Se sei un’impresa, sei il responsabile della tua azienda, sei un libero professionista o lavori presso uno studio associato come socio, collaboratore o sviluppatore, se – ancora – lavoro con l’ufficio stampa o marketing di una realtà editoriale ed hai necessità di inviare SMS ai tuoi clienti, continua a leggere questo articolo. Quando si parla di SMS marketing bisogna sapere fin da subito che l’invio indiscriminato non funziona, ed è anche una pratica che potrebbe non essere cauta dal punto di vista legale; le indicazioni del garante per la privacy e delle varie autorità che cercano di limitare gli abusi sono molto chiare, ed invitano sempre a mandare SMS pubblicitari solo a chi abbia espresso il consenso per riceverne. Quindi, come prima cosa, evitiamo di sfruttare il servizio di SMS marketing con chi capita, e anzi prima testiamolo con calma su un gruppo di numeri di prova (ad esempio dipendenti o nostri parenti ed amici) per capire se è quello adatto a noi, e se i messaggi vengono effettivamente recapitati.
Anche nell’era dei social network l’invio della pubblicità via SMS (detta spesso SMS marketing) è rimasta una pratica consolidata e molto diffusa: il messaggio, in effetti, è una forma di comunicazione diretta con un potenziale cliente, ed è in grado di fornire un contatto davvero diretto (per non dire intimo) con l’interessato. Ovviamente non sempre saranno a nostra disposizione i contatti dei cellulari dei nostri clienti o contatti commerciali, ma nel caso in cui lo fossero le soluzioni per l’invio automatizzato di SMS da PC sono molto numerose.
Raggiungere i tuoi clienti via SMS
Chiarito l’aspetto privacy, su cui per qualsiasi dubbio è sempre opportuno rivolgersi ad un esperto in materia, bisogna capire come determinare le effettive preferenze dei nostri potenziali clienti, cioè quelli a cui inviamo gli SMS; è chiaro che ad una persona che pratica sport potrà ricevere con interesse SMS commerciali inerenti articoli sportivi, ma se la persone in questione è appassionata di teatro e riceve SMS su prodotti per taglio e cucito avremo chiaramente fatto un buco nell’acqua, proprio come avverrebbe con un invio indiscriminato.
Colpire il giusto target di pubblico
Ecco perchè bisognerà individuare fin da subito il cosiddetto target di pubblico (target significa “obiettivo”, nel senso di inviare i messaggi giusti alle persone giuste) dei nostri invii di messaggi, e riuscire anche a scriverli in modo accettabile per il target di riferimento. Un modo per profilare i nostri potenziali clienti può essere basato su data, sesso, preferenze espresse, provenienza geografica, ma ovviamente si tratta di un mondo di possibilità molto vaste che dovrebbe sempre essere valutato con attenzione da pubblicitari o esperti del settore.
In questo articolo andremo a presentare tre offerte tra le più interessanti che ho trovato.
SMS Marketing: l’offerta di Skebby
Skebby è uno dei servizio di invio SMS da internet più famosi in Italia, di cui avevo già parlato nell’articolo sul marketing via SMS; la loro offerta di SMS marketing è molto interessante, visto che propone pacchetti base per l’invio di 235 messaggi pubblicitari a soli 25 €. In particolare, il pacchetto SMS Messanger permette di inviare SMS multipli direttamente dal proprio computer, senza alcuna conoscenza tecnica pregressa; per gli sviluppatori è anche disponibile una API da remoto molto potente e versatile. Un’offerta molto economica e parecchio funzionale alla maggioranza degli obiettivi, che non richiede (come peraltro tutte le offerte di questo tipo) l’installazione di alcun software specifico – quindi basta avere, in genere, un browser ed una connessione ad internet per lavorarci.
SMSHosting è un’azienda italiana, precisamente di Belluno, tra le più interessanti nell’ambito dell’invio di SMS pubblicitari; i prezzi che propongono, infatti, partono da 0,062€ / SMS. Questo significa che potrete ad esempio sperimentare il servizio sfruttando il pacchetto base a soli 12,40€ (eccolo). Un’altra offerta molto interessante, che secondo me bilancia bene qualità e prezzo, è il piano intermedio Silver, che permette di acquistare un pacchetto di ben 1000 SMS, da utilizzare “a consumo”, a soli 62€.
SMSHosting è una società italiana molto interessante, fornitore certificato per PA (Pubblica Amministrazione), autorizzata da AGCOM e certificata dal Consorzio Netcomm. A me pare l’offerta ideale per negozi, imprese, società di servizi e di consulenze che vogliano contattare via SMS i propri clienti, ed offre anche preventivi personalizzati, volendo (ecco il sito).
SMS Marketing: l’offerta di Aimon
Ci sono anche altre offerte interessanti in questo profilico settore, che viene comunque preferito all’IM di Telegram e Whatsapp per alcune categorie di utenti, oltre ad essere utilizzato, più in generale, per attivare servizi di home banking, acquisti online e criptovalute come la Two-Factors Authentication (autenticazione a due fattori: in prima prima di autorizzare un pagamento, riceverete un SMS sul telefono per essere sicuri di aver effettuato personalmente l’operazione). Da un punto di vista tecnico i servizi di invio SMS pubblicitari o a scopo di marketing possiedono le seguenti caratteristiche:
sono completamente personalizzabili;
sono inviabili eventualmente verso gruppi diversi (appassionati di X, Y, Z, …).
Il servizio di SMS marketing offerto da Aimon (società italiana con clienti importanti come Brico Center, Sky, Cepu e Facebook) fornisce l’invio di SMS su target profilati e contatti che abbiano espresso il consenso per la ricezione; il servizio è a pagamento, ma all’inizio è possibile provarlo in modalità gratuita con un invio di SMS limitato, il che serve solo a provare il servizio, testarne la validità e familiarizzare con l’interfaccia di invio. Il servizio viene fornito con un credito prepagato che è possibile acquistare a blocchi, a seconda delle proprie necessità , e parte da 7.35 € per 150 SMS smart (oppure 96 SMS PRO con mittente personalizzato)
Il servizio è facile ed intuitivo da usare, ti permette di raggiungere velocemente moltissimi utenti, ti fornisce un riscontro in tempo reale e circa 3000 imprese ne fanno già uso.
L’e-commerce è un mercato in rapida crescita, e molte persone sono alla ricerca di modi per avviare un business online di successo. Due delle opzioni più popolari sono vendere su piattaforme come Amazon o creare il proprio sito web e-commerce. In questo articolo, esploreremo le differenze, i vantaggi e gli svantaggi di vendere su Amazon rispetto a costruire il tuo sito web e-commerce. Scopriremo quale opzione potrebbe essere la migliore per te.
Vendere su Amazon
Vantaggi di Vendere su Amazon:
1. Grande Pubblico
Un vantaggio significativo di vendere su Amazon è l’accesso a un vasto pubblico di acquirenti online. Amazon è uno dei siti di e-commerce più visitati al mondo, e questo significa che hai la possibilità di raggiungere milioni di clienti potenziali senza dover costruire la tua base di clienti da zero.
2. Affidabilità e Sicurezza
Amazon ha una solida reputazione per l’affidabilità e la sicurezza delle transazioni. Questo può aumentare la fiducia dei clienti nel fare acquisti sul tuo negozio Amazon, poiché sanno di essere protetti da politiche di garanzia e procedure di reso affidabili.
3. Infrastruttura Preesistente
Quando vendi su Amazon, non devi preoccuparti di costruire e gestire l’infrastruttura tecnica del tuo sito web. Amazon offre un’infrastruttura stabile e scalabile, inclusi servizi di hosting, gestione dell’inventario e assistenza al cliente. Inoltre, Amazon offre la possibilità di scegliere diverse funzionalità o caratteristiche sulla piattaforma per personalizzarla. È fondamentale capire le differenze tra vendere su Amazon Marketplace e Amazon Retail e adattare la piattaforma nel modo più pertinente alle esigenze specifiche del proprio business.
Svantaggi di Vendere su Amazon:
1. Commissioni Elevate
Amazon addebita commissioni significative per l’utilizzo della loro piattaforma. Queste commissioni possono variare a seconda del tipo di prodotto che vendi, ma possono essere piuttosto onerose, riducendo i tuoi profitti complessivi.
2. Concorrenza Feroce
Essendo un marketplace molto popolare, Amazon è noto per la sua feroce concorrenza. È possibile che il tuo prodotto sia in competizione con molte altre opzioni simili, rendendo difficile distinguersi dalla massa.
3. Controllo Limitato
Vendere su Amazon significa che non hai il controllo completo sulla tua esperienza utente. Non puoi personalizzare completamente il tuo negozio o la tua pagina di prodotto, e Amazon ha il potere di sospendere o chiudere il tuo account se violi le loro politiche.
Creare il Tuo Sito E-commerce
Vantaggi di Creare il Tuo Sito E-commerce:
1. Controllo Completo
Una delle principali ragioni per cui molte persone scelgono di creare il proprio sito e-commerce è il controllo completo. Puoi progettare e personalizzare il tuo sito web esattamente come desideri, creando un’esperienza unica per i tuoi clienti.
2. Commissioni Ridotte
Mentre Amazon addebita commissioni significative, avviare il tuo sito e-commerce ti consente di risparmiare su queste spese. Puoi mantenere una percentuale maggiore dei tuoi profitti, il che può essere fondamentale per il successo del tuo business online.
3. Costruzione del Brand
Creando il tuo sito e-commerce, hai l’opportunità di costruire un marchio unico e fedele. Puoi sviluppare una presenza online distintiva che attira clienti fedeli nel tempo.
Svantaggi di Creare il Tuo Sito E-commerce:
1. Maggiore Complessità Tecnica
Creare e gestire il tuo sito e-commerce richiede una conoscenza tecnica più approfondita rispetto a vendere su Amazon. Devi occuparti della progettazione, dello sviluppo, dell’hosting, della sicurezza e di altre sfide tecniche.
2. Costruire una Base di Clienti
Inizialmente, potresti non avere accesso a un pubblico così vasto come Amazon. Costruire una base di clienti richiede tempo e sforzo, e potrebbe essere necessario investire in strategie di marketing per attirare clienti al tuo sito.
3. Maggiore Responsabilità
Con il controllo completo del tuo sito e-commerce, hai anche la responsabilità completa. Questo include la gestione degli ordini, la sicurezza dei dati dei clienti e l’assistenza al cliente, che può diventare impegnativo e richiedere risorse aggiuntive.
Quale Scegliere?
La scelta tra vendere su Amazon e creare il tuo sito e-commerce dipende dalle tue esigenze, abilità e obiettivi commerciali. Ecco alcune linee guida per aiutarti a prendere una decisione informata:
Scegli di Vendere su Amazon Se…
Hai bisogno di un accesso rapido a un vasto pubblico di acquirenti.
Non hai esperienza nella creazione di siti web e-commerce.
Vuoi iniziare a vendere online senza dover affrontare l’intero processo di creazione di un sito.
Scegli di Creare il Tuo Sito E-commerce Se…
Desideri il controllo completo sulla tua esperienza utente e la personalizzazione del tuo negozio online.
Vuoi massimizzare i tuoi profitti riducendo le commissioni.
Hai le competenze tecniche o le risorse per gestire un sito web in modo efficace.
Ricorda che queste non sono decisioni permanenti. Molte aziende iniziano vendendo su Amazon per costruire una base di clienti e poi espandono il loro business creando il proprio sito e-commerce. La chiave è considerare le tue esigenze immediate e a lungo termine per prendere la decisione giusta per il tuo business.
