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È tempo di Web3: cos’è e come funziona

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All’inizio era, secondo un modo di dire più ripetuto che realmente capito, il web semantico, l’ossessione di alcuni esperti di SEO nonchè un focus puntato sul fatto che si parlasse di web 3.0. Sembrava fosse finita lì, che si potesse pensare come un’evoluzione del web 2.0 che tutti abbiamo apprezzato e conosciuto (era quello dei social) e del web 1.0 semi-statico e che era a malapena in grado di mostrarti una tabella formattata in modo accettabile, a volte.

Di fatto, non è chiaro come si sia passati da web 3.0 a web3, ma sta di fatto che web3 indica una rete internet che non si basa più sullo standard dettato dal protocollo client server bensà¬, almeno in prospettiva, sull’uso delle blockchain. web3 potrebbe essere un web decentralizzato in cui esiste un libro mastro che registra le attività  e le firma digitalmente, mentre gli utenti si “muovono” all’interno dello stesso come fossero in una realtà  virtuale modello Meta. A questo punto tanto varrebbe focalizzarsi sulle utenze, prima ancora di parlare di web3 come il futuro di internet o peggio ancora scrivere che gli NFT siano semplice allucinazioni collettive.

In realtà  qui si rischia di entrare un po’ in un campo minato, nel quale la concretezza della vision in questione tende a barcollare, a diventare meno concreta, per certi aspetti quasi futile, mescolando concetti che di per sè non vogliono dire molto (c’è chi associa al web3 l’uso della crittografia, altri lo basano su piattaforme come Filecoin o Storj). Di fatto, premettere l’obbligo “morale” di uso di una certa tecnologia senza capire prima la necessità  che ne porta all’uso non sembra essere una buonissima idea, e porta a definizioni confuse, discussioni spesso senza capo nè coda, per non parlare di articoli come questo che provano, in buonafede, a ricostruire un discorso frammentatissimo senza forse neanche farsi capire dai più.

Se c’è la blockchain di mezzo, in ogni caso, sembra plausibile che le attività  che solitamente si effettuavano a livello di cloud possano progressivamente assorbire questa tecnologia al loro interno, giovandone a livello di tracciabilità  potenziata delle transazioni, delle attività  degli utenti e cosଠvia. L’uso di token personalizzati (che non è detto siano per forza criptovalute) sta aprendo le porte a tantissime nuove attività , tanto che molte squadre di calcio stanno proponendo i propri token personalizzati, che i tifosi possono usare per acquistare biglietti e gadget, ad esempio.

Per quanto ne sappiamo, comunque, la cultura insita nel Web3 è vivace e dinamica, sembra quasi ricordare le prime mosse dei pionieri del web 1.0 ed è pervasa, oltre che da un senso di virtualità  innato e dalla voglia di essere dirompente, oltre che (secondo noi) da una sorta di ossessione per i soldi. Una cultura moneto-centrica che è estranea a quella delle due versioni precedenti di web, che di certo erano meno gratis di quanto potessero sembrare, ma difficilmente avevano posto come oggi un modello ciecamente capitalista al centro del mondo. Se è vero che la moneta bitcoin è rimasta un po’ di nicchia, di fatto, altre realtà  come gli NFT di cui parlavamo prima sembrano invece decisamente più promettenti e sostanziali, più ricche di curiosità , più popolate da imprenditori desiderosi di introdurre qualcosa di nuovo e passare cosଠalla storia.

La speranza è anche che la tecnologia web3, qualsiasi cosa voglia essere, badi alle necessità  reali e aggiornate degli utenti e non muti geneticamente nell’ennesimo specchietto per le allodole per i guru, o peggio ancora un mondo autoreferenziale destinato agli esperti o presunti tali. A questo punto solo il tempo potrà  dire cosa sarà  realmente il web3, ed evitiamo di fare ulteriori speculazioni per evitare che finisca come per il web semantico, da feature potentissima in ambito informatico fino a degenerare in banalità  propinata da alcuni “esperti” di marketing, al semplice scopo di vendere consulenze spesso discutibili.

Foto di Gerd Altmann da Pixabay

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