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Piracy shield anti-pezzotto, come sta funzionando

Tutto nasce negli anni Novanta, con il consolidamento del termine pezzotto atto ad indicare un qualcosa di falsificato: sulle prime, ad esempio, i CD pirata venduti per strada a Napoli. Il termine si è poi esteso a tutte le regioni d’Italia, e rappresenta ad oggi soprattutto quei servizi online non legali che propongono la visione delle partite a prezzi molto più passi, senza averne autorizzazione dai detentori dei diritto. Secondo una ricerca condotta di recente, nel 2022 il giro d’affari della pirateria nel calcio si aggira attorno ai 41 milioni di euro. Il fenomeno coinvolge, a quanto pare, un ampio spettro della popolazione, con circa tre milioni di abbonati alle IPTV illegali. In Italia è stata considerata una vera e propria priorità, da parte del Governo: il contrasto alla pirateria nello sport è diventato una priorità chiara, affrontata inizialmente attraverso il Decreto legge Caivano della scorsa estate, e con l’introduzione di norme più severe per contrastarla.

Multa a chi trasmette (e anche a chi guarda) le partite su piattaforme pirata

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Il Decreto-legge ha come obiettivo principale il contrasto al disagio giovanile, alla povertà educativa e alla criminalità minorile. Di conseguenza, la pirateria è stata elevata al rango di reato, con pene che vanno dalla reclusione da uno a quattro anni e multe che oscillano tra i 2.500 e i 15.000 euro per chi effettua trasmissioni illegali. Coloro che consumano contenuti piratati possono essere multati fino a 5.000 euro. Questa nuova legislazione rappresenta un passo significativo nella lotta contro la pirateria, garantendo una maggiore protezione dei diritti degli operatori e promuovendo un ambiente più equo nel settore sportivo.

Il fenomeno della pirateria sportiva, da sempre difficile da contrastare, ha trovato un nuovo avversario in Piracy Shield, uno strumento tecnologico sviluppato dalla Lega Serie A e gestito dall’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni (Agcom). Dopo settimane di lavoro, Piracy Shield è stato lanciato ufficialmente lo scorso febbraio, introducendo un sistema di monitoraggio e blocco in tempo reale dei siti illegali che trasmettono eventi sportivi. Questo sistema, unico nel suo genere, permette di oscurare i siti entro trenta minuti dall’avvio delle trasmissioni illegali, grazie alla collaborazione tra operatori autorizzati, Garante e provider di servizi web. Per supportare l’applicazione di Piracy Shield la Guardia di Finanza e la Procura di Roma hanno firmato un protocollo d’intesa che permette alle autorità di incrociare i dati e procedere con le indagini contro gli indirizzi IP sospetti senza richiedere l’autorizzazione della magistratura. Questa nuova collaborazione accelera il processo sanzionatorio e rende più efficace l’identificazione dei responsabili della pirateria sportiva (fonte).

Come funziona Piracy Shield

Il funzionamento di Piracy Shield si basa su segnalazioni di operatori autorizzati, che indicano le pagine web e le app che stanno trasmettendo illegalmente gli eventi sportivi. Una volta accertato il reato dall’Agcom, gli Internet Service Provider (ISP) hanno l’obbligo di bloccare tempestivamente il sito segnalato, in modo che non si possa più raggiungere dall’Italia. Successivamente, le prove raccolte vengono condivise con le Procure per l’identificazione dei responsabili delle piattaforme illegali, oltre che degli utenti che accedono ai contenuti piratati.