Conclusione
In definitiva, entrambe le opzioni hanno i loro pro e contro. Vendere su Amazon offre un accesso immediato a un vasto pubblico, ma comporta commissioni elevate e controllo limitato. Creare il tuo sito e-commerce ti dà il controllo completo e commissioni ridotte, ma richiede più impegno tecnico e tempo per costruire una base di clienti. La scelta dipende dalle tue priorità e obiettivi commerciali, quindi prenditi il tempo per valutare quale opzione sia meglio per te. Che tu scelga di vendere su Amazon o di creare il tuo sito e-commerce, il mondo dell’e-commerce offre molte opportunità per il successo online. (Foto di Samantha Borges su Unsplash)
Il cambiamento affrontato dalla nostra società in ampio spettro, innescato dallo sviluppo della tecnologia in ogni branca della stessa, ha portato ognuno di noi a concepire il quotidiano in maniera differente. La messa a disposizione di device sempre più performanti per il pubblico di massa ha, sicuramente, cambiato il modo di concepire le distanze, lo spazio e i contesti. Ecco perché le esigenze delle persone sono andate via via modificandosi, così come le varie pratiche lavorative e i campi di applicazione delle strategie che le company devono mettere in atto per avere successo nel loro ambito.
Basti pensare all’impatto che la presenza online di un’azienda ha sulla loro produttività e sul fatturato. Le imprese, sia piccole che grandi, che hanno intenzione di avere successo all’interno del loro panorama, infatti, oggi puntano tutto su strategie di marketing mirate, soprattutto online. Ovviamente per elaborare una strategia di marketing efficace è necessario prendere in considerazione tanti aspetti, in particolare è importante avere un quadro chiaro del mercato in cui si opera e delle attività portate avanti dai maggiori competitor. In questo senso è raccomandabile affidarsi ai professionisti specializzati, come ad esempio questa agenzia di marketing intelligence, in modo da ottenere informazioni dettagliate al riguardo che possano poi risultare utili per tracciare il percorso da compiere.
Veniamo, dunque, al cardine della nostra guida di oggi: scoprire i modi utili per poter fare marketing con successo nella propria azienda. Nella fattispecie, questo approfondimento è dedicato alla messa in atto delle varie strategie e dei procedimenti utili per poter attuare delle tecniche che possano avere un effetto positivo sul breve come sul lungo periodo.
Marketing online efficiente: ecco come farlo
Come già precedentemente accennato, al giorno d’oggi un’azienda che intende avere successo all’interno del suo panorama di riferimento deve assolutamente mettere a punto un’identità online. Come mai prima d’ora, infatti, essere presenti con forza in rete significa vantare un biglietto da visita estremamente forte e visibile, visto che il web offre, al contempo, una vetrina di grande spicco. Insomma, al di là del target, dunque, un’impresa dovrebbe avere un buon sito web, anche se questo da solo non basta.
Come si potrà, sicuramente, intuire, infatti, aprire un sito web non è l’unico step da seguire. Il secondo step è quello di trovare una sorgente di traffico adeguata da cui estrapolare i clienti e, di conseguenza, ottimizzare i contenuti in questo senso grazie a tecniche come quelle in seno alla SEO. Ovviamente, il tutto dovrebbe essere contornato da una presenza efficiente sui social network e dalla costruzione di un rapporto diretto con la clientela.
Come muoversi nel marketing offline
Ovviamente, essere presenti in rete non è l’unica cosa importante da fare. È fondamentale, infatti, assumere autorevolezza nel contesto generale e farsi conoscere anche al di fuori della rete. Si tratta di un aspetto importantissimo soprattutto per le aziende giovani. È fondamentale, dunque, soprattutto per le aziende giovani, avere la possibilità di prendere parte a fiere, eventi e convegni di settore. Soprattutto nell’ambito delle B2B dove i clienti si conquistano principalmente sul campo proponendo idee innovative a prezzi vantaggiosi.
Al di là di questo, avere cura di confezionare i prodotti in maniera adeguata investendo nella creazione di un brand efficace, soprattutto per gli e-commerce e puntare sul gadget marketing, anche durante gli eventi. Una strategia ibrida, poi, è quella di mettere a disposizione dei consumatori un buon servizio clienti che sappia rispondere in maniera celere, disponibile e concisa al cliente che ha delle perplessità in merito al prodotto acquistato. Questo è un aspetto fondamentale perché l’esperienza con le aziende non si conclude dopo l’acquisto e la ricezione del prodotto stesso.
In questo articolo parleremo di come indicizzare un sito fatto in WordPress a livello pratico, senza essere dei SEO e senza troppe competenze tecniche. La guida è pensata per assoluti principianti e non entra eccessivamente nel merito, ma è comunque valida nel 90% dei casi reali in cui abbiate tale necessità . Prima di partire cerchiamo di capire bene di cosa parliamo: indicizzare un sito significa far sapere a Google che esiste, e solo dopo – eventualmente, ovvero se soddisfa determinati requisiti, ovvero se ci lavorate in modo corretto per un po’ di tempo, facendo varie cose a corredo – posizionarlo tra i primi risultati. Articolo aggiornato ad Aprile 2025
Requisiti per cui il sito WordPress possa essere indicizzato
Un sito per essere indicizzabile da Google (e dagli altri motori):
deve essere ben formato a livello di HTML su ogni pagina che ci interessa;
non deve possedere direttive bloccanti nel file robots.txt, come ad esempio disallow per le pagine che vogliamo indicizzare;
deve restituire il codice 200 a livello di server su ogni pagina o almeno su tutte quelle che volete posizionare (basta controllare dal terminale o con un tool di verifica degli header HTTP(S)).
Perfetto! Ecco i nuovi paragrafi pronti all’uso che puoi integrare nell’articolo per aggiornarlo in chiave 2025. Li ho scritti con tono informativo ma pratico, ideali per il tuo pubblico, e con tagli SEO già ottimizzati.
Google Search Console: Novità dell’interfaccia e funzionalità (2025)
Google Search Console continua a essere lo strumento principale per monitorare e ottimizzare la presenza del tuo sito su Google. Negli ultimi aggiornamenti, l’interfaccia utente è diventata più intuitiva e ricca di dati utili. Tra le funzionalità più rilevanti nel 2025, segnaliamo:
Controllo URL avanzato: lo strumento consente ora una diagnostica più dettagliata, inclusi problemi con indexing hints, canonical errati e redirect interni.
Aggregazione semplificata degli errori: i report sulle pagine escluse ora forniscono suggerimenti azionabili e link diretti alla documentazione ufficiale.
Report EEAT e contenuti utili(in beta): Google ha introdotto (in alcuni casi) un report sperimentale che segnala i contenuti percepiti come “a bassa affidabilità” in base a segnali EEAT (vedi sotto).
Tracciamento sitemap migliorato: puoi vedere la cronologia dettagliata di ogni invio e come sono cambiate le risposte del crawler nel tempo.
➡️ Consiglio pratico: verifica settimanalmente la sezione “Esperienza sulle pagine” per tenere d’occhio Core Web Vitals e sicurezza HTTPS, fattori sempre più centrali nell’indicizzazione.
Cosa vuol dire “indicizzare” un sito su Google?
Indicizzare un sito equivale a farlo conoscere ad un motore di ricerca (ad esempio Bing, Google, ecc.) in modo che le sue pagine possano essere adeguatamente scansionate: il tutto mediante un software detto crawler. Fatto questo, il sito sarà reperibile e ricercabile sui motori, ovviamente in base a vari fattori apparire in prima, seconda o centesima posizione. Senza scendere in ulteriori dettagli, le cose stanno sostanzialmente così: indicizzare un sito è importante per renderlo reperibile sui motori.
I crawler sono detti spesso user-agent, in gergo tecnico, e sono software adibiti alla scansione delle pagine web, alla memorizzazione delle pagine HTML in tutto o in parte ed alla catalogazione, per così dire, di quei contenuti in modo che siano fruibili per chi li cercherà .
Indicizzare un sito vuol dire aggiungerlo al “catalogo” di Google, in modo che sia presente e ricercabile. Indicizzare è soltanto il primo passo di un processo che richiede spesso una buona mole di lavoro, a volte di mesi se non di anni, per poter ottenere risultati in termini di ranking che spesso anche i SEO più bravi non possono nemmeno prevedere o preventivare. Fatto questo, il sito sarà reperibile e ricercabile sui motori, ovviamente in base a vari fattori apparire in prima, seconda o centesima posizione. Senza scendere in ulteriori dettagli, le cose stanno sostanzialmente così: indicizzare un sito è importante per renderlo reperibile sui motori.
Cosa cambia tra indicizzare e posizionare un sito?
Indicizzare non è uguale a posizionare, perchè indicizzare significa solo “fare inserire la pagina nel catalogo di Google“, mentre posizionare vuol dire “renderlo reperibile nelle prime posizioni” (ovviamente, quando e se è possibile farlo). Di norma, poi, l’indicizzazione di una pagina web o di un sito è solo un primo passo di un generale, e molto più complesso, processo di ottimizzazione per i motori di ricerca (SEO).
Ricordiamo ancora una volta che “indicizzare” non equivale affatto a “posizionare”, per cui se un sito è indicizzato si controlla usualmente con l’operatore site, mentre (come accade in molti casi pratici) l’indicizzazione è corretta, ma il sito non è posizionato correttamente nei risultati di ricerca se non lo vediamo nella prima o massimo seconda pagina. La valutazione del posizionamento è molto più complessa ed è quasi sempre oggetto di una consulenza specifica.
“indicizzare un sito” non comporta “posizionare un sito“!
Di norma l’indicizzazione di una pagina web o di un sito è solo un primo passo di un generale, e molto più complesso, processo di ottimizzazione per i motori di ricerca. Indicizzare un sito significa inserirlo dentro Google, ed è diverso da posizionare un sito che invece è un processo più complicato e comporta di migliorare la visibilità del sito stesso su Google, facendolo comparire (se possibile) in prima pagina.
Google Indexing API (quando e come usarla)
La Indexing API di Google è uno strumento potentissimo, ma non è pensata per tutti i tipi di siti. Attualmente è riservato ai contenuti che necessitano indicizzazione rapida come:
Annunci di lavoro
Eventi live
Pagine che porteranno molte visite nel breve periodo, poi basta (es. breaking news)
Può comunque essere usata da siti custom o headless CMS, tramite configurazione lato server e autenticazione OAuth. Permette di:
Inviare contenuti nuovi per l’indicizzazione immediata
Aggiornare URL già noti
Rimuovere contenuti indicizzati
➡️ Nota: Per siti WordPress o Shopify standard, questa API non è necessaria: GSC + sitemap XML sono sufficienti.
⚙️ Segnalazione contenuti via API o plugin
Oggi non devi più affidarti solo all’invio manuale su Search Console. Esistono diversi metodi automatizzati per segnalare contenuti nuovi o aggiornati:
Plugin WordPress avanzati come Rank Math, SEOPress o IndexNow per Bing & Yandex (che ora supporta anche Google in modo limitato).
Webhook e automation tools (es. Zapier, Make.com): possono inviare notifiche via API ogni volta che pubblichi una pagina.
Script personalizzati: per siti su Laravel, React o headless CMS come Strapi o Sanity, è possibile configurare un flusso di ping verso Google.
➡️ Best practice: segnala solo contenuti effettivamente nuovi o modificati. Evita il ping massivo, potresti rallentare l’indicizzazione.
