Tutti gli sportivi d’Europa ormai conoscono il VAR, la tecnologia che permette (si spera!) di ridurre gli errori di valutazione in campo, dando un occhio in più all’arbitro nelle partite di calcio perchè possa prendere la decisione più giusta. Andiamo a vedere, dal punto di vista tecnologico, come funziona il tutto, almeno da quello che sappiamo dalle fonti ufficiali.
Che cos’è il VAR
Il Video Assistant Referee (VAR) è uno strumento tecnologico a disposizione degli arbitri di calcio, costituito di una serie di telecamere ad altissima risoluzione posizionate in punti strategici a ridosso del campo di gioco in grado di fornire una panoramica di inquadrature da più punti i vista (si cerca di poterle posizionare in maniera tale da avere almeno quattro inquadrature diverse di ogni singolo punto del campo) per consentire all’arbitro di rivedere decisioni che potrebbero, per loro stessa natura, essere affette da errori umani (o peggio ancora, malizia). Mediante un sofisticato e collaudato sistema basato su comunicazione in tempo reale via cuffie e microfono, che presto (a quanto pare) potrebbe diventare addirittura udibile durante le partite per maggiore trasparenza, è una tecnologia che aiuta l’arbitro a prendere le classiche decisioni che fanno arrabbiare tutti i tifosi: mancati rigori, gol non assegnati e fuorigioco non visti, essenzialmente. La filosofia che guida il VAR è quella della minima interferenza, massimo vantaggio, al fine di correggere eventuali errori molto grossolani o falli di gioco pesanti non visti.
Il VAR è stato introdotto anche in Italia, in via ufficiale, durante la stagione della serie A 2017-2018, con inevitabili polemiche a corredo e uno scetticismo che, in parte, perdura fino ad oggi.
Un po’ di storia…
Il calcio non è il primo sport che si è affidato alla tecnologia per assistere gli arbitri, anzi, colpevolmente – per via sia del seguito che degli interessi economici che intorno ad esso ruotano -, è stato uno degli ultimi. Il rugby, per esempio, nei più prestigiosi tornei, già dal 2003 (i primi esperimenti risalgono agli anni ’90) ha adottato il TMO che è in tutto e per tutto identico al VAR calcistico, con l’unica differenza che mentre nel calcio ciò che si dicono l’arbitro e gli assistenti resta confinato nelle loro segrete stanze e le immagini in campo vengono trasmesse su uno schermo “ermeticamente” dedicato all’arbitro (come se dopo pochissimi secondi dalla decisione il resto del mondo non veda le stesse immagini che lui ha visto in solitaria nello schermo a circuito chiuso), nel rugby, ciò che l’arbitro chiede al TMO viene diffuso dall’impianto audio dello stadio e lo stesso arbitro guarda le immagini da bordo campo dai maxischermi sulle tribune, come a dire: “noi non abbiamo nulla da nascondere”.
Ma, si sa, il rugby è animato da un’etica sportiva diversa dal calcio. Anche la pallavolo utilizza dal 2013 un sistema di controllo tecnologico delle linee laterali e della rete per capire se la palla abbia toccato il campo dentro o fuori la linea, se c’è stato il tocco a muro del pallone, se si è commessa invasione o se il pallone ha toccato le “antenne” della rete (al contrario di calcio e rugby, il ricorso a questo sistema, chiamato Challange System, è appannaggio sia dell’arbitro che degli allenatori che hanno tre possibilità di “chiamate” per set). Ma ancora si possono citare il basket, l’hockey su ghiaccio, il cricket, la scherma, il footbal americano… persino nel biliardo si utilizza l’ausilio del mezzo tecnologico per rimettere le bocce al proprio posto in caso di giocata non valida! Il caso più eclatante, poi, è quello del tennis che da anni ha introdotto con successo l’Hawk-Eye, che ha una funzione del tutto simile al Challange System della pallavolo di cui abbiamo parlato sopra e, grazie al quale, in diversi tornei tra i più importanti (soprattutto indoor), dal campo sono spariti tutti i giudici di linea e di rete, lasciando al solo arbitro “di sedia” il compito di dirigere l’incontro con il sistema tecnologico che chiama in automatico e in tempo reale (con tanto di voce umana sintetizzata) gli out.
Eppure il calcio, nonostante il seguito globale non paragonabile a quello di nessun altro sport, ha impiegato anni e subito infiniti processi prima di arrivare alla conclusione che affidarsi alla tecnologia rappresentava una ovvia via da percorrere.
