Lavorare per task con Asana: come, quando e perchè


Lavorare in team presupporrebbe delle regole, e molte di queste rules – a prescindere poi dall’approccio fondante (Kanban, Agile, o i vituperati diagrammi di Gantt) – sono dettate dalle policy aziendali. Spesso (anche se non per forza) queste ultime passano per l’uso dei task, strumento utile ma che va saputo usare nel modo corretto, e con l’approccio “scientifico” o tecnico adeguato. Asana, senza dubbio, è uno dei migliori strumenti in questo ambito.

Introduzione: che cos’è il workflow

Quando si lavora / lavoravo in team sono/ero il primo a manifestare serie difficoltà : di metodo, di approccio, anche solo di “velocità ” con cui si fanno le cose. Chi va come un treno, chi si prende il suo tempo, chi (soprattutto) crea dei “blocchi” sostanziali (e quasi sempre non consapevoli) alle attività . Questa sostanziale asincronà¬a può creare potenziali conflitti, ma viene in qualche modo corretta dall’uso dei task, che testimoniano un modo di lavorare e se ne prendono carico, creando cosଠquello che usualmente (soprattutto in ambito ICT) viene detto workflow.

Un workflow, per quello che ci interessa, rappresenta gli step necessari, possibilmente sequenziali in ordine temporale, per arrivare ad un obiettivo (consegna di un lavoro, raggiungimento dell’obiettivo, ecc.). I vari pezzi sono legati tra di loro, per intenderci, dato che se devo completare un task lo devo fare anche perchè, dall’altra parte, potrebbe esserci un collega che non può procedere nelle proprie attività  se non ho finito prima.

Prima che qualcuno chiuda la pagina sospirando di non aver capito nulla, mi sembra utile riprendere  un po’ basi ed introdurre un paio di termini tecnici. Cosଠproveremo a capirci ancora meglio, se possibile!

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Che cos’è Asana

Asana è un software di gestione dei task tra i più diffusi in ambito aziendale, e a differenza del “collega” Trello presenta qualche funzionalità  di integrazione in più. Non è l’unico strumento di gestione task, ovviamente, ma è quasi certamente uno dei più completi. Si tratta di uno strumento di organizzazione del lavoro (come tanti ne esistono, anche free) molto utilizzato dal project management delle aziende.

Grazie ad Asana è possibile:

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  1. assegnare dei task, ovvero dei compiti, ai dipendenti o ai collaboratori;
  2. suddividere il workflow (il flusso di lavoro complessivo) in modo razionale;
  3. “dare l’idea” al cliente finale del lavoro che viene svolto;
  4. usarlo sia nel lavoro classico da ufficio che in smartworking;
  5. essere più trasparente su ciò che faccio ed aiutare i colleghi a fargli sapere, quasi in tempo reale, quello che sto facendo o rispondere alla domanda fatidica “a che punto siamo”.

Se sulla carta sembra tutto meraviglioso, e molti articoli sul web tendono a descrivere questo mondo come un ambiente favolistico esente da difetti, ma nella realtà  e nella mia piccola esperienza le cose non sono esattamente cosà¬. Prima che qualcuno capisca male, quindi:

  1. Asana non “lavora” da solo, ma è uno strumento utile che va saputo usare;
  2. molte aziende non trovano conveniente fare uso dei task (e questo non per forza perchè “abbiamo sempre fatto in un altro modo“, il tipico paravento dei pigri);
  3. Asana aiuta soprattutto nelle attività  tecnico-pratiche, e un po’ meno (a mio umile avviso) per chi opera in modalità  differenti;
  4. si presta facilmente ad abusi, se usato in modo scorrelato dal fatto che ogni compito richiede del tempo per essere completato (in genere l’uso più sbagliato di Asana consiste nel fatto che qualcuno dall’alto scandisce i compiti da eseguire in modo blind, mentre gli operativi si ritrovano sommersi di lavoro sul quale non hanno nemmeno il tempo di ragionare: in questi casi il burnout è dietro l’angolo)

Un approccio critico ad Asana per PMI: KanBan

Ho fatto uso di Asana per diversi anni in almeno tre ambiti diversi (attività  di sviluppo codice sul modello Kanban, organizzazione di team editoriali e gestione attività  di una web agency), e devo premettere a questa piccola guida qualche perplessità  legata alla potenziale sopravvalutazione dello strumento. Di per sè Asana (un po’ come Trello) è uno strumento utile più per coordinare le attività  di un team e (a volte) quelle di un singolo freelance.

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Non tutto fa brodo e molti, per capirci, soprattutto se lavorano da autonomi tendono a trovare il proprio metodo di lavoro migliore con l’esperienza: io ad esempio lavoro molto coi log, tendo a segnare quello che faccio perchè cosà¬, quantomeno,mi ritrovo data e ora di quando ho fatto ogni cosa (per chi fa SEO credo che sia il metodo migliore, ma ovviamente è un parere personale).