EEAT: il fattore chiave per farsi trovare (ed emergere)
Google valuta sempre più chi scrive i contenuti, con quale esperienza, e quanto il sito sia affidabile. Questo approccio si chiama EEAT:
Esperienza: l’autore ha davvero vissuto ciò di cui parla?
Competenza: è un esperto riconosciuto (o dimostrato) del tema?
Autorevolezza: il sito o autore riceve citazioni, menzioni, link da fonti affidabili?
Affidabilità: il contenuto è preciso, trasparente, aggiornato?
➡️ Come applicare EEAT al tuo sito:
Inserisci un autore con bio completa (link a LinkedIn, curriculum, esperienze).
Cita fonti autorevoli e aggiorna periodicamente i contenuti.
Implementa schema markup Person o Organization.
Mostra recensioni, studi di caso o esperienze dirette.
Sitemap dinamiche: come sfruttarle al meglio (specialmente su CMS moderni)
Le sitemap XML dinamiche sono fondamentali per indicare a Google quali pagine scansionare e quando. Su CMS moderni, come WordPress, Shopify, Ghost, Strapi o siti JAMstack, è buona norma:
Generare la sitemap automaticamente ad ogni nuova pubblicazione.
Assicurarsi che ogni URL nella sitemap sia indicizzabile (status 200, canonical corretto).
Non includere tag, categorie o pagine vuote (es. ?filter=price).
Verificare la priorità e frequenza di aggiornamento (<changefreq> e <priority>).
Per WordPress ti consiglio plugin come:
Rank Math SEO
Yoast SEO
Google XML Sitemaps (legacy)
➡️ Ricorda: la sitemap deve essere accessibile da robots.txt e inviata in Google Search Console.
Come indicizzare un sito in WordPress
Tra le più comuni tecniche per indicizzare un sito oppure delle singole pagine di un sito possiamo, in generale:
utilizzare la Search Console, cioè installarla per il nostro sito ed attendere qualche giorno (metodo consigliato);
se si tratta di un sito di notizie o di un blog da indicizzare, inserire un bookmark verso il nostro sito (ad esempio, una news) utilizzando DiggiIta opppure Reddit oppure, ancora,Fai.informazione.it; non ci sono certezze in questi casi, per quanto usualmente basti indicizzare una o due news per “far capire” a Google di inserire nell’archivio anche le altre. È anche chiaro che non potete postare link su queste piattaforme senza contestualizzare: invece di postare il link “giusto per”, provate a postarlo per rispondere in modo sensato ad una domanda di qualche utente, per commentare un contenuto (ammesso che il sito sia contestuale) ed evitate l’auto-promozione, che viene vista piuttosto male, in generale, da queste community.
inserire un backlink verso X, ad esempio mediante richiesta via email ad un webmaster, oppure con un commento su un blog molto famoso, ammesso che quest’ultimo sia già indicizzato ed attivo da tempo; questa tecnica è più difficile e può essere utile anche per fare link building.
segnalare X ad una directory di qualità il nostro sito (evitare tassativamente quelle a pagamento, se non avete abbastanza esperienza sul campo);
segnalare l’URL di X a Google (tecnica obsoleta, vedi oltre).
Tenete conto che le tecniche non sono tutte equivalenti, ed andrebbero usate con cognizione di causa: il modo più corretto per indicizzare un sito è quello di usare e configurare la Search Console sul sito che volete indicizzare o posizionare.
Come indicizzare un sito con Search Console
Se dovete indicizzare il vostro sito per la prima volta, la cosa migliore è quella di impostare un account del tool di Google Search Console. In pratica funziona così:
fate clic su Aggiungi una proprietà (una proprietà è un dominio, in sostanza, in questo contesto);
selezionate “Sito web” ed inserite l’indirizzo del vostro sito (la home page);
cliccate su Aggiungi;
validate il sito con una delle tante tecniche disponibili: caricando un file HTML (consigliato), aggiungendo record DNS, aggiungendo un meta tag nel vostro sito, collegando la proprietà del sito a quella corrispondente di Google Analytics.
dopo aver concluso correttamente la validazione, il vostro sito verrà solitamente indicizzato dopo qualche giorno, e comunque avrete un feedback concreto sullo stato di indicizzazione delle vostre pagine e potrete, se necessario, agire di conseguenza.
Accedi con il tuo Account Google: Usa il tuo account Google per accedere. Se non hai un account Google, creane uno.
Aggiungi una Proprietà: Dopo aver effettuato l’accesso, clicca su “Aggiungi una proprietà” e inserisci l’URL del sito web che desideri indicizzare.
2. Verificare la Proprietà del Sito
Seleziona il Metodo di Verifica: Google ti offrirà diversi metodi per verificare che tu sia il proprietario del sito. I metodi comuni includono:
File HTML: Scarica un file HTML fornito da Google e caricalo nella directory principale del tuo sito.
Tag HTML: Aggiungi un meta tag HTML fornito da Google nel <head> del tuo sito.
Google Analytics: Usa il tuo account Google Analytics per la verifica.
Google Tag Manager: Se hai Google Tag Manager installato, puoi utilizzarlo per la verifica.
Provider di Dominio: Aggiungi un record DNS tramite il tuo provider di dominio.
Completa la Verifica: Segui le istruzioni specifiche per il metodo scelto e clicca su “Verifica” una volta completati i passaggi.
3. Inviare una Mappa del Sito (Sitemap)
Trova la Sezione “Sitemap”: Nella dashboard di Google Search Console, vai alla sezione “Sitemap” nel menu a sinistra.
Aggiungi l’URL della Sitemap: Inserisci l’URL del file della sitemap del tuo sito. La sitemap di solito si trova in /sitemap.xml o in un percorso simile.
Invia la Sitemap: Clicca su “Invia” per aggiungere la sitemap. Questo aiuta Google a scoprire e indicizzare le pagine del tuo sito.
4. Controllare e Richiedere l’Indicizzazione di Pagine Specifiche
Usa lo Strumento di Ispezione URL: Nella barra laterale sinistra, vai alla sezione “Ispezione URL”.
Inserisci l’URL della Pagina: Inserisci l’URL della pagina che desideri indicizzare e premi Invio. Google eseguirà una verifica dell’URL.
Richiedi l’Indicizzazione: Se la pagina non è già indicizzata, clicca su “Richiedi Indicizzazione” per chiedere a Google di esaminare e indicizzare la pagina.
5. Monitorare e Risolvere Problemi di Indicizzazione
Controlla lo Stato dell’Indicizzazione: Vai alla sezione “Copertura” nel menu a sinistra. Qui puoi vedere un report sulle pagine indicizzate, gli errori e le eventuali problematiche di indicizzazione.
Analizza i Report: Esamina i report per identificare eventuali errori o problemi che potrebbero impedire a Google di indicizzare il tuo sito correttamente.
Risolvi i Problemi: Segui le raccomandazioni fornite da Google Search Console per risolvere eventuali problemi di indicizzazione.
Ricorda inoltre che:
Aggiornamenti della Sitemap: Assicurati che la tua sitemap sia aggiornata e contenga tutte le pagine rilevanti del sito.
Qualità dei Contenuti: Verifica che le pagine del tuo sito siano di alta qualità e che non ci siano contenuti duplicati o problematici.
Strumenti Aggiuntivi: Usa anche altri strumenti di Google Search Console come “Prestazioni” per monitorare le query di ricerca e il traffico.
Da un punto di vista di realizzazione del sito, assicuratevi poi che ogni pagina possieda almeno un link in entrata da qualche altro, ovvero che il sito sia correttamente navigabile e che non ci siano pagine “orfane” non linkate da nessuno: queste ultime, infatti, hanno buone possibilità di non essere mai indicizzate da Google. Vedi anche: come aggiungere una proprietà a Search Console.
Per saperne di più sulla Search Console e su come si usi a livello base, ti consiglio questo video.
Metodo alternativo: segnalare il sito a Google (tecnica non consigliata)
Esiste una tecnica di segnalazione semplice, abbastanza vecchiotta ma ancora disponibile sul web; potreste infatti decidere di segnalare il vostro sito a Google da questo indirizzo:
https://www.google.it/intl/it/add_url.html
Nella pagina che vi apparirà basterà inserire l’indirizzo del vostro sito (dove trovate scritto URL) per farlo conoscere a Google. Questo servizio possiede più che altro un valore storico e raramente, devo dire, mi è capitato di doverlo utilizzare per reale necessità . La Search Console è comunque preferibile perchè impostandola la prima volta vi permetterà di tenere sotto controllo sia l’indicizzazione che, di fatto, il posizionamento del vostro sito web.
Come verificare se un sito c’è (o meno) su Google
Perfetto, ecco le FAQ con risposte professionali, sintetiche e SEO-friendly che puoi inserire nella parte finale del tuo articolo. Ottime per aumentare il tempo sulla pagina, la chiarezza per l’utente, e anche l’opportunità di ottenere uno snippet in evidenza (featured snippet) su Google.
❓FAQ sull’indicizzazione su Google
⏱️ Quanto tempo ci vuole per indicizzare un sito?
In media, Google può impiegare da poche ore fino a qualche giorno per indicizzare un sito nuovo, a seconda di vari fattori:
La popolarità del dominio
La qualità dei contenuti
La presenza o meno della sitemap
L’invio tramite Google Search Console
L’esistenza di link esterni che puntano al sito
Un sito nuovo di zecca, senza backlink e senza sitemap, può anche impiegare fino a 2 settimane o più per essere indicizzato.
➡️ Consiglio: invia la sitemap, utilizza “Controllo URL” su Search Console e, se possibile, ottieni un paio di link esterni autorevoli per velocizzare l’indicizzazione.
Come sapere se Google ha indicizzato il mio sito?
Ci sono diversi modi semplici per verificarlo:
Comando site: su Google Vai su Google e cerca:
site:iltuosito.it
Se vedi risultati, significa che almeno alcune pagine sono state indicizzate.
Search Console → Stato dell’indicizzazione In GSC puoi vedere:
Il numero totale di URL indicizzati
Eventuali errori o esclusioni
Dettagli su sitemap e scansione
Controllo URL in GSC Inserisci un URL specifico per vedere:
Se è indicizzato
Se è stato scansionato recentemente
Eventuali problemi o suggerimenti
È necessario inviare manualmente ogni pagina?
No, non è necessario inviare ogni singola pagina manualmente, a patto che:
Tu abbia una sitemap.xml ben configurata
Le pagine siano collegate internamente
Il tuo sito sia scansionabile (no blocchi nel robots.txt)
Tuttavia, può essere utile inviare manualmente URL strategici (come la home page o pagine appena pubblicate molto importanti) tramite Search Console, soprattutto se:
Hai appena pubblicato una nuova pagina
Vuoi che venga indicizzata in tempi brevi
Stai aggiornando contenuti esistenti
➡️ In questi casi, usa lo strumento “Controllo URL” e clicca su “Richiedi indicizzazione”.
Prima di capire come indicizzare un sito o lanciarsi subito in un’attività che potrebbe non essere fruttuosa o essere condotta a casaccio, è opportuno effettuare una verifica di fondo; anzitutto, bisogna quindi controllare che il nostro sito sia presente o meno su Google, e la cosa più semplice da fare è quella di cercare il nome del sito all’interno del motore Bing, Google, Yandex ecc..
