscito nell’impresa di effettuare un volo nello spazio a bordo della navetta New Shepard, creatura della compagnia aerospaziale Blue Origin fondata dallo stesso Bezos. Appena una settimana prima era stato il turno di Richard Branson – proprietario del marchio Virgin e in ottima posizione nella classifica dei Paperoni mondiali – a volare oltre l’atmosfera terrestre a bordo del Virgin Galactic. E mentre l’altro multi-mega-miliardario Elon Musk continua a tappe forzate con il suo ambizioso programma spaziale che ha come mete prima la Luna, poi Marte e poi chissà , ci accorgiamo che una nuova frontiera del turismo sta iniziando, un turismo che non guarda a spiagge incontaminate o a cime innevate ma allo spazio profondo, luogo in grado di regalare come panorama il mondo intero.
Turismo spaziale: fuffa o realtà ?
Se Bezos e Branson, in quanto proprietari delle compagnie aerospaziali che li hanno portati oltre la Linea di Karman – la quota convenzionale che delimita il confine tra atmosfera terrestre e spazio – non possono definirsi dei veri e propri turisti spaziali ma, più che altro, dei “cuochi che assaggiano la loro portata“, i cinque impiegati della Virgin che hanno accompagnato Branson e i tre compagni di viaggio di Bezos (tra cui il fratello Mark) sono, a tutti gli effetti, da considerarsi dei turisti spaziali, i primi di una nuova era.
Sà¬, è bene sottolineare che ci troviamo di fronte ad una “nuova era” del turismo spaziale perchè già in passato, dei facoltosi amanti dello spazio hanno provato l’ebbrezza di vivere un’esperienza da astronauti soprattutto all’epoca della stazione spaziale orbitante russa Mir e degli Space Shuttle americani. I turisti della “prima era”, tra l’altro, oltre a finanziare con i loro “biglietti galattici” le attività della moribonda compagnia aerospaziale russa nell’era post sovietica e della NASA, ebbero la possibilità di restare nello spazio per diversi giorni, ad una quota molto più alta (la Mir stazionava a circa 350 km di quota) e osservare da vicino gli esperimenti che gli astronauti/cosmonauti svolgevano a bordo della stazione spaziale. In questa prima fase della “nuova era”, invece, i turisti dovranno accontentarsi di un fugace attraversamento della Linea di Kerman della durata di pochi minuti giusto per provare l’ebbrezza del volo in assenza di gravita e “guardare il mondo da un oblò” (parafrasando una nota canzone di Gianni Togni del 1980) per qualche secondo prima di ricominciare la discesa.
Ma avrà successo questo nuovo settore di mercato che si sta cercando di avviare?
All’inizio sicuramente sà¬: le prenotazioni ci sono già e i primi veri e propri voli commerciali (e non sperimentali come quelli degli ultimi giorni) sono in via di allestimento. Nomi come Lady Gaga e Leonardo di Caprio hanno già pagato il loro biglietto alla Virgin di Branson e anche Jeff Bezos ha venduto i primi posti per i prossimi viaggi della New Shepard. Il problema arriverà in un secondo momento, “momento” che è già all’orizzonte: finita la più o meno lunga platea di miliardari desiderosi di togliersi lo sfizio di viaggiare oltre l’atmosfera terrestre (la lista sarà anche lunga ma tutt’altro che infinita) e dando per scontato che toltosi lo “sfizio” di fare un primo volo, difficilmente ci sarà gente che vorrà replicare (parliamo sempre di un costosissimo viaggio di pochi minuti), come potranno le compagnie aerospaziali trovare nuovi clienti in grado di pagare i prezzi esorbitanti richiesti per i biglietti?
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Quanto costa un biglietto per le stelle?
Il problema cui dovranno andare a scontrarsi le compagnie aerospaziali che vorranno attrezzarsi a fare turismo spaziale è proprio quello dei costi. Per viaggiare con Virgin Galactic ci vorranno 250.000 dollari (i turisti spaziali italiani, tra l’altro, avranno anche l’opportunità di partire da casa poichè uno degli spazioporti della compagnia di Branson avrà sede a Taranto) mentre per viaggiare con Blue Origin i primi biglietti sono stati venduti all’asta a cifre che sfiorano i 30 milioni di dollari. Probabilmente anche Blue Origin, dopo la prima fase, prevederà un costo fisso per i suoi voli che probabilmente andrà ad assestarsi intorno ai prezzi di Virgin.
Le intenzioni a lungo termine di Branson sono quelle di abbassare il prezzo del biglietto fino a circa 40.000 euro, cifra che appare comunque alta ma non troppo se questi voli verranno utilizzati per collegare punti distanti del mondo più che per la semplice ebbrezza di un volo orbitale. Sembra infatti che il vero progetto commerciale di Branson sia proprio quello di utilizzare le sue navette come mezzo di trasporto rapido più che come veicoli turistici. In fondo c’è già ora gente che paga anche 20.000 dollari per un posto aereo in prima classe, non viene difficile pensare che queste stesse persone possano scegliere di spenderne circa il doppio per un volo che, al contempo, regalerà l’ebbrezza del volo nello spazio e l’abbattimento dei tempi di percorrenza in maniera drastica (si calcola che con una navetta della Virgin il viaggio tra Europa e Australia dovrebbe durare appena tre ore).
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In tutto ciò c’è un “terzo incomodo” che per il momento resta a guardare con il suo sorriso sornione, il cervello in fermento e il portafogli illimitato: stiamo parlando di Elon Musk. Quando si parla di viaggi nello spazio ormai la sua è una presenza imprescindibile, tant’è che la stessa NASA ha affidato alla sua compagnia SpaceX lo sviluppo di gran parte delle tecnologie.
Non sarebbe affatto strano se, da qui a poco tempo, anche l’eccentrico Musk dovesse uscirsene con la sua proposta di turismo spaziale. In fondo SpaceX ha già una navetta completamente sperimentata e perfettamente funzionante – chiamata Orion – che da un anno è utilizzata anche dalla NASA per trasportare i suoi astronauti a bordo della Stazione Spaziale Internazionale, ad una quota di circa 400 km, il quadruplo di quanto riescono a viaggiare le navette concorrenti. Il passo per trasformare le navette Orion in veicoli turistici non ci sembra cosଠarduo da compiere!
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