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Insoddisfazione lavorativa: come riconoscerla e come uscirne

Come posso cambiare la mia vita, che trovo attualmente senza una vera direzione? Dove posso trovare soddisfazione per la mia carriera?” Le parole dell’utente RoseBuckler nella community Hacker News, il frequentatissimo forum di ycombinator.com, risuonano pesantemente e dicono qualcosa in più di quanto suggerisca una prima lettura. Problemi radicati, profondi e di non facile risoluzione come si potrebbe pensare a prima vista. E la sua domanda è tutt’altro che banale, tutt’altro che da sottovalutare, e la pone – in una via di mezzo tra uno sfogo e la ricerca sincera di una soluzione che sia valida – agli utenti del canale.

Programmo da quando avevo 16 anni. E non sono mai stato un fenomeno nel farlo.

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Qui sembra subito evidente come gli effetti di una società  fondata sulle prestazioni produca alla lunga un effetto alienante sull’individuo. L’informatica purtroppo presenta da sempre questo effetto collaterale, per cui devi performare al massimo e non importano le tue singolarità , anzi vengono declinate con snobismo o ignorate del tutto: conta la realizzazione del progetto, l’armonia coi colleghi è funzionale al progetto in corso e poi sparisce una volta che finite di lavorare assieme (questo racconta la mia esperienza, del resto).

Programmo da sempre mettendo assieme pezzi di codice altrui, mai creando qualcosa di originale che fornisse valore aggiunto – scrive l’utente –  Da tempo mi chiedono come facciano i programmatori più “smart” a creare librerie e soluzioni software da zero. Ho sempre avuto idee che non sono mai riuscito a realizzare fino in fondo: la sensazione è quella di aver sprecato la mia adolescenza ed i miei 20 anni (attualmente ne ho 28) lavorando come full stack developer per 4 anni presso una startup.

Per la verità , nessuno pensa seriamente che serva essere dei fenomeni per programmare, anzi: la cosa essenziale è sapersi districare nei meccanismi manipolatori per cui, citando un mio ex collega fin troppo abituato a subire vessazioni dai capi, “quando le cose vanno bene il merito è di tutti, quando le cose vanno male la colpa è di uno“.

Non è questione di essere dei fenomeni, in informatica, a nostro avviso: è questione di avere realmente voglia di avere a che fare con un ambiente profondamente incerto, più di quanto il suo lato presentativo basato sul recruiting entusiasmante imponga. Significa anche, cosa sottovalutatissima quando essenziale, sapersi allontanare consapevolmente da certi ambienti tossici, cosଠcome saper accettare critiche, reagire proattivamente alle vessazioni eventuali, non basare la propria esistenza sull’ingoiare rospi e trovarsi, ad esempio, una via di fuga al lavoro evitando di dare più disponibilità  di quanto imponga quella richiesta dalla paga.

Il bug è un bug, signore e signori: non è un l’Errore Fatale Assoluto della vita di chi lo ha causato, e non dice nulla sul valore della persona in quanto tale. Suggerisce, al più, una valutazione sulla sua prestazione. Racconta poi RoseBuckler, ed è forse la parte più intensa e coinvolgente del suo discorso:

essere soli contribuisce a lavorare per molto tempo in più, [di cui] ne ho impiegato innumerevoli ore di lavoro ogni giorno (70-90 ore), reperibile quasi 24 ore su 24, 7 giorni su 7, a volte per 7 giorni consecutivi per mesi – nonostante fossi pagato solo in base allo stipendio su 40 settimane lavorative. Anche il mio stipendio non è aumentato di molto, e mi sento come se fossi gravemente sottopagato in base al numero di anni di esperienza, ma faccio fatica a valutare il mio valore sul mercato per determinare il mio valore. Pensavo che lavorare sodo avrebbe ripagato, ma non è stato affatto cosà¬.

Come provare a risolvere lo stress da lavoro informatico?

Il tema della società  delle prestazioni è profondamente legato a quello della sovra-prestazione, della sovra-ottimizzazione, dell’adesione imposta ad un erto aziendale come fosse quasi un culto, come se quella fosse l’unica via e non ce ne fossero altre. Nella community vengono suggeriti dei rimedi e delle vie di fuga dal problema, cosa che vale la pena presentare anche a campione, a questo punto:

  • Prenditi un mese di tempo libero, e usalo per fare qualcosa di diverso da scrivere codice. Perfeziona un hobby, viaggia, fai volontariato. Nessuno si preoccuperà  di un mese o due di spazio sul tuo curriculum.
  • Ricorda che vali più di quanto pensi di essere attualmente. Interiorizzalo, diventane consapevole, questa è la chiave. “Sono un unico sviluppatore per piattaforme mobili e Web in questa startup in un team molto piccolo” è un’abilità  desiderabile in sà© e per sà©.
  • Non ti sottovalutare!
  • àˆ possibile che tu stia subendo abusi sul lavoro: sei semplicemente oberato di lavoro e sottopagato.
  • In molti casi titoli quali “ninja” della programmazione, masterclass del codice e presunti “fenomeni” del saper programmare sono soltanto marketing, un modo (definito shitty, ndr) con cui introversi di successo cercano di attrarre altri introversi per abusarne.
  • Smetti di lavorare 80 ore settimanali, smetti di lavorare nei fine settimana. Quando l’unica cosa che fai ha poca o nessuna ricompensa, ed è questo che causa il burnout.
  • Riempi il tuo tempo con qualcos’altro, rispetto al lavoro: serve ad impedire di dedicarti alle 80 ore a settimana al codice, e ti permetterà  di dare la priorità  alle cose importanti.
  • Fare rete è fondamentale: nei limiti del possibile, sii amichevole e disponibile coi colleghi. Sono loro, la tua rete attuale.

Spero che l’articolo abbia un minimo potuto illuminare chi oggi prova sensazioni simili, e sono tanti: l’insoddisfazione lavorativa è a volte legata alla depressione, e deve essere quantomeno valutata da un esperto, in certi casi. L’insoddisfazione lavorativa, come abbiamo visto, è fortemente legata a quella della vita personale e può portare ad assunzioni e bias cognitivi ingannevoli. L’informatica è un mondo molto bello, secondo noi, ma in tanti si stanno impegnando a renderlo insoddisfacente e poco amabile, spinti da interessi personali e da una mentalità  spesso solo pseudo-competitiva. Se il lavoro ti deprime, di fatto, probabilmente non è una colpa, ma è il frutto di situazioni che andrebbero valutate ed affrontare con serenità . Può capitare a 20, a 30 come a 40 anni, secondo noi, ma non è mai tardi per trovare nuove strade.

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