Come fare la verifica dell’indicizzazione di un sito? Molto semplice: per farlo basta cercare direttamente il nome del sito (esempio live), oppure utilizzare l’operatore site: (esempio: site:nomemiosito.it). In generale, quindi, se volessi verificare se nomemiosito.it sia indicizzato basterà cercare site:nomemiosito.it, e vedrò subito come risultato le pagine che sono reperibili su Google. Ricordatevi che se in questa fase non uscisse fuori nulla, il sito non è indicizzato ed abbiamo un problema – oppure potrebbe essere necessario attendere un po’ perchè ciò avvenga in automatico.
Attenzione: in questa fase non cercate termini generici legati al vostro sito, perchè non è il modo opportuno per verificare l’indicizzazione. Cercate piuttosto qualcosa di univoco come, ad esempio, il nome del sito o il suo URL. Per cui:
Esce qualche risultato? Il sito – in prima istanza, almeno – è indicizzato.
Non esce nulla? Il sito deve essere indicizzato, oppure è necessario attendere.
In caso affermativo, in altri termini, vedrete almeno un risultato all’interno di Google, in caso negativo potreste non vedere tutte le pagine, o addirittura potreste non vederenulla.
Se un sito in WordPress non è su Google, che faccio?
Le cause per cui non vedete il vostro blog in WordPress indicizzato sono, in linea di massima, di tre tipi:
il sito è molto giovane, e non è stato ancora rilevato;
il sito presenta impostazioni errate a livello di robots.txt oppure di attributi noindex, nofollow;
il sito esiste da molto tempo ed è stato penalizzato da Google (penalità manuale o algoritmica).
Se nel primo caso basta aspettare (le varie submit ai motori di ricerca proposte ancora oggi, in molti casi, sono inutili, e portano solo spam nella vostra casella di posta), e per i siti ben fatti in effetti è sempre così, gli altri due casi sono decisamente più controversi e non possiedono un’unica possibile procedura di intervento.
Come riferimento per il punto 2, invece utilizzate le guide di Google in merito (qui e qui), per il punto 3 controllate di aver rispettato le istruzioni per webmaster , facendo attenzione in particolare ai meta-tag noindex, nofollow. Come riferimento per il punto 1, continuate a leggere questa guida.
Conclusioni
Abbiamo visto le varie tecniche per effettuare l’indicizzazione di un sito in WordPress, evidenziando i potenziali problemi che potremmo avere nel farne uso. Ricordo che la maggioranza delle skill richieste per questa attività sono riservate a professionisti, per cui potrebbe rivelarsi un azzardo voler fare il “fai da te” o affidare l’incarico a persone non realmente qualificate nel settore. Per concludere, riporto un esempio concreto di indicizzazione di un sito.
Non bisogna mai confondere indicizzazione (che è un processo relativamente agevole e prevedibile) con posizionamento (che è un processo più complicato e meno prevedibile) di un sito!
Poniamo come esempio, per capirci, di voler indicizzare un sito di e-commerce tecnologico; in primo luogo, se cerchiamo un termine di ricerca popolare per il sito stesso e non troviamo nulla, non è detto che il sito non sia indicizzato! È decisamente può probabile che sia comunque nell’indice di Google, ma che sia necessario effettuare delle attività SEO per portarlo nelle prime pagine.
Nota: la verifica dell’indicizzazione, ricordo, si fa cercando il nome del sito su Google, e non i termini di ricerca che ci piacciono. Non fate mai la verifica su termini arbitrari oppure che ci piacerebbero (ad esempio ipod se abbiamo un e-commerce tecnologico dal nome mionegozio.prova), perchè questo non serve a provare l’indicizzazione avvenuta del sito. Cercare mionegozio.prova su Google, invece, è utile a verificare se lo stesso sia stato indicizzato.
Pertanto, se voglio fare una verifica del posizionamento cerco ad esempio:
ipad
oppure
cellulari
e qui sto sto verificando il posizionamento del sito.
Per verificare l’indicizzazione di mionegozio.prova cerchiamo su Google il nome del vostro sito, ad esempio:
mionegozio.prova
e se ci viene restituto un risultato allora siamo a posto, in caso di nessuna risposta è necessario intervenire sull’indicizzazione come visto in precedenza (metodo consigliato: Search Console).
Nel mondo delle vendite B2B, il successo non è più affidato solo all’intuito dei venditori o alla loro capacità di persuasione. La tecnologia ha rivoluzionato il modo in cui identifichiamo, interagiamo e convertiamo i prospect in clienti fedeli. Gli strumenti digitali offrono possibilità senza precedenti per ottimizzare il processo di vendita, rendendo essenziale per i professionisti B2B adottarli per rimanere competitivi. Scopriamo come la tecnologia può essere il tuo migliore alleato nel prospecting B2B.
Identificare i Prospect B2B grazie al web
Il digitale ci fornisce dati e analytics in quantità mai vista prima, offrendo l’opportunità di identificare con precisione chi sono i nostri prospect ideali e quali strategie utilizzare per avvicinarli.
Strumenti come LinkedIn Sales Navigator si rivelano indispensabili, permettendoci di filtrare milioni di profili in base a settore, dimensione aziendale, ruolo e molte altre variabili. Questa precisione chirurgica nella selezione dei prospect aumenta esponenzialmente le possibilità di successo delle nostre campagne di vendita.
I social media, e LinkedIn in particolare, sono diventati terreno fertile per il prospecting B2B.
Offrendo più di una semplice vetrina, i social consentono una vera e propria interazione strategica con potenziali clienti.
Tecniche di social selling ben pianificate possono trasformare i tuoi profili social in potenti imán per attrarre prospect qualificati, stabilendo le fondamenta per relazioni commerciali proficue.
Software CRM e Automazione del Marketing
Nessuna strategia di prospecting è completa senza un solido sistema CRM al suo centro.
Questi software non solo aiutano a gestire i dati dei prospect e a monitorare le interazioni con loro, ma, grazie all’automazione del marketing, permettono di inviare comunicazioni personalizzate su vasta scala.
Nutrire i lead attraverso contenuti mirati e campagne di follow-up automatizzate può significativamente aumentare le tue conversioni, trasformando i prospect freddi in clienti caldi pronti all’acquisto.
Sviluppare uno Script di Vendita Efficace per le Vendite B2B
Un aspetto di cruciale importanza nel prospecting telefonico è lo script di vendita.
Uno script ben progettato e personalizzato non solo garantisce che tutti i punti chiave vengano comunicati, ma aiuta anche a gestire le obiezioni del cliente in modo fluido e naturale. Puoi approfondire l’argomento sul sito di noCRM, dove troverai risorse specifiche per perfezionare la tua tecnica di cold calling.
In un mondo perfetto, ogni conversazione con un potenziale cliente B2B fluirebbe naturalmente, senza bisogno di preparazione.
Tuttavia, nella realtà delle vendite, soprattutto quando si tratta di chiamate a freddo o di primi contatti via email, avere uno script di vendita non solo è utile, ma spesso indispensabile.
Ma come si crea uno script di vendita efficace che non suoni meccanico o impersonale?
Personalizzare il messaggio e costruire una narrazione
Il primo passo per scrivere uno script di vendita efficace è la personalizzazione.
Un approccio “taglia unica” non funziona nel mondo B2B, dove ogni azienda ha le sue specifiche sfide e obiettivi. Inizia con una ricerca approfondita sui tuoi prospect: quali sono le loro principali preoccupazioni? Quali obiettivi cercano di raggiungere? Con queste informazioni, puoi adattare il tuo script per risuonare direttamente con le esigenze e gli interessi del tuo interlocutore.
Ogni script di vendita dovrebbe raccontare una storia.
Non la storia del tuo prodotto, ma quella del tuo prospect e di come la tua soluzione può aiutarlo a superare ostacoli o raggiungere obiettivi.
Inizia presentando un problema comune o una sfida che sai che il tuo interlocutore sta affrontando, quindi illustra come il tuo prodotto o servizio fornisca una soluzione.
Un errore comune nello scrivere script di vendita è concentrarsi troppo sul parlare e troppo poco sull’ascoltare.
Le migliori conversazioni di vendita sono bidirezionali. Includi nel tuo script domande aperte che invitino il prospect a condividere le proprie esperienze e necessità. Questo non solo ti fornisce ulteriori informazioni su come poter essere d’aiuto, ma aiuta anche a costruire quel rapporto di fiducia che è cruciale nelle vendite B2B.
Prevedere e superare le obiezioni
Le obiezioni sono espressioni di resistenza o di dubbio da parte dei potenziali clienti riguardo all’offerta proposta.
Esse rappresentano non tanto un rifiuto categorico, quanto piuttosto delle preoccupazioni, dei quesiti o delle incertezze che il cliente ha riguardo al prodotto o servizio offerto.
Queste possono riguardare il prezzo, la rilevanza del prodotto per le esigenze specifiche del cliente, la qualità, o persino dubbi sull’affidabilità dell’azienda venditrice.
Affrontare le obiezioni è un’arte cruciale nel processo di vendita, poiché offre ai venditori l’opportunità di dissipare i dubbi, rafforzare il valore della loro offerta e costruire una relazione di fiducia con il cliente.
Un approccio efficace al superamento delle obiezioni richiede ascolto attivo, empatia, e la capacità di fornire informazioni convincenti e personalizzate che rispondano direttamente alle preoccupazioni del cliente. In sostanza, le obiezioni non devono essere viste come ostacoli insormontabili, ma piuttosto come opportunità per approfondire il dialogo e avvicinarsi alla chiusura della vendita, dimostrando comprensione e valore in modo mirato e significativo.
Un buono script di vendita ti prepara a queste obiezioni, fornendoti risposte pronte che non solo affrontano le preoccupazioni del prospect ma le trasformano in opportunità di approfondire il valore della tua offerta.
Una volta superate le obiezioni, infine, ogni script dovrebbe guidare verso una chiusura naturale e un chiaro call-to-action. Che si tratti di fissare un incontro, di una demo del prodotto, o semplicemente di inviare ulteriori informazioni, assicurati che il tuo script indichi chiaramente i prossimi passi. Foto di Pixabay: https://www.pexels.com/it-it/foto/acceso-imac-beside-macbook-on-table-39284/
La piramide di Maslow è una teoria che descrive i bisogni umani in ordine di importanza. Immagina una piramide divisa in livelli. Alla base ci sono i bisogni più fondamentali, e salendo si arriva a quelli più complessi e sofisticati.
Bisogni fisiologici: Sono le necessità primarie come cibo, acqua, sonno e riparo. Se queste cose mancano, diventa difficile pensare ad altro.
Sicurezza: Una volta soddisfatti i bisogni fisiologici, cerchiamo sicurezza e stabilità. Questo include un lavoro sicuro, un tetto sopra la testa e protezione da pericoli.
Appartenenza e affetto: Una volta che ci sentiamo al sicuro, cerchiamo relazioni sociali e senso di appartenenza. Questo riguarda l’amore, l’amicizia e il senso di comunità.
Stima: Dopo l’appartenenza, cerchiamo rispetto da parte degli altri e autostima personale. Questo può includere la reputazione, il successo e il riconoscimento.
Auto-realizzazione: Questo è il livello più alto. Riguarda il desiderio di raggiungere il massimo potenziale, essere creativi, realizzare i propri sogni e avere un senso profondo di realizzazione personale.
Secondo Maslow, solitamente ci concentriamo sui bisogni di livello inferiore prima di poter aspirare a quelli di livello superiore. Una volta soddisfatti i bisogni base, possiamo concentrarci su quelli più alti e più complessi.
