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Perché Kid Icarus è stato un retrogame da incubo (in senso buono)

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Il 18 dicembre 1986 avvenne qualcosa di molto significativo per il mondo dei videogiochi dell’epoca: venne infatti pubblicato in Giappone Kid Icarus (A Mythology of Light: The Mirror of Palthena), un platform sviluppato con lo stesso motore di un altro videogame per il NES altrettanto mitico (Metroid). Chiunque abbia attualmente almeno una trentina d’anni dovrebbe ricordare di questo gioco, che definire un semplice platform è, ancora oggi, alquanto riduttivo. Il primo Kid Icarus (primo di una lunga serie, diventata oggi una saga rivista in più salse) fu infatti una vera e propria innovazione per il mondo del videogioco: il protagonista, infatti, non doveva semplicemente “saltare e sparare” (cosa abbastanza complicata di suo, peraltro) ma farsi più calcoli tra mille simboli dal significato quasi esoterico quali cuori, martelli e melanzane (sic).

Uno dei principali motivi di interesse di Kid Icarus fu, anzitutto, la sua elevata giocabilità : il personaggio protagonista (un angelo dal nome Pit) si muove in un mondo bidimensionale evocando, a più livelli, quello di un cult come il primo SuperMario. Al tempo stesso, ci sono vari elementi derivati dai giochi di ruolo classici che tendono a complicare il gameplay, rendendo Kid Icarus uno dei giochi più criticati per il livello di difficoltà  introdotto (che pero’, a conti fatti, tende a rende accattivante il gioco ed ha saputo tenere incollati al NES diverse generazioni di videogiocatori, a conti fatti). Tali elementi sono numerosi: tanto per cominciare, Pit dispone di frecce infinite ma hanno, fin dall’inizio, una portata limitata: per potenziarle è necessario raccogliere dei “punti esperienza“, ovvero cercare sia di colpire più avversari possibili che di raccogliere i cuori che vengono offerti in cambio dopo averli distrutti. La cosa è più complicata della media – dire che Kid Icarus è un platform in effetti è riduttivo – e non proprio alla portata di newbie, dato che sono molto frequenti gli attacchi di orde di nemici da ogni dove i quali, pur non seguendo una politica di attacco troppo intelligente (vista oggi, ovviamente) variano direzione e velocità  in modo imprevedibile, ed anche un banale serpentello che piove dal cielo può essere un problema serio.

Le orde di nemici, derivati il più delle volte dalla mitologia greco-romana (serpenti, Medusa, e via dicendo), in certi momenti sono davvero asfissianti, e questo costringe il videogiocatore a sparare più veloce che può costringendolo, al tempo stesso, a farsi dei conti sull’accumulo di cuori. I cuori possono infatti essere usati come “moneta” nel gioco per acquistare numerosi power up, ovvero potenziamenti di attacco e di difesa, oltre alla possibilità  di rigenerare la propria energia. Dentro il primo Kid Icarus ci sono numerosi negozi in cui, ogni tanto, è possibile recarsi per acquistarli, ammesso di avere cuori a sufficienza (e motivo per cui non è possibile andare semplicemente avanti nel gioco: ogni stadio prevede, implicitamente, un numero minimo di uccisioni per poter andare avanti).

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Al tempo stesso, Pit ha pochissima energia a disposizione: all’inizio è una sorta di guerriero di livello base, e può morire lto facilmente sia colpito da troppi nemici svolazzanti e striscianti, sia precipitando nel vuoto durante la salita (potrà  volare, con tanto di scudo e robusta armatura, solo dopo aver raggiunto l’ultimo livello del gioco). Potrà  estendere la propria barretta di energia soltanto facendo più punti possibili, e passando da uno stadio all’altro aumenterà  un po’ per volta il proprio potenziale.

Si parlava di melanzane, e non per una gustosa parmigiana a 8 bit: nei livelli conclusivi di ogni mondo in cui è diviso il gioco, Pit si deve addentrare in un complicato labirinto sotterraneo, in cui alle complicazioni ed alle difficoltà  di cui sopra si aggiungono degli infidi maghi che gli lanciano addosso delle melanzane. Se lo beccano, Pit diventa una melanzana: non può più sparare durante quella sessione di gioco, ed è costretto a tornare indietro a curarsi in una stanza ospedale presente nella mappa. Cosa ancora più complicata: la mappa del gioco (forse uno dei difetti più lampanti dello stesso, in effetti) è poco utile e poco significativa, perchè è un semplice quadrato di aree che vengono esplorate e, di fatto, si procederà  sempre e comunque abbastanza alla cieca. Ricordo ancora che, da ragazzino, mi ero costruito delle mappe cartacee dei vari labirinti di Kid Icarus, e ricordo anche bene che era possibile, per i possessori del NES, farsi inviare per posta, su richiesta, una FAQ cartacea in grado di svelare i vari segreti del gioco (e non solo di questo, ovviamente). Insomma il mondo del retrogame si rivelava un tantino più complicati di quello dei videogiochi moderni, in cui volenti o volenti è possibile trovare le soluzioni, le cheat e i vari hint semplicemente andando su Google.

Kid Icarus fu indubbiamente uno dei giochi più complicati dell’epoca, almeno che io ricordi, assieme ad un altro “mostro del genere” quale Faxanadu, dove il livello di difficoltà  era addirittura più elevato di quanto non fosse quello del gioco prodotti dai designer Toru Osawa e Yoshio Sakamoto. Su Youtube, ad oggi, alcuni videogiocatori particolarmente abili sono riusciti a finirlo in una singola sessione di circa un’ora e mezza, una cosa impensabile per un’epoca in cui, che io ricordi, finire un gioco del NES richiedeva almeno qualche mese di gioco continuativo. Quello che vi propongo è un video di una sessione di gioco velocizzata, giusto per avere un’idea di quanto fosse articolato, entusiasmante e complesso il gioco in questione.

Nel 2019, racconta CNET, è stata venduta ad un’asta online una copia della cartuccia originale di Kid Icarus, ancora integra e mai aperta, a ben 9000 dollari, a testimonianza di un mondo – quello dei retrogame – che è ancora vivo e vegeto nonostante gli anni 80 siano trascorsi da un pezzo. L’immagine del gioco nella copertina, per inciso, è tratta dal sito ufficiale Nintendo.it.

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