L’internet delle cose è una delle più importanti innovazioni di questi anni, e molto presto vivrà di vita propria nella nostra quotidianità. IoT (Internet of Things) consiste in un modello di realizzazione di app connesse ad internet che non riguardino più solo smartphone, tablet e cellulari, ma che possa estendersi alle “cose”, per l’appunto, di uso quotidiano: elettrodomestici, ad esempio, così come macchinette del caffè che possano trovare un qualche vantaggio dalla connessione diretta ad internet. Ad esempio un termostato connesso ad internet potrebbe essere controllato da un cellulare, in modo da garantire l’accensione o la chiusura a distanza.
Sarà possibile gestire il traffico stradale su larga scala, creare applicazioni utili nell’ambito della sanità , della domotica, delle automobili. Gli oggetti diventeranno in qualche modo “vivi”, realizzando una sorta di fantascienza che, in effetti, i mezzi tecnologici attuali permettono facilmente di effettuare. Poichè gli indirizzi IPv4 tradizionali non saranno certamente sufficenti, l’internet delle cose vivrà esclusivamente su quelli IPv6, in modo da poter espandere il proprio spazio di indirizzi. Tutto sarà interconnesso in rete, e presumibilmente usciranno fuori nuove applicazioni che attualmente sono impensabili e che faciliteranno le nostre vite.
Internet delle cose e sicurezza informatica
Se da un lato c’è solo da rimanere affascinati, dall’altro si scatena una certa diffidenza: come è messa l’internet delle cose a livello di sicurezza? Parto dall’idea che una semplice webcam di sorveglianza remota, un dispositivo relativamente semplice rispetto ai sensori dell’internet delle cose – denominata comunemente “IP cam” – venga venduta in molti casi senza alcun meccanismo di protezione o password: alcuni modelli come Foscam, Linksys, AVTech, Hikvision, Panasonic sono vendute con password “di fabbrica” che vengono lasciate cosଠcome sono, senza che il software in dotazione ci avvisi di nulla. In questo modo chiunque potrebbe accedere alle cam dall’esterno della rete, e molte screen sono state pubblicate da siti per la sicurezza già l’anno scorso (fonte: networkworld.com).
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Gartner sostiene – secondo me un po’ ottimisticamente – che nel 2020 avremo circa 26 miliardi di oggetti connessi all’internet delle cose, ma questi dati non dovrebbero fuorviare dall’attenzione collettiva di cui necessiamo: se ci sono più dispositivi connessi in rete, e questi ultimi sono in relazione a cose reali delle nostre case, ci sono maggiori possibilità perchè un intruso possa trovare un modo per accedervi. Un malware che si limita ad impedire l’accesso ad un sito web, per esempio, se applicato parallemente all’internet delle cose potrebbe bloccare porte di ingresso reali (quella di casa) o dare messaggi ingannevoli o fuorvianti alle persone che ne usufruiscono. Gli antivirus, di conseguenza, dovranno introdurre dei meccanismi di nuova generazione per garantire il controllo dei dispositivi connessi, e molto lavoro ci sarà da fare per gli esperti di sicurezza informatica.
Del resto l’attenzione a queste problematiche dovrebbe essere collettiva: c’è chi suggerisce che non ci sia ancora sufficente attenzione all’uso di internet, e se abbiamo ancora difficoltà con un semplice browser, integrare internet su porte di casa o della macchina potrebbe diventare davvero problematico.
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