Approfondimento sulla piramide di Maslow
Riesci a soddisfare i tuoi bisogni ogni giorno? Provi un senso di frustrazione perchè alcune cose ti mancano? La risposta in questi casi non deve essere banalizzata, nè affidata a “guru” dalle soluzioni facili che provano solo a venderti fuffa. La rappresentazione dei bisogni umani rimane alla base dell’interesse delle scienze umane, ma molti altri settori si sono attivamente interessati alla questione. La piramide di Maslow è uno dei modelli più citati, ad oggi, per la rappresentazione dei bisogni umani, tanto di riuscire a stratificarli e renderli in qualche modo intersoggettivi, interdipendenti tra di loro.
Proviamo pertanto a chiederci e a rievocare brevemente l’idea base di Maslow e della sua piramide, per poi verificarne l’adattabilità a tempi e modi moderni. Sebbene l’idea di fondo resti valida andrebbe rivista con maggiore flessibilità, e non utilizzata come salvagente esclusivo.
La storia: Maslow e gli indiani d’America
La storia da cui partiamo oggi racconta, peraltro, che la cultura dei nativi americani potrebbe effettivamente essere più influente nella storia della psicologia di quanto generalmente si possa credere. Come evidenziato da Psychology Today, infatti, la storia dietro il concepimento della piramide riguarda una questione molto più ampia: quanto la cultura americana, in generale, sia stata influenzata dalle idee e dai principi dei gruppi di nativi americani, e quanto poco tale influenza venga riconosciuta alla cosa.
Chi era Abraham Maslow?
Abraham Maslow (1908-1970) è stato uno psicologo americano, noto per aver creato la gerarchia o “piramide” dei bisogni di Maslow, una teoria della salute psicologica basata sul soddisfacimento dei bisogni umani innati in via prioritaria, che culmina nel grado massimo esplicato da varie forme di auto-realizzazione. Maslow era un docente universitario di psicologia alla Brandeis University, al Brooklyn College, alla New School for Social Research e alla Columbia University. Un sondaggio Review of General Psychology, pubblicato nell’anno 2002, ha classificato Maslow come il decimo psicologo più citato del 20° secolo.
La gerarchia dei bisogni di Maslow fu proposta da Abraham Maslow nel suo articolo del 1943 “A Theory of Human Motivation“, pubblicato sulla rivista Psychological Review. Maslow successivamente estese l’idea per includere le sue osservazioni sulla curiosità innata negli esseri umani, liberando implicitamente il modello della rigidità ch,e secondo vari critici, lo tendeva a caratterizzare.
Nell’estate del 1938, infatti, Abraham Maslow aveva trascorso alcune settimane a fare ricerche antropologiche su una riserva dei Piedi Neri o Niitsítapi nei pressi di Alberta, in Canada. Le sue esperienze nella riserva ebbero un forte impatto sul suo pensieri, e capovolsero le sue opinioni socialmente preconcette sugli indiani. Fu colpito dalla generosità e dall’egualitarismo degli indiani, e dal rispetto insito nella loro società.
Maslow scoprì anche che per la maggior parte dei membri dei Niitsítapi, la ricchezza non era importante in termini di accumulazione di proprietà e possedimenti: al contrario, il donare agli altri era ciò che conferiva un autentico status di prestigio e sicurezza nella tribù, in contrapposizione all’avidità dei bianchi che vivevano nelle vicinanze. Spinto da una forse empatia verso questa tribù di nativi americani, l’esperienza sembrerebbe averlo ispirato a pensare in termini di un nuovo tipo di psicologia che si occupasse di aspetti fondamentali della natura umana, concettualizzò un nuovo approccio alla personalità radicato biologicamente, fortemente umanistico ed in grado di trascendere la ristrettezza del relativismo culturale.
Nota: si dice “piramide” o “piramida”? Si dice piramide, parola che deriva dal greco pyramis e che significa fuoco. La forma della piramide (e non piramida, con la a finale, come alcuni sembrano tendere a cercarla sui motori di ricerca) ricorda in modo stilizzato quella di una fiamma, in sostanza.
Che cos’è la piramide dei bisogni di Maslow
Si tratta di un’idea fondante per la definizione dei bisogni umani, concettualizzata mediante una piramide che indica una gerarchia di stadi e di bisogni annessi. Questo significa, in altri termini, che la piramide rappresenta una “base” (in basso nella figura) di necessità fisiologiche fondamentali – ad esempio: mangiare, dormire, respirare, riscoprire la sessualità) e via via salendo “in alto” nella figura, che abbiamo riportato idealmente in basso in questo articolo, troviamo progressivamente il bisogno di sicurezza, il senso di appartenenza, l’autostima e la autorealizzazione.
Il senso base della piramide è che non sembra possibile arrivare all’auto-realizzazione se mancano le basi, letteralmente: quindi ad esempio non posso realizzae autostima in manacnza di affetti familiari e senso di intimità, nè tantomeno posso sentirmi al sicuro se la mia alimentazione è carente. Tale idea, suggestiva quanto affascinante – e che qui discutiamo in termini rigorosamente informali, s’intende – è stata più volte sfruttata in vari contesti, anche differenti da quelli psicologici: una parte di “scuole” del marketing, ad esempio, hanno sfruttato questa idea per idealizzare e discutere i bisogni dei consumatori.
Alla base della piramide, come abbiamo anticipato, troviamo i bisogni fisiologici (fame, sete, sesso, ecc.), al secondo livello troviamo quelli legati alla sicurezza (fisica, lavorativa, ecc.) al terzo quelli di appartenenza (amicizia, intimità sessuale), al quarto quelli legati all’autostima e alla realizzazione, al quinto quelli della moralità, creatività, problem solving e tutto ciò che concerne l’autorealizzazione. I livelli erano pensati come interdipendenti tra di loro, per quanto in seguito l’idea venne estesa e molti applichino in modo un po’ rigido il modello ancora oggi.
Di Lucas ✉ (ispirata da Maslow’s Hierachy of Needs)) – Opera propria, Pubblico dominio, https://commons.wikimedia.org/w/index.php?curid=7919361
A che serve la piramide di Maslow?
La gerarchia dei bisogni di Maslow viene utilizzata per studiare come gli esseri umani partecipano intrinsecamente alla motivazione comportamentale. Maslow usò i termini “fisiologico”, “sicurezza”, “appartenenza e amore”, “bisogni sociali” o “stima” e “autorealizzazione” per descrivere il modello attraverso il quale generalmente si muovono le motivazioni umane.
Ciò implica che affinché la motivazione possa sorgere nella fase successiva, ogni fase precedente dovrebbe essere soddisfatta all’interno dell’individuo stesso. Inoltre, questa gerarchia è una base principale per sapere come lo sforzo e la motivazione sono correlati quando si discute del comportamento umano. Ciascuno di questi livelli individuali contiene una certa quantità di sensazione interna che deve essere soddisfatta affinché un individuo possa completare la propria gerarchia. L’obiettivo nella gerarchia di Maslow, ad ogni modo, rimane quello di raggiungere il livello più ambito, ovvero quello dell’autorealizzazione.
Il senso della gerarchia sta anche nel fatto i bisogni espressi in questa veste sono interdipendenti tra di loro, e che la mancata realizzazione di uno dei livelli base possa impedire la realizzazione nei livelli superiori (ad esempio un artista non potrà mai esprimersi al meglio come creatività se non è soddisfatto a livello fisiologico e di sicurezza).
HTTPS ti manda fuori di testa, e non riesci a capire come configurarlo? Nessun problema: in questa guida troverai tutto quello che c’è da sapere sull’argomento. Se sei alla ricerca di una guida per impostare HTTPS sul tuo sito WP, insomma, sei arrivato nel posto giusto.
Introduzione
Se hai installato WordPress (scopri qui come fare) sul tuo hosting e ti piacerebbe configurare HTTPS nel suo indirizzo – in modo da ottenere qualcosa tipo:
https://tuosito.it
su tutte le tue pagine, invece del solito
http://tuosito.it
Giusto? OK!
Configurare il certificato, come prima cosa
Avrai bisogno di effettuare, come prima cosa, la configurazione del tuo hosting per fare uso corretto di un certificato SSL. Quello che esternamente figura come HTTPS, infatti, è una tecnologia crittografica molto avanzata che può avere diversi tipi di implementazioni, cioè si può realizzare in più modi diversi, e che può essere realizzata con diversi tipi di certificato software:
certificati gratuiti come Let’s encrypt – vengono offerti dalla maggioranza degli hosting condivisi, ad esempio
certificati a pagamento di classe DV, OV o EV
La cosa essenziale quindi, prima di fare qualsiasi altra cosa, è assicurarsi che il nostro dominio abbia HTTPS installato; se non fosse installato, i principali pannelli di controllo come Plesk o cPanel permettono di abilitarlo seguendo apposite procedure. Se l’hai già fatto, assicurati che il certificato funzioni, cioè restituisca le pagine web correttamente (ma per evitare complicazioni prova a vedere se l’URL di un’immagine del tuo dominio, ad esempio, risponde sia in HTTP che in HTTPS); poi passa direttamente alla sezione in cui si parla dell’installazione del plugin per WordPress per installare – e rendere attivo pubblicamente, all’interno del sito – il tuo certificato.
Tipi di certificati: SSL e TLS
Per installare HTTPS sul tuo sito in WordPress devi sapere, anzitutto, che ci sono molti certificati che puoi scegliere, e che sono stati approfonditi in un articolo a parte di questo sito; non serve conoscerli tutti a memoria, ovviamente, anche perchè in generale la configurazione di base è piuttosto semplice, e non richiede passaggi complicati. Questo avviene soprattutto se decidiamo di fare uso di soluzioni free come Let’s Encrypt, che è diventato particolarmente facile da configurare tanto che molti pannelli di controllo degli hosting come Plesk e cPanel lo propongono come installazione 1-click. Let’s Encrypt ha il grande merito di aver messo HTTPS a disposizione gratuitamente per il grande pubblico, e questo ha cambiato i termini del discorso considerevolmente (all’inizio poteva sembrare che dietro la smania di far passare tutti in HTTPS ci fosse la volontà di commercializzare molti certificati da parte dei servizi di hosting, cosa vera solo in parte ormai). Tra l’altro Let’s Encrypt si auto-rinnova ogni mese, liberando il webmaster dal pensiero di doverlo fare da solo. I certificati scaduti infatti non sono una buona cosa, e fanno smettere il sito di funzionare correttamente.
Nella pratica, comunque, è possibile sfruttare tranquillamente soluzioni gratuite in cui l’ente che certifica il nostro sito è, ad oggi, Let’s Encrypt (va bene per qualsiasi tipo di sito, commerciale o amatoriale che sia). La cosa da tenere in considerazione, senza scendere in troppi dettagli tecnici o strutturali, è che in generale un certificato HTTPS potrebbe avere un costo: Let’s encrypt è un certificato firmato digitalmente dalla stessa, quindi è “generico” in tal senso. Per ottenere un certificato SSL che sia valido e sia di livello più alto si comprano certificati SSL che possono costare qualche centinaio di euro all’anno. Ad esempio in modo che compaia il nome della nostra azienda nel certificato stesso: Keliweb, Tophost, GoDaddy, Namecheap e molti altri tipi di hosting offrono questo servizio a canone annuale. Di solito lo vendono assieme ad un hosting dedicato o con IP dedicato, ma è solitamente possibile selezionare solo il certificato – e spendere qualcosa di meno.
Normalmente, quindi, è possibile configurare Let’s Encrypt ed altri equivalenti servizi di HTTPS gratuito mediante i pannelli di controllo del nostro hosting, quindi cPanel o Plesk (nell’immagine seguente ecco l’icona all’interno di Plesk per Let’s Encrypt). Per la cronaca SSL è il predecessore di TLS, che è invece la versione utilizzata maggiormente nei sistemi crittografici attuali. Una implementazione molto utilizzata sia dell’uno che dell’altro è attualmente rappresentata dal toolkit OpenSSL.
