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Guida pratica all’inbound marketing: dritto, fino alla tua audience di riferimento

Nell’ormai lontano 2013 il sito CmsWire pubblicava delle statistiche, tutto sommato, impietose quanto attuali: esse riguardavano i numeri riportati di un’infografica realizzata a suo tempo, in cui ci si chiedeva per quale motivo un inserzionista medio dovesse pagare per delle ads che poi, alla prova dei fatti, venivano in molti casi ignorate dal pubblico destinatario. Il problema della cosiddetta “cecità  al banner“, del resto, continua ad interessare gran parte di noi che ci occupiamo di scrivere per il webbe, senza aver ancora trovato una risposta chiara all’annoso problema.

Marketing outbound is dead (forse)

Per quanto si discuta spesso in modo costruttivo su come strutturare le campagne di Google Ads, Facebook Ads e compagnia, anche ignorando completamente l’etica di fondo resta un problema dei costi, che sono sempre più insostenibili soprattutto in caso di settori altamente concorrenziali. Il marketing outbound delle pubblicità  classiche e delle ads che fine sta facendo, a questo punto?

No, forse non è morto (e mai morirà ), ma quelle percentuali di CmsWire erano davvero incredibili: 88% delle persone che cambia canale quando vede una pubblicità , 44% delle email pubblicitarie che non vengono mai aperte, 84% del pubblico più giovane del web che smette di consultare siti con troppa pubblicità  fuori tema al loro interno, 91% di abbonati a newsletter finisce per esercitare l’opt-out (la disiscrizione garantita per legge, peraltro).

Che cos’è l’inbound marketing

L’inbound marketing (inglesismo intraducibile in italiano, da rendere al limite come “marketing in entrata“) fa riferimento ad un approccio opposto rispetto a quello outbound, che è anche in grado di compensare i difetti che abbiamo snocciolato: invece di invadere spazi e tempi dell’utente finale, cerca di assicurarsi di stabilire un canale di comunicazione che l’utente desideri o abbia bisogno. In tal senso l’inbound marketing consiste in una precisa business strategy aziendale che sfrutta internet, nello specifico, e le tecnologie a supporto per fare marketing in grado di “rispondere ad una domanda“.

Esso può diventare una strategia aziendale in grado di attrarre clienti interessati al tuo prodotto o servizio, seriamente interessati allo stesso perchè, ad esempio, si sono abbonati ad una newsletter tematica oppure leggono regolarmente il tuo blog verticale. A differenza dell’outbound marketing che tende ad essere invasivo della user experience del tuo pubblico – le ads per cui gran parte dei giovani abbandonano i siti web che, in teoria, li interesserebbero pure – la sua versione inbound crea connessioni virtuose e funzionali, offre soluzioni a problemi reali, fornisce risposte, orientamento e qualità  in nome di una strategia all’insegna, in molti casi, di una sostanziale trasparenza.

In questo scenario l’attenzione del cliente viene conquistata per gradi, seguendo un processo di acquisizione graduale in cui nulla è brusco e nulla è inatteso, un po’ come avverrebbe in una dinamica conoscitiva basata sulla fiducia (fiducia che, è risaputo, si può dare a chiunque, ma sarebbe meglio non regalare a troppe persone). La capacità  delle strategie di questo tipo, del resto, consiste nel fare uso di canali di comunicazione che, in molti casi, hanno costi relativamente più contenuti rispetto a quelli del marketing basato sulle ads.

Gestione dell’inbound marketing

La gestione dell’inbound marketing funge in qualche modo da monitor per l’azienda, e mediante strumenti di web analytics è in grado di fornire un’indicazione, più o meno di massima, sul tasso di interessamento che l’azienda è in grado di generare presso il proprio pubblico. Per quanto alcuni segnali siano soggettivamente interpretabili, in alcuni casi, sono un indicatore prezioso per le aziende che operano sul web, e non dovrebbero essere sottovalutate. Cosa che spesso poi accade dato che, in molti casi, una mentalità  “padronale” o accentratrice svilirebbe questo approccio, limitandosi a considerare il fatto che non vogliono “regalare” niente a nessuno. Il punto pero’ è fallace: se è vero che creare contenuti a tema ha un costo, ovviamente, e crearli molto buoni può avere un costo ancora maggiore, si tratta di una forma di investimento che rende al meglio nel medio-lungo periodo, soprattutto canalizzando e targetizzando in modo accurato il funnel di conversione.

Attività  tipiche da svolgere per un buon inbound marketing sono ad esempio la ricerca sui clienti, le analisi di settore, lo studio delle tendenze (Google Trends, ad esempio) unite alla classica documentazione dei requisiti e l’impostazione della strategia del prodotto. Non è raro, comunque, che le tecniche inbound siano analoghe o molto simili a quelle outbound, che possano anche convivere senza problemi e che siano svolte dallo stesso team di lavoro, in alcuni casi.

Il contenuto scritto e pubblicato al fine di generare lead (conversioni, click, acquisti online a seconda dei casi) è spesso un fattore chiave per mettere in atto un marketing inbound di successo. Blog, podcast, video, e-book, infografiche e white paper sono spesso tipici canali di comunicazione in tal senso, alla luce della considerazione: se mi arriva traffico di qualità  nel sito, allora i miei visitatori possono essere considerati, alla lunga, clienti. Per quanto sia diventata un’espressione un po’ abusata, ancora una volta Content is king, insomma.

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