Certo, se pensiamo al calcio e alla sua storia, gli episodi che più ne hanno costruito la leggenda sono proprio quelli che il VAR avrebbe sconfessato: come sarebbe andata a finire la finale del mondiale del ’66 tra Inghilterra e Germania con il VAR (o, in quel caso, con la Gol Line Tecnology) in occasione del gol fantasma di Hurst? E che piega avrebbe preso il Mondiale di Messico ’86 se il VAR avesse annullato il gol di Maradona de “la mano de Dios“? E la tragica finale di Coppa Campioni dell’Heysel dell’85 sarebbe stata vinta dalla Juventus, se ci fosse stato il VAR a concedere una giusta punizione dal limite anzichè il rigore sul fallo subito da Boniek? e l’Italia, ai Mondiali di Corea e Giappone del 2002, sarebbe uscita agli ottavi per opera dell’arbitro Byron Moreno? E l’intervento di Iuliano su Ronaldo era rigore? e il gol di Muntari contro la Juve non visto dall’arbitro avrebbe potuto cambiare le cose? La casistica è talmente ampia che, alla fine, anche il meccanismo burocratico cervellotico e pantagruelico che ruota intorno al calcio si è divuto arrendere all’evidenza e dare mandato agli ingegneri affinchè trovassero una soluzione al passo con i tempi, con la giustizia (non tanto quella dei tribunali quanto quella etica) e con quasi tutti gli altri sport.
Goal Line Technology
Il primo passo di questa conversione del calcio alle tecnologie del nuovo millennio avvenne con la Goal Line Tecnology, introdotta a partire dal 2012, che tramite dei sensori simili a quelli dell’Hawk-eye del tennis, consente di chiarire gli episodi di gol fantasma con il responso che arriva in tempo reale comodamente sul monitor di una sorta di smart watch fissato al braccio dell’arbitro.
Già da qualche anno arbitri e guardalinee erano collegati tra di loro con microfoni e cuffie per facilitare una comunicazione più tempestiva tra gli stessi, ma la vera rivoluzione arrivò con il VAR.
VAR
Il VAR è stato concepito in ambito internazionale dal progetto Refereeing 2.0 all’inizio del 2010, sotto la direzione della Royal Netherlands Football Association (KNVB). Il sistema è stato testato attraverso prove simulate durante la stagione 2012-2013 dell’Eredivisie, il massimo campionato di calcio del paese.
Nel 2014, si è iniziato a parlare di una possibile estensione del regolamento, fino all’approvazione da parte dell’IFAB (International Football Association Board, l’associazione internazionale con sede in Svizzera, “depositaria” del regolamento del gioco del calcio e a cui spetta il compito di revisionarlo) che, durante la sua assemblea generale tenuta nell’anno 2016, ha approvato le sperimentazioni e un percorso finalizzato alla sua piena attuazione. Lo scopo primario era di evitare ingiustizie palesi all’interno dei campionati, evitando che (come è spesso capitato) varie squadre possano ad esempio qualificarsi in coppa o vincere trofei per via di decisioni arbitrarli faziose o poco corrette o, ancora, per semplice imperizia di alcuni arbitri.
Dopo l’iniziale resistenza alle nuove tecnologie da parte di Blatter, dopo il 2015 e le sue dimissioni fu Gianni Infantino ad accogliere con entusiasmo la proposta, che venne usata per la prima volta nel luglio 2016 in una partita amichevole tra PSV e FC Eindhoven. L’Italia ha visto il VAR per la prima volta durante un’amichevole internazionale contro la Francia.
Quando può intervenire il VAR
Stando al regolamento sono quattro le casistiche tipiche della sua applicazione:
- Gol-non-gol: casistica ampia che si riconduce ad assegnamento di gol in situazioni potenzialmente ambigue o poco chiare. Come detto questa tecnologia è antecedente al VAR e funziona in maniera automatica ed indipendente dalla VAR room, luogo fisico in cui due arbitri e un tecnico video siedono davanti ai monitor utilizzati per il processo di moviola delle azioni dubbie.
- Situazioni da rigore / non rigore: tutte le situazioni di gioco in cui, di fatto, potrebbe dover essere assegnato un rigore dubbio (fuorigioco non visti, falli di mano non evidenti, tocchi involontari da non considerare tali e cosଠvia)
- Situazioni da rosso diretto, ovvero: linguaggio non consono, insulti pesanti, condotta violenta, falli molto gravi non visti, negazione di chiare opportunità da rete.