Come prima cosa da fare per installare HTTPS su WordPress, quindi, c’è la necessità di installare HTTPS mediante cPanel o Plesk, in modo tale che le pagine del nostro sito funzionino da subito in HTTPS senza generare errori.
Come configurare un certificato sul proprio dominio in WordPress (Plesk + Let’s encrypt)
Per configurare il certificato di Let’s encrypt e quindi abilitare HTTPS sul nostro sito, apriamo il pannello Plesk del dominio (utilizzerò Plesk in questo esempio, ma è uguale anche per hosting con cPanel), clicchiamo sull’icona di Let’s encrypt – che potete vedere qui in alto – e vedremo subito qualcosa del genere (ho utilizzato il dominio leultime.info giusto come prova).
Spuntiamo il dominio alternativo con www (opzionale, ma consigliato), e facciamo click su Installa per installare il certificato. Dopo qualche secondo di attesa, a questo punto, HTTPS dovrebbe essere confermato e funzionante!
La seconda cosa che bisogna fare per configurare il proprio sito con il protocollo HTTPS è quella di cambiare l’URL di base del sito, facendo login come amministratori ed andando a cliccare su Impostazioni e poi su Generali. Da qui, per i due campi Indirizzo WordPress (URL) e Indirizzo sito (URL), sarà necessario aggiungere una ‘s’ alla fine di http, ed ottenere un indirizzo del sito replicato nelle due caselle quale https://tuosito.it, come ho fatto nell’esempio riportato in basso (ovviamente dobbiamo inserire in questo campo il nome del sito che stiamo configurando: tuosito.it o leultime.info per seguire l’esempio precedente).
Ovviamente tali modifiche vanno confermate scorrendo in basso la pagina e facendo click sul bottone “Salva le modifiche“; questo è soltanto il secondo passo per la configurazione di HTTPS in WordPress, perchè ne è necessario un terzo che bisognerà effettuare modificando il file htaccess del sito web che stiamo configurando.
Configurare il redirect 301 da HTTP a HTTPS
In certi casi – ammesso che l’hosting disponga di particolari automatismi, o se non usate il plugin riportato alla fine di questo articolo – potreste avere la necessità di forzare il protocollo sicuro HTTPS per fare in modo che tutte le pagine in HTTP (in chiaro) siano redirezionate in automatico sul protocollo sicuro. L’impostazione non è banale ed è importantissima, perchè si rifletterà sia a livello di accessibilità degli URL che di indicizzazione sui motori di ricerca: vediamo quindi come sia possibile attivare questa impostazione.
Se non fosse chiaro o immediatamente comprensibile il perchè sia necessario configurare un redirect 301 o permanente è presto detto: prima dell’arrivo del certificato il nostro sito web funzionava normalmente mediante HTTP in chiaro, adesso funzioneranno entrambe le versioni, sia quella in chiaro (HTTP) che quella criptata (HTTPS), per cui tale situazione è ambigua è decisamente sconsigliato e da risolvere.
Infatti se lasciassimo in sospeso le cose fino a questo punto avremmo:
duplice indicizzazione su Google (URL duplicati);
utenti confusi, che non sapranno scegliere tra HTTP e HTTPS.
Quello che dobbiamo fare è quindi un redirect 301 da HTTP verso HTTPS, per tutti gli URL indistintamente per semplicità ; in alternativa, potremmo farlo soltanto per gli URL sensibili come quello di login o quelli di pagamento (se usiamo gateway di pagamento proprietari, ad esempio). Per semplicità vedremo la versione global redirect 301 da HTTP a HTTPS.
redirect 301 HTTP -> HTTPS: esempio di file .htaccess
Mediante FTP o file system di Plesk, basta andare nella root (ovvero la cartella base) del nostro sito (ad esempio /www) e modificare il file in remoto .htaccess (il . davanti indica che si tratta di un file nascosto), inserendo la configurazione seguente:
RewriteEngine On
RewriteCond %{SERVER_PORT} 80
RewriteRule ^(.*)$ https://www.tuosito.it/$1 [R,L]
Ovviamente tuosito.it andrà sostituito in tutti gli esempi con l’indirizzo del vostro sito web, e questo tipo di configurazione va bene nel 90% dei casi, quando i siti web in WP usano Apache.
redirect 301 HTTP -> HTTPS: esempio alternativo di .htaccess
Una ulteriore versione della stessa configurazione, che non richiede modifiche e può essere copia-incollata direttamente per il vostro sito, può essere la seguente:
RewriteEngine On
RewriteCond %{HTTPS} off
RewriteRule ^(.*)$ https://%{HTTP_HOST}%{REQUEST_URI} [L,R=301]
redirect 301 HTTP -> HTTPS: esempio per siti senza prefisso www [.htaccess]
Ecco una ulteriore versione del file htaccess utilizzabile su un sito web senza www davanti (nell’esempio, prova-sito.it):
redirect 301 HTTP -> HTTPS: esempio per siti con prefisso www [.htaccess]
Per i siti web per cui è presente una duplice versione con www davanti, già pre-configurata a dovere su HTTP, è possibile sfruttare questa configurazione.
Ricordatevi che questo tipo di configurazione andrà eventualmente amalgamata con quelle che siano eventualmente già presenti per il vostro sito, integrando le modifiche con eventuali configurazioni pre-esistenti. Se non lo farete correttamente, il vostro sito non funzionerà più! Se non siete molto esperti potrebbe essere opportuno testare una delle tre possibilità singolarmente, e verificare quella che effettivamente funziona.
Si ricorda che tutte queste impostazioni forniscono le direttive necessarie al sito per impostare HTTPS per tutte le pagine, senza distinzioni, che è un caso comune ma non sempre fitta con le nostre effettive necessità .
Da ricordare, mentre configurate HTTPS
Ricordatevi quindi che le modifiche sopra esposte vanno INTEGRATE CON LA CONFIGURAZIONE corrente di htaccess: se sostituite l’intero file “alla grezza” con la versione qui riportata, per intenderci, cancellerete le vecchie configurazioni di htaccess (una su tutte: i permalink) e rischierete di non fare funzionare più il vostro sito. Tenete quindi conto della corretta sintassi per integrare htaccess sia per i permalink che per HTTPS che per altri eventuali direttive che avevate inserito (redirect 301, ad esempio). In questi casi, in effetti, la cosa migliore è quella di salvarsi la vecchia configurazione in backup locale, e provare a mettere insieme le due configurazioni tenendo conto delle seguenti regole pratiche:
RewriteEngine On, se presente, deve comparire una volta sola nel file;
le due righe successive vanno inserite alla fine, in coda alle configurazioni che già avevate inserito, come nuova riga.
Di seguito un esempio di integrazione corretta: ho inserito in coda alla configurazione esistente, nello specifico, le due finali.
Usando server NGINX, in alternativa, la configurazione equivalente per passare da HTTP ad HTTPS sarà su questa falsariga:
server {
server_name tuosito.it www.tuosito.it
return 301 https://tuosito.it$request_uri
}
Questo tipo di configurazione permette di passare ad HTTPS su tutte le pagine del vostro sito, ed è in linea apparentemente con le indicazioni per i SEO che secondo Google rendono un fattore di ranking SSL stesso. Su questo mi sono sempre permesso di avere dei dubbi (che in generale vi possa essere stato un fraintendimento generale), perchè dal mio punto di vista ha più senso utilizzare HTTPS solo all’interno delle pagine su cui vanno a finire dati sensibili come avviene nelle pagine di login.
Configurare SSL solo per le pagine di login di WordPress
Se volete configurare HTTPS sulle pagine di login c’è un passo differente da compiere, che consiste in una modifica del file wp-config.php (e fermo restando il primo passo per la configurazione del certificato Let’s Encrypt, pre-condizione sempre necessaria prima di effettuare qualsiasi modifica).
La direttiva da aggiungere a fine di questo file, sia per siti WordPress singoli che per multi-siti, editandolo via FTP:
define('FORCE_SSL_ADMIN', true);
Tenete conto che passare ad HTTPS su un sito è in generale una modifica drastica alla configurazione che Google, ad esempio, potrebbe non recepire correttamente: la cosa importante in questi casi è che i precedenti risultati (quelli già indicizzati sul motore di ricerca) siano correttamente “informati” della modifica, e questo può avvenire tipicamente mediante un redirect 301. La modifica al file .htaccess / NGINX che abbiamo visto, in effetti, serve a venire incontro esattamente a questo genere di necessità .
Se avete eseguito correttamente tutti i passi indicati, browser come Chrome e Firefox indicheranno chiaramente nella barra degli indirizzi che il vostro sito è protetto da HTTPS. Se aveste difficoltà ad eseguire questi passi vi suggerisco di affidarvi alla consulenza di un esperto del settore o di personale qualificato.
E per la SEO, cosa comporta HTTPS?
Si considera ufficiale che l’uso di HTTPS per un sito web sia effettivamente un fattore di posizionamento SEO fondamentale, tanto più che esiste anche un articolo del blog di Google che ne parla (HTTPS as a ranking signal, per chi non l’avesse letto). In altri termini, se avete un sito web e siete passati da poco da HTTP ad HTTPS è lecito attendersi qualche miglioramento sul posizionamento di alcune pagine. Certo è che bisogna configurarlo correttamente, come abbiamo illustrato, e bisognerà fare attenzione a tre cose:
che non ci siano pagina frammiste tra alcuni URL interni in HTTP ed altri in HTTPS;
che i redirect 301 da HTTP a HTTPS siano tutti funzionanti e attivi;
che HTTPS sia funzionante e scansionabile da Google (verificare dalla Search Console e, se necessario, registrare un nuovo indirizzo del sito come HTTPS://nomesito.est);
In genere, non ho riscontrato particolari vantaggi su altri siti che curo passando semplicemente ad HTTPS, e non mi aspettavo che un fattore singolo, isolato rispetto al contesto, potesse essere così importante come in tanti scrivono. Certo è che si tratta di un fattore importante, anche perchè conferisce maggiore sicurezza al visitatore e, in linea di massima, è anche un fattore di ottimizzazione indiretto: incrementa la permanenza del sito, probabilmente riduce un po’ anche il ribalzo e, insomma, male certamente non fa.
Per attivarlo come ranking factor SEO, tuttavia, dovrebbe sempre far parte di una strategia editoriale solida o, se preferite, concorrere al posizionamento assieme ad altri elementi di ottimizzazione: i title, le descrizioni delle pagine, i link interni ben strutturati e soprattutto (direi) i backlink dall’esterno, che dovranno essere sempre di alta qualità e valore.
Se pensi che sia arrivata l’ora di passare il tuo sito in HTTPS, puoi seguire le indicazioni che ti darò in questo articolo. Non sarà difficile, aumenterà i tempi di caricamento del tuo sito (ammesso che sia stato fatto a regola d’arte), darà una maggiore autorevolezza e idea di professionalità allo stesso agli occhi dei tuoi visitatori (con il famoso lucchetto verde che si accenderà per ogni browser che ti visita) e non ti impedirà di utilizzare normalmente tutti i plugin ed i temi con cui lavori abitualmente.
