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Internet (non) ci rende stupidi?

Internet ci rende stupidi è un saggio molto popolare in Italia su uno dei temi più dibattuti sulle testate online: il fatto che internet ci possa (detta volgarmente, ma è per capirci) renderci rincoglioniti o beoti è sicuramente sulla bocca e sugli schermi, paradossalmente, di chiunque. Il libro in questione peraltro non è un trattato scientifico anche se probabilmente si potrebbe pensare che lo sia: l’autore Nicholas Carr non scrive semplicemente un saggio come tanti su un’impressione personale, molto probabilmente supportata da evidenze scientifiche. Si spinge a sostenere che Internet sia proprio uno strumento per instupidire le persone: “la tesi principale di Carr è che Internet potrebbe avere effetti negativi sulle abilità intellettuali, diminuendo la capacità di concentrazione e di contemplazione dell’individuo“.  Non solo: secondo l’autore anche il multitasking è sotto accusa, in quanto ridurrebbe la capacità di fare una cosa alla volta e non rimarremmo concentrati sulla stessa attività abbastanza a lungo. Non solo: il sottotitolo italiano è come la rete sta cambiando il nostro cervello, come se fosse un fatto assodato, come se la sua entità effettiva in termini scientifici sia stata quantificata con precisione.

Non serve una laurea in neuroscienze per intuire che si tratta di un’approssimazione molto probabilmente grossolana, che tende più a dare impasto alla folla ciò che la folla desidera, cioè sentirsi dire che sono una massa di pecoroni in modo da solleticare gli istinti di chi non si sentirà tale (la psicologia delle masse colpisce ancora). In effetti ci vuole poco a dire che gli altri sono stupidi e noi siamo intelligenti (e non è detto che sia vero), perché questo ci eleva automaticamente dalla massa, ci fa sentire più importanti di quanto non siamo e probabilmente ha un effetto benefico quanto potrebbe averlo riposare dopo una lunga giornata di lavoro, farsi una bella dormita, leggere quel libro che vogliamo sapere come va a finire dopo molti giorni che non abbiamo potuto farlo. Si possono fare molti altri esempi ma la sostanza rimane sempre la stessa: la tecnologia è molto più comoda da utilizzare come capro espiatorio che come effettivo e sostanziale strumento per fare le cose cose.

Sarà sempre molto più comodo dare la colpa al rock che non ai giovani, è sempre sempre stato così: E posizioni come quelle espresse dall’autore del libro Internet ci rende stupidi molto probabilmente espongono degli spunti di discussione molto interessanti. Nella peggiore delle ipotesi possono suscitare un dibattito molto acceso o qualche polemica di troppo, ma rimangono fondamentali per comprendere dove stiamo andando. Al tempo stesso però o la sensazione che siano un po’ humus culturale da cui poi nasce la tecnofobia: alla fine dei conti possiamo girarci intorno intorno quanto vogliamo ma se non siamo molto tecnologici vuol dire che abbiamo paura della tecnologia, o che comunque tendiamo a non impararla abbastanza bene perché ci sembra troppo difficile e ci sembra rubare qualcosa alle nostre vite.

Molto probabilmente bisognerebbe riflettere di più sul clima di paranoia che questo humus culturale ha finito per produrre, considerando che la posizione antitecnologica per cui una volta con carta e penna si ragionava di più e adesso con questi computer signora mia questi ragazzi si ragionano e fanno cose strane è una posizione più diffusa e intrisa di autorevolezza di quanto dovrebbe (basta leggere certe affermazioni periodiche di Garimberti o di Crepet, per citare due esempi estremanente popolari con cui sono quasi sempre in disaccordo). Invece di dare per buono che la rete sta cambiando il nostro cervello, cosa che molto probabilmente alcuni studi sospettano da tempo, dovremmo evitare di porci in un clima di paranoia per cui la colpa è sempre degli altri, della rete, della pornografia sul web o dei social malefici, e provare a ripartire un po’ di più da noi stessi, magari da quello che possiamo fare nel quotidiano per cambiare le cose.

Naturalmente un uso critico  e posato della tecnologia è possibile, e non si può fare a meno di notare – a costo di risultare fastidiosamente sarcastici – come quelle posizioni contro l’uso di internet come se fosse una droga (l’idea geniale che caratterizzava il romanzo Neuromante di William Gibson, alla fine) arrivino a noi quasi sempre mediante Internet. Che è come dire che all’epoca del proibizionismo le idee proibizionista andavano molto in voga, e venivano acclamate tra un brindisi e l’altro nelle peggiori birrerie clandestine. Insomma: possiamo fare meglio di così.

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