- Potenziali errori nell’assegnamento di cartellini gialli e rossi.
Come funziona tecnicamente il VAR
Il VAR si basa su una “centrale operativa” tecnologicamente attrezzata, detta Video Operation Room (in sigla VOR), che comunica silenziosamente, in prima istanza, con l’arbitro in campo. Le riprese che vediamo usualmente su Sky e DAZN, peraltro, non sono necessariamente le stesse che è in grado di vedere il dispositivo, che sfrutta una serie di telecamere in grado di effettuare la “moviola in campo” un po’ di biscardiana memoria. In sala VAR (quella che vediamo nella foto successiva, relativa al campionato di Lega Saudita Professionistica), siedono due arbitri e un tecnico video in grado di analizzare l’azione, e fornire elementi nuovi all’arbitro in campo che, naturalmente, è in grado di sentire tutto in cuffia.
Come suggerito all’inizio l’uso della tecnologia non è invasivo e tende a non interferire con il gioco, perchè ci vuole del tempo per effettuare il check e perchè, soprattutto, sia arbitro in campo che tecnici in sala possono decidere di ignorarlo. Se l’azione è ritenuta dubbia o passibile di fuorigioco, rigore o gol da attribuire, si passa alla fase in cui, dal campo, l’arbitro può vedere nello schermo a bordo campo l’azione in questione, e prendere una decisione di conseguenza. Alla fine, avrà più elementi per poter giudicare.
VAR sà¬, VAR no, VAR… forse
Vediamolo al VAR – o, come ironizzerebbero alcuni tifosi, meglio al BAR che al VAR. àˆ chiaro che come tutte le nuove tecnologie ci sia ancora un pochino di diffidenza: molti allenatori, all’inizio, del resto non si erano dichiarati troppo favorevoli o del tutto contrario a questa tecnologia. Elemento che, al netto di tante critiche più o meno leggittime che abbiamo sentito noi appassionati di sport, nonostante tutto si sente eccome: e ce ne accorgiamo primariamente dal mood differente con cui si approccia ai gol o ai potenziali rigori. Quando viene chiamato il VAR, ad oggi, nei vari campionati e nelle coppe in cui ne è consentito l’uso, un brivido ci percorre la schiena: è gol, potrebbe non esserlo, non siamo comunque autorizzati a festeggiare. E questo porta nuove emozioni veicolate dalle tecnologie, che potrebbero un pochino scandalizzare i puristi ma che, alla fine, non ci sentiamo di demonizzare. A qualcuno, tutto sommato, il VAR inizia a piacere…
Probabilmente il problema vero del VAR non risiede tanto nella tecnologia – ormai su 100 casi ispezionati e decisi dall’intervento del VAR, al massimo 4 o 5 possono lasciare qualche dubbio sull’interpretazione – ma nella diversa maniera in cui questo viene utilizzato nei vari campionati. In Italia, ad esempio, l’anno scorso si è assistito ad una fioritura fuori stagione di falli di mano in area da rigore che avevano prodotto una quantità mostruosa di rigori che negli altri campionati non si è vista (tant’è che poi si è deciso una sostanziale marcia indietro su quel tipo di interpretazione del fallo di mano), allo stesso modo, da noi si tende a far proseguire anche per parecchi secondi azioni probabilmente viziate da fuorigioco prima di interrompere il gioco, mentre in altre nazioni si predilige un approccio più “classico” con un intervento più immediato da parte dei guardalinee. Queste dicotomie possono causare smarrimento nei giocatori e tifosi soprattutto quando ci sono partite internazionali dove squadre provenienti da due campionati diversi dove il VAR viene utilizzato (sempre dal punto di vista dell’interpretazione, non della tecnologia) in maniera leggeremente diversa, vengono diretti da arbitri che provengono da una terza nazione e abituati ad una ulteriore lettura delle dinamiche.
Questo porta alla conclusione che, VAR o non VAR, il problema alla base sia sempre umano ed è proprio la “variabile umana” che andrebbe conformata… l’occhio della telecamera non sbaglia è il cervello umano che potrebbe farlo.
Immagine di copertina di pubblico dominio – Di C records – Opera propria, Pubblico dominio, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=70907970
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