Il miglior plugin per passare WordPress in HTTPS
Premessa: per fare quanto descritto in questa pagina, come prima cosa dovrai avere SSL abilitato sul tuo hosting. Questo significa che il tuo hosting dovrà supportare un certificato SSL qualsiasi e darti la possibilità di abilitarlo via Plesk o cPanel. In certi casi, come ad esempio per l’hosting Aruba, il certificato SSL può essere già disponibile senza che venga ancora utilizzato: significa che il sito risponde indifferentemente (ed in modo corretto e privo di errori) sia con HTTP://tuosito.it che con HTTPS://tuosito.it. Per abilitarlo e rendere effettiva la modifica per tutti i tuoi visitatori, dovrai farlo via sito con il plugin che adesso ti mostrerò.
Ricordati inoltre che:
via plugin sarà necessario attivarlo su tutte le pagine (non solo su quelle di login, e questo per evitare il problema del mixed content, cioè di pagine web “miste” con HTTP e HTTPS, il che è visto come una cosa negativa ed invalida il senso stesso di HTTPS);
basterà un click per farlo, non preoccuparti (…massimo due!);
sì, è necessario che lo attivi anche tu; certe diatribe del passato sulla necessità di farlo, con la grande diffusione di certificati gratuiti, lasciano ormai il tempo che trovano;
sarà possibile redirezionare tutto il traffico in HTTP automaticamente in HTTPS, ma questo, come vedremo, il plugin di cui parleremo lo farà in automatico.
Il plugin di cui parliamo è Really Simple SSL, che come suggerisce il nome è davvero semplice da usare ed altrettanto efficace. Really Simple SSL abilita con un paio di click il certificato SSL per il tuo sito in WordPress; ho avuto modo di testarlo con successo sia su un sito single site (le installazioni standard di WP) che su uno multisite ed ha funzionato egregiamente in entrambi i casi. Esistono due versioni di Really Simple SSL, quella free che trovate sul repository va bene per la maggioranza dei siti (inclusi i multisite gestiti mediante path), mentre quella premium a pagamento permette di attivare le caratteristiche selettivamente per i multisite (ad esempio su un sito attivare SSL, su un altro invece no). Nella versione premium inoltre sono inclusi degli utili tool che possono aiutarvi, ad esempio, a fare diagnostica nel caso abbiate problemi di mixed content.
Per installare Really Simple SSL:
Assicuratevi che SSL sia attivo e funzionante sul vostro hosting (dovrete attivarlo da Plesk o cPanel o chiedere all’assistenza dell’hosting che usate);
Installate il plugin sul vostro sito;
Attivatelo;
Seguite le indicazioni riportate a video per abilitare SSL;
Se tutto è andato nel verso giusto, dovrete fare login nuovamente e a questo punto tutto funzionerà come prima, solo che sarete in HTTPS.
Prima di procedere con le operazioni in questione si suggerisce di mettere temporaneamente offline il sito, giusto per evitare problemi di navigazione ai visitatori presenti sullo stesso in quel momento.
Non sono richieste impostazioni complicate perchè in genere viene fatto tutto in automatico, l’unica accortezza riguarda i domini con sottodomini annessi per cui non sempre è possibile attivare in automatico per tutti quelli richiesti.
Nell’ambito della SEO black hat , soprattutto (ma non solo), è frequente ricorrere ai cosiddette PBN, ovvero i famigerati Private Blog Network. Tali reti di blog private sono un insieme di più siti web, gestiti da un singolo o da più persone, in quantità piuttosto numerosa, in modo non pubblico e senza collegamenti diretti tra i diversi siti (almeno, non in modo sistematico alla “tutti linkano tutti gli altri“). I PBN presentano alcune caratteristiche che andremo, oggi, a vedere nel dettaglio.
Private Blog Network (PBN). Cos’è?
Una PBN è un insieme di siti web di un singolo proprietario, o più in generale di un insieme di proprietari “occulti”, che non esplicitano la cosa ed usano i siti per fare link building. Questo si traduce in una rete di supporto per le attività di link building che, generalmente, ha un costo periodico (ad es. mensile) di manutenzione e gestione.
A cosa serve la PBN nella SEO
La strategia PBN è molto utilizzata in Italia e all’estero, soprattutto per disporre di più domini con cui linkare il sito principale e ovviamente al fine di posizionare al meglio un singolo sito che permette di guadagnare (money site), posizionandolo rapidamente al meglio. Il PBN, per quanto sia abusata e temuta come tecnica di posizionamento di un sito, risponde spesso ad un’esigenza pratica: disporre di siti scalabili, a costo relativamente contenuto e senza limitazioni con le quali poter linkare i propri siti web, impresa spesso disperata soprattutto nei settore più competitivi.
Al tempo stesso, l’uso corretto di un PBN richiede più lavoro di quanto possa sembrare a prima vista: non esiste infatti ricette facili nella SEO in nessun caso, per cui se lo fate dateci dentro, ma soprattutto evitate di farlo se non vi considerate abbastanza esperti.
Quanto costano le PBN
Le PBN sono uno dei “lati oscuri” della SEO: per questo è difficile dare numeri precisi a riguardo, perchè disponiamo solo di informazioni ufficiose a riguardo: alcune PBN (poche) sono gratuite, pochissime sono pubbliche (è rarissimo che troverete PBN cercando su Google, in genere), la maggioranza sono private e afferiscono a “cerchie” di riferimento in cui, generalmente, chi può postare articoli paga una quota di iscrizione al gestore, e contribuisce a gestirla e mantenerne le spese.
Cosa pensa Google delle PBN
Tecnicamente Google punisce duramente l’uso di questa tecnica: rientra infatti nella definizione di schema di link.
Rimase storico l’episodio avvenuto a riguardo, proprio contro alcuni SEO italiani, da parte del mitologico (oserei scrivere) Giacomo Gnecchi Rusconi: una pagina che poi venne rimossa da Google, ma che non le mandava a dire in fatto di penalizzazioni da PBN: penalizzazioni che sono probabili anche oggi, per intenderci.
Le PBN sono SEO black hat nel senso più completo del termine, anche se poi esistono sempre le vie di mezzo e si possono sfruttare in modo più pulito, soprattutto se i siti dispongono di un piano editoriale e non pubblicano esclusivamente articoli con link.
Questo è un articolo che cercherà di andare in profondità sulle tecniche per costruirne ed utilizzarne una, per aiutarvi a capire come farne parte e per capire come i network di blog privati (PBN) possano valere come qualsiasi altro backlink procacciato, e riescano ad ottenere risultati significativi nel tempo.
Cosa sono le Reti di Blog Private (PBN)
Sono un insieme di siti web + domini che è possibile utilizzare collettivamente per linkare qualsiasi sito che si voglia. Alla base di questo vi è un processo di acquisto di domini scaduti ad elevata alta autorità , e la successiva creazione di vari portali apparentemente scollegati tra loro che possano:
linkare direttamente il sito principale che si vuole promuovere da ognuno di questi domini;
linkare indirettamente, a loro volta, i siti satellite che aiutano a “spingere” il sito principale.
Anche se questo sembra come una tecnica elementare è estremamente potente, quando messa in atto correttamente. Si tratta di un processo lungo, ed i benefici a lungo termine in genere valgono il tempo speso e lo sforzo per crearli, senza contare che comportano dei rischi considerevoli perchè poi, una volta dentro, è abbastanza difficile uscirne – proprio perchè la rete di link è complicata per definizione, costituita da diversi “strati” (layer del PBN), e potrebbe non essere banale annullarne l’effetto.
I PBN sarebbero pensati per essere utilizzato da voi e solo voi, ma c’è chi rivende il servizio anche ad altri (probabilmente il 50% dei servizi internet è composto da reseller, a dirla senza ipocrisia).
Quali sono i migliori PBN
Le PBN davvero potenti, ovviamente, sono quelle private, anche se sono pure le più rischiose. In genere non c’è traccia di PBN se non attraverso il dark web, ovvero persone che si accordano tra loro (ad es. in chat o via email) per acquistare link su gruppi di siti del genere.
In molti casi i PBN si tendono pure a “sputtanare”, e questo per il motivo che è facile immaginare: tutti vendono link a tutti, la qualità dei siti degrada e alla lunga il gioco nemmeno vale la candela. Saper scegliere un sito da cui farsi linkare, di fatto, è un qualcosa che dipende da un mix di esperienza e “sensibilità “, ovviamente soggettive e sulle quali è anche inutile discutere troppo, a priori.
Come riconoscere il sito di un PBN
In genere i siti delle PBN “artigianali” sono:
fatti in WordPress;
usano theme gratuiti o piratati;
non sono particolarmente performanti in termini di prestazioni;
non sono molto curati graficamente;
pubblicano articoli a ruota, spesso su argomenti molto diversi rra loro, e questi articoli sono quasi tutti con link dofollow all’interno.
Motivo per cui la lista appena snocciolata va considerata come una lista di cose da nonfare per evitare, un giorno, di trovarsi penalizzati.
I PBN sono caratterizzati da un po’ di accortezze da seguire, che riassumeremo di seguito. Se volete costruirvi un PBN decente, di seguito ho descritto i singoli passi da compiere.
Scegliere un dominio scaduto (più di uno)
Quando vuoi costruire un PBN devi partire, anzitutto, da una lista di domini scaduti che abbiano un minimo di valore, e costruirci sopra dei siti. Qualsiasi dominio acquistato dovrà essere rilevante, a partire dal nome, per la tua nicchia di riferimento: i prezzi di questi domini “dropped” possono variare considerevolmente, e ti mostrerò i modi migliori per trovare domini di alta qualità a prezzi – se possibile – ragionevoli.
Nota: in genere il fatto che un dominio sia dropped viene inteso, nel gergo dei link builder, come un dominio scaduto da poco tempo, messo in piedi in tutta fretta e popolato di contenuti solo allo scopo di specularci. I siti realmente di qualità (che siano di un PBN o meno), in genere, presentano soprattutto un piano editoriale e non pubblicano sempre guest post a pagamento “a ruota”.
Cosa succede quando compri un dominio dropped
Quando si comprano domini scaduti, è importante ricordare che erediteremo tutti i backlink di quel dominio, per cui potenzialmente potremmo avere la necessità di scremarli (e solo i SEO esperti ci riescono), ereditando buoni backlink – ma anche monnezza, in teoria, che dovremo mandare in disavow.
In questa attività non siamo soli: tool come l’analisi dei backlink di SEMRush possono essere di grande aiuto in fase di analisi preliminare per pianificare il lavoro e capire se valga o meno la pena farlo.
Web hosting
Il successivo passo sarà quello di scegliere l’hosting per ogni dominio scaduto che acquistiamo.Spiegherò come farlo, nello specifico, senza lasciare un footprint che Google potrebbe utilizzare per rilevare l’irregolarità .
Creare siti mediante CMS
Una volta acquistati hosting e domini, a questo punto non ti resta che installare su ogni dominio il tuo CMS preferito, aggiungere i vari contenuti + plugin e inserire i collegamenti al tuo sito web dentro gli articoli (evitiamo i link da widget, perchè sono sitewide e tendenzialmente sospetti).
Facile, vero 😀 ?
Avviare il proprio PBN
Quando si crea una rete di blog privati non ci sono limiti, e più siti aggiungi meglio è: ma devi sempre avere tutto sotto controllo, e devi lavorare un po’ per volta, ovviamente, mettendo in gioco qualsiasi risorsa web tu possa controllare in autonomia. Puoi iniziare costruendo anche solo un sito al mese se non sei troppo pratico, oppure potresti farne più di uno: in genere la fretta è cattiva consigliera e porta a fare siti inutili, nel complesso.È preferibile iniziare prima con un singolo sito: questo non solo ti aiuterà a comprendere appieno come funziona il processo. Quanto tempo ci vuole per farne uno, e popolarlo un minimo? Col tempo troverai un modo “scalabile” per realizzare anche tutti gli altri.