Wired aveva spiegato nel dettaglio il funzionamento della piattaforma della Sp Tech, una startup informatica focalizzata sulla lotta alla pirateria online. Piracy Shield funziona sul cloud di Microsoft Azure, da quello che sappiamo, ed è raggiungibile solo mediante VPN in dotazione agli operatori (non esiste un IP pubblico per motivi di sicurezza, in altri termini).  Su questa piattaforma le aziende titolari dei diritti (Sky e Dazn per intenderci) inseriscono progressivamente gli indirizzi IP e/o i Fully Qualified Domain Name (FQDN), ovvero nomi di dominio univoci che identificano in modo univoco una risorsa online, dei siti pirata che trasmettono contenuti senza autorizzazione. Questi dati sono inoltre accompagnati da prove forensi che certificano la violazione dei diritti d’autore.Chi effettua la segnalazione ha solo pochi minuti per correggere eventuali errori, perchè Piracy Shield genera immediatamente un ticket e aggiunge la segnalazione alla lista dei siti non consentiti. La lista è consultata dagli operatori di telecomunicazioni e di rete, che dispongono il blocco entro 30 minuti, a quanto pare senza intervento da parte di un operatore umano (da cui il rischio di commettere errori, a nostro avviso, per via del bias dell’automazione).

Nonostante i risultati positivi (da quello che sappiamo, quantomeno, finora riferiti dai promotori di Piracy Shield) sembra permanere un certo margine di errore nelle segnalazioni degli IP, con il rischio di oscurare pagine errate (soprattutto nel caso di IP condivisi o di servizio, come quelli per le CDN). Nel frattempo altri paesi come la Spagna starebbero, nel frattempo, prendendo in considerazione interventi anti-pirateria analoghi. Un’ordinanza del tribunale del commercio di Barcellona potrebbe presto obbligare i principali operatori internet locali, tra cui Telefónica, Vodafone, Orange, MásMovil e Digi, a collaborare con le autorità competenti fornendo dati e informazioni su coloro che si collegano ai server che trasmettono contenuti ritenuti illegali.

Conclusioni

L’implementazione di una piattaforma governativa per il blocco degli indirizzi IP dei siti pirata può (e dovrebbe, a nostro avviso) essere monitorata e migliorata costantemente, in quanto soggetta a vari, potenziali, problemi tecnici:

  1. Errore umano: Esiste il rischio che vengano bloccati indirizzi IP non correlati alla pirateria o che vengano segnalati erroneamente, come è stato segnalato sempre da Wired. Questo potrebbe causare interruzioni dei servizi legittimi e danni alla reputazione degli operatori.
  2. False positivi: La tecnologia impiegata potrebbe identificare erroneamente siti legittimi come pirata a causa di somiglianze nei nomi di dominio o nella struttura del sito. Ciò potrebbe comportare il blocco ingiustificato di risorse legali.
  3. Falsi negativi: Al contrario, alcuni siti pirata potrebbero riuscire a eludere il sistema di blocco, ad esempio modificando frequentemente il proprio indirizzo IP o utilizzando tecniche avanzate di mascheramento.
  4. Protezione della privacy: La raccolta e l’elaborazione dei dati degli utenti coinvolti potrebbero sollevare preoccupazioni in materia di privacy e sicurezza dei dati personali. È fondamentale garantire che vengano rispettate tutte le normative sulla privacy durante la raccolta e l’utilizzo di tali informazioni.
  5. Sovraccarico dei server: Se la piattaforma viene sottoposta a un’elevata quantità di segnalazioni o richieste di blocco, potrebbe verificarsi un sovraccarico dei server, causando ritardi nel processo di blocco o interruzioni dei servizi.
  6. Crittografia e tunneling: Alcuni siti pirata potrebbero utilizzare connessioni crittografate o tunneling per mascherare il traffico e sfuggire al rilevamento e al blocco degli indirizzi IP.

Per mitigare questi problemi, è importante adottare tecnologie avanzate di monitoraggio e analisi del traffico, implementare procedure di verifica e ricorso, e garantire la trasparenza e l’apertura nel processo di blocco degli indirizzi IP pirata. Inoltre, è essenziale collaborare con gli operatori internet e le autorità competenti per sviluppare strategie efficaci e rispettare i diritti degli utenti e delle aziende legittime.

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