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Che cosa vuol dire compartimentazione in psicologia

Secondo la scrittrice Doris Lessing, non bisognerebbe mai dividere le cose in compartimenti stagni, ed è la tesi principale del suo libro Il taccuino d’oro, controverso quanto amato da generazioni. Eppure siamo bravi a dividere le cose in due, è una capacità innata dell’essere umano e, ovviamente, possiede una sua utilità di fondo nel discorso evolutivo.

Qual è la definizione di “compartimentazione”?

Per compartimentazione intendiamo, in psicologia, un meccanismo di difesa attuato da una persona al fine di sostenere le proprie credenze (non necessariamente religiose, bensì nel senso più ampio di “convinzioni”)” per evitare qualsiasi forma di conflitto tra le stesse. La compartimentazione è (anche) un classico meccanismo di difesa psicologica in cui se coesistono pensieri o sentimenti in conflitto tra loro, vengono tenuti separati o addirittura isolati nella propria mente. Ciò evita l’effetto sgradevole, ad esempio, che una persona possa farsi “assalire” da troppi pensieri, senza riuscire a risolverne nessuno e con l’unico effetto di sentirsi “in trappola”.

La compartimentazione è stata introdotta negli scritti di Davidson (l’idea di una compartimentazione della mente, scrive l’autore), che viene usata per spiegare l’irrazionalità delle scelte e di certi operati: Io mi preoccupo  – scrive l’autore – semplicemente di difendere l’idea di una compartimentazione della mente, e di dedurre che questa è necessaria per spiegare una forma comune di irrazionalità – 1982, p.300, n.6). Altri aspetti possono essere approfonditi ripensando alla suddivisione tra Io, Es e Superio dovuta a Freud.

In alcuni casi, l’abuso di compartimentazione può essere causa di potenziale dissociazione, per cui non si tratta di una tecnica da usare a cuor leggero e senza ragionarci. Molto dipende da quelli che sono i nostri valori, il nostro modo di comportarci e di vivere le nostre giornate, chiaramente; In altri casi ciò può anche indurre comportamenti virtuosi, come la capacità di lavorare duramente anche quando non siamo proprio dell’umore giusto oppure, tanto per fare un altro esempio, agire in modo logico a prescindere da convinzioni morali o bias ereditati in passato.

La compartimentazione in senso stretto non viene accettata universalmente e, come spesso accade nelle scienze umane, è frequente che ci siano teorie che la contestano più o meno apertamente: se è vero quello che dice Davidson, ciò che egli chiama “l’idea di una compartimentazione della mente”, tale idea non renderebbe conto della complessità della mente umana secondo le più recenti teorie sulla scienza della mente.

La compartimentazione non è una scienza assoluta o esatta e non ci rende certo invincibili, ovviamente, e può comunque portare ad esporci e renderci comunque vulnerabili. Il suo scopo rimane quello di evitare forme di dissonanza cognitiva: quella forma di disagio mentale e l’ansia causati da una persona che presenta valori, cognizioni, emozioni, credenze di natura conflittuale dentro sè. La compartimentazione consente pertanto alle idee contrastanti di coesistere in modo pacificato.

Nota: questo articolo non è scritto da uno psicologo o da un esperto in materia, ma è la sintesi di varie letture e di articoli specialistici.

Foto di Oberholster Venita da Pixabay

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