Con l’approccio Kanban, ad esempio, che è ideale per le aziende medio-piccole, si scompone le attività  tra idee, cose da fare (to-do), cose in corso di svolgimento e cose fatte. Grazie a questo approccio “a strati”, possiamo anche pensare di inserire eventualmente delle attività  massimamente prioritarie per avere maggiore flessibilità . Il problema di questo modello è proprio nell’ultimo passaggio: tutto, tendenzialmente, è prioritario, e questo finisce per esasperare e rendere invivibile l’ambiente in cui si lavora. Bisognerebbe sempre bilanciare le varie componenti, se si vuole fare uso per bene dei task, e stabilire gradazioni di priorità  (alta, media, bassa), a seconda di quelli che vogliono essere gli obiettivi funzionali dell’azienda.

Un uso sostenibile dei task, peraltro, presuppone che si stabiliscano due dimensioni: una temporale, in orizzontale, ed una verticale (priorità ), anche se ovviamente non è l’unico approccio possibile.

Ci sono ovviamente tante possibili differenze: ad esempio c’è anche Trello, che funziona un po’ più come “lista della spesa” ed è utile per chi fa parecchie cose a loro volta frammentate in micro-attività , ma alla base di strumenti per la gestione di task c’è un aspetto di trasparenza che in molti non considerano, secondo me (ne riparliamo a breve).

Alla base di Asana, comunque troviamo 3 componenti basilari:

  • task: una singola attività  che deve essere seguita
  • team: un gruppo di utenti che lavora su un’attività
  • progetti: i singoli progetti a cui lavora l’azienda (ammesso che siano più di uno)

Esempio di uso di Asana? Se ad esempio devo ristrutturare un sito, posso assegnare i compiti al team creando un progetto dedicato, e suddividere i task tra le varie competenze. Col tempo vedrò i progressi di ognuno, e potrò anche creare delle dipendenze tra le attività , nel senso: prima facciamo il sito, poi pubblichiamo i testi, poi facciamo la SEO.

Che cos’è (davvero) un task, a questo punto?

Task significa in questo caso “compito”, “attività “, in questo contesto ha una valenza come unità  di sviluppo delle attività .

Ad esempio, posso andare dal programmatore ed assegnargli il task di correggere dei bug in un sito; posso poi chiedere al copy di scrivere le schede prodotto di un cliente, posso chiedere di rinnovare SSL a chi dovrà  acquistarlo e cosଠvia. La principale cosa che evitano i task è l’accumulo di email, una sorta di incubo che mi porto dietro dai tempi in cui lavoravo in ambito universatario: il lunedଠmattina era noto perchè, di fatto, si sorseggiava un caffè nell’attesa di finire di scaricare email con allegati giganteschi, in cui chiunque metteva becco e creava di fatto una gran confusione (soprattutto se un interessato la riceveva mentre la “discussione” era in corso). Se conosco almeno un caso in cui questo uso scellerato delle email aziendali ha portato addirittura a mettere in blacklist l’IP del mail server, si capisce bene che i task aiutino a tenere le cose un po’ più strutturate ed ordinate.

Di fatto, il task non è solo un’attività  “atomica” (nel senso di non ulteriormente scomponibile) che mettiamo in lista per il gusto di ritrovarci con n-mila cose da fare, ma serve a dare un’idea soprattutto agli altri (che lavorano con noi) di quello che stiamo facendo.

Non mi meraviglia, peraltro, che molte persone non vedano di buon occhio questi strumenti (alcuni miei colleghi li percepivano come “strumenti di sorveglianza aziendale“), ma dovrebbe (in teoria…) essere compito di chi coordina comprendere (e se possibile, essere empatico) con i motivi per cui ciò avvenga: alla base c’è una questione di metodo, senza dubbio, ed uno sforzo di abitudine richiesto a tutto, ma c’è anche un calcolo molto più brutale.

L’uso di task in ambito lavorativo, infatti, se non adeguatamente introdotto (benedetta teoria…) rischia di far passare idee poco funzionali, dato che misura indirettamente la produttività  delle persone e questa cosa, per inciso, a molti non piace – e non è detto che siano per forza pigroni o sfaccendati, per quanto in vari casi sia sostanzialmente questo, il problema. Alla fine dei conti, il task è utile perchè è una traccia di quello che si sta facendo, ma anche di quello che si sta provando a fare, volendo: e se un collega è bloccato su un task, posso pensare di risolvere la questione intervenendo per fargli dare una mano. Questa ottica cooperativa del task è alla base del suo funzionamento ideale, per quanto purtroppo mal si coniughi (passatemi la sociologia spicciola), in certi casi, con la natura umana “in media”.

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