Quando inizi a pianificare un PBN, del resto, una delle parti principali a cui penserai è il costo. Può sembrare che sia molto costoso e ci sono molti esperti che ti porteranno a credere che sia così, ma (se uno ci mette la testa, diciamo) è un po’ più economico di quello che potrebbe sembrare a prima vista.
I costi sono infatti suddivisi tra l’acquisto del dominio e l’hosting per ognuno. I prezzi possono variare, ma alla fine i prezzi medi non saranno eccessivi – da 3€ a 6€ al mese. I domini scaduti invece possono avere costi diversi: i prezzi base partono da almeno 10€ a dominio, per arrivare a domini scaduti che possono costare fino a 100, 200 o anche di più in certi casi.
Se la nicchia è molto competitiva, ovviamente, i prezzi salgono parecchio e c’è un sacco di speculazione a riguardo: il mercato dei domini è abbastanza fuori controllo da anni, ormai.
Piano editoriale per i siti del PBN
Un’altra spesa che dovresti affrontare, poi è quella per i contenuti: se ti rivolgi al mercato low cost gli articoli costano da 2€ ciascuno (per circa 400-500 parole) fino ad arrivare a costi superiori. Ovviamente questa cosa farà rabbrividire i copywriter professionisti, e non è nostra intenzione sminuirli o rovinargli il mercato: del resto, se spendi qualcosa in più per farti scrivere i contenuti professionalmente sicuramente l’impatto SEO della PBN sarà più grande (e sicuro, dal punto di vista di future eventuali penalizzazioni di Google).
La sezione successiva offre una panoramica dei costi di costruzione di un PBN, quindi ora diamo un’occhiata all’aspetto hosting web in modo più dettagliato.
Hosting
Hostare i vari siti è un processo piuttosto semplice, tuttavia può essere abbastanza facile commettere l’errore di lasciare un footprint che Google possa trovare.Lo scopo di una rete di blog privati è quello di assicurarsi che ogni sito all’interno della rete sia completamente unico e autonomo, o almeno sembri così dall’esterno.
Per gestire bene una PBN potrebbe, in teoria, dato l’elevato grado di complessità in gioco, servirti il supporto di un esperto di informatica per il web, di un informatico, di un ingegnere informatico oppure di un sistemista.
Avere indirizzi IP distinti (classe C)
Ogni computer collegato a Internet possiede un indirizzo IP univoco, così come qualsiasi sito su un server.Gli indirizzi IP sono impostati in quattro diverse classi, Classe A, B, C, D: in una PBN sicura è fondamentale che la classe C dell’indirizzo IP di un sito sia distinta da qualsiasi altra, sullo stesso PBN.
Non usare mai lo stesso indirizzo IP per più di un sito: può sembrare più economico e sbrigativo a prima vista, ma la tua rete di blog privati può diventare inutile e pagheresti caro l’aver voluto risparmiare troppo.Assicurati anche che ogni sito abbia un indirizzo IP univoco, in modo che il tuo PBN non venga un giorno penalizzato da Google.
In alternativa usa diversi servizi di hosting per ogni sito, e distribuisci bene il “carico”. Se hai cinque siti tutti con IP e classi C diversi ma esistono tutti nella stessa società di hosting, corri di nuovo il rischio di essere “braccato”.
Name Server: attenzione!
Tutti i domini che registri avranno un nameserver, sarebbe importante che i siti del PBN non abbiano tutti lo stesso NS.Ogni compagnia di hosting ti fornirà un pannello di controllo, dove puoi andare e cambiare il nameserver del sito all’occorrenza ed usare, ad esempio, a volte quelli di CloudFlare, altre quelli nativi degli hosting.
Verifica del proprietario dell’IP
Puoi controllare qualsiasi proprietario del sito acquistare utilizzando uno strumento chiamato WHOIS.Questo strumento ti fornisce tutte le informazioni su chi ha registrato il dominio: ovvio che se 20 domini sono tutti dello stesso proprietario e linkano lo stesso sito, il footprint (l’ “impronta digitale”) diventa lampante a chiunque, Google inclusa, e la penalizzazione è dientro l’angolo.
Un ulteriore aspetto da verificare, come vedremo, è lo stato di “autorevolezza” del dominio.
Migliori hosting da sfruttare
Per un PBN servirà un hosting, o più di uno, che possa permetterti di gestire i vari domini della rete.
Prima di tutto ci sono alcune cose che dovresti evitare, quando scegli una società di hosting, ed una delle regole più importanti per una buona PBN è quella di evitare le offerte classificate e ricercabili come SEO hosting: sono aziende che offrono IP di classe C unici alla rinfusa, spesso poco affidabili purtroppo, a prezzi bassi per ospitare tutti i tuoi siti.
Anche se questa potrebbe sembrare l’opzione migliore, non è esattamente come sembra.Questo perché alcune società di hosting hanno progettato l’infrastruttura per i SEO, il che significa che la maggior parte dei loro indirizzi IP contiene già molte reti di blog privati.
Questi suggerimenti valgono non sono per le PBN, ma possono essere utilizzati – ad esempio – anche dalle web agency che abbiano bisogno di mantenere più domini nella propria PBN privata in modo da poter vendere link più facilmente, ad esempio.
Le società di hosting che utilizzo offrono servizi di hosting come “piace a noi” e nel range di prezzo compresa tra 20€ e 100€ / anno.Ci sono molte aziende tra cui scegliere, quindi non dovresti mai avere problemi a mantenere unico ogni sito.Di seguito sono riportate alcune possibilità che potreste provare:
Digital Ocean (1 indirizzo IP per ogni dominio/droplet che si crea, ma dovete saperli configurare con SSL)
Hosting cloud: Siteground
Hosting cloud: Keliweb
Hosting cloud: Supporthost
Ci sono un po’ di metodi che puoi usare anche per trovare altre compagnie di hosting.Ci sono forum su Internet che parlano di nuove società e reseller di hosting che offrono hosting a basso costo e rispondente ai requisiti necessari.Sconsigliamo di cercare, in genere, “hosting per PBN“, e di preferire offerte di hosting che generalmente rientra nella classificazione più generale e flessibile di “hosting cloud“.
Ora sai tutto quello che c’è da sapere sull’hosting (o quasi).Prima di uscire e acquistare qualsiasi pacchetto di hosting devi aspettare fino a quando non hai acquistato alcuni domini su cui ospitare il tuo sito.
Continueremo ora a discutere su cometrovare domini di alta qualità nella prossima sezione del corso, ma per ora, è importante capire come impostare il tuo hosting senza lasciare impronte a Google.
Acquistare domini adeguati / a tema con la tua nicchia di mercato
Il tempo di vita di un dominio è in genere regolamentato da una serie di passaggi fissi, che possono cambiare leggermente in base all’estensione ma che, in genere, sono di questo tipo.
Il giorno in cui un dominio scade, viene messo in “pausa” (redemption period) ed entro un paio di giorni, in genere, il legittimo proprietario può riscattarlo. Questo periodo in genere è abbastanza lungo e va dai 30 ai 60 giorni. Se rinnova entro pochi giorni dalla scadenza, paga il prezzo ordinario di rinnovo, altrimenti dovrà mettere in conto un sovrapprezzo una tantum.
Trascorso il redemption period, il dominio viene sbloccato ed è a disposizione di chiunque per l’acquisto al prezzo standard di rinnovo, a meno che non si tratti di estensioni o nomi particolari.
I registrar, cioè gli enti adibiti alla registrazione, potrebbero in teoria consentire la speculazione; ci sono broker di domini, infatti, che acquistano i nomi scaduti per poi provare a rivenderli ad es. al legittimo proprietario a prezzo maggiorato.
Quando un dominio è “buono”?
Esistono molte metriche che puoi utilizzare per decidere se comprare o meno un dominio scaduto, ed è importante che tu faccia un po’ di ricerchine prima di comprare.
In molti casi infatti, alcuni domini vengono “pompati” per giustificarne il prezzo elevato quando poi, alla prova dei fatti, finisco per essere utili a poco o nulla.
Un’altra metrica da verifica è quanti (e quali) backlink abbia un dominio.Esistono pochi siti diversi che è possibile utilizzare per controllare i backlink, come SEMRush e Ahrefs.Di solito cerco domini con almeno una 30-40 backlink da almeno 10-15 di domini differenti.Sebbene i siti possano avere un’alta autorità con solo un paio di collegamenti, se perde uno di essi potrebbe perdere anche un po ‘di authority.
Lo strumento che preferisco si chiama SEMRush, questo può mostrarti tutta una serie di metriche e come puoi vedere i backlink su questo sito sono mostrati sopra.Questo non sempre è accuratissimo e qualcosa gli scappa, ma per farsi un’idea orientativa della qualità del dominio è ottimo. Purtroppo è uno strumento che funziona solo a pagamento in modo davvero efficace.
Redirect da domini scaduti
Invece di usare il dominio per la PBN alcuni si limitano a comprare i domini scaduti a tema, e a redirezionarli sul proprio sito o su qualche “nodo” intermedio del PBN, in modo da potenziarlo un po’. Si tratta di una tecnica un po’ brutale, ma che presenta un vantaggio: effettuare un redirect da un dominio scaduto ad un altro permette di “acquisire” tutti i backlink del dominio scaduto e redirigerli dove vogliamo.
Ci sono due modi per fare questa cosa, tecnicamente:
(molto poco sicuro) mediante redirect 301, quindi un redirezionamento dal sito scaduto appena acquistato al sito da promuovere; è rischiosa, perchè potrebbe causare problemi di posizionamento, perdite di ranking ed indicizzazioni “folli” in SERP (ad esempio: dominio scaduto con lo stesso aspetto in SERP del dominio destinazione)
(più sicuro) mediante redirect 302, in questo modo erediteremo solo il traffico che arriva da quei backlink, ammesso che ce ne sia. Meno efficace lato SEO, ma sicuramente molto più pulita come strategia.
Referring domains
Questa è un’altra metrica che vale la pena verificare, quando si controllano i backlink. Il numero di domini unici che linkano un altro dominio è un modo abbastanza netto per calcolare l’impatto lato SEO dei backlink, considerando che – da un punto di vista topologico, ovvero strutturale della rete di backlink – statisticamente parlando i backlink sospetti sono in genere sitewide, mentre quelli singoli valgono in teoria di più.
In altri termini: sembrerebbe (ipotesi non verificabile, ovviamente) comunque meglio avere 10 backlink da 10 domini diversi che 100 da un singolo dominio. La metrica in questione fa riferimento esattamente a questo aspetto.
Dove acquistare domini scaduti
Ci sono vari siti da cui è possibile attingere e scoprire domini scaduti, eccovi qualche esempio:
Domini scaduti rilevati da Trovalost.it – sito gratuito che rileva ogni giorno i domini scaduti ed assegna un punteggio di “qualità ” in termini di potenziale SEO che potrebbe indurre via backlink. Funziona solo con estensione di dominio .it, ad oggi.
ExpiredDomains.net – sito gratuito che ti permette di cercare domini scaduti. Offre vari tipi di criteri e di metriche SEO per filtrare e selezionare i domini stessi.
In genere non c’è un modo sicuro al 100% per capire se un dominio è stato o meno penalizzato, nel qual caso non converrebbe comprarlo ed in genere il venditore non vi farà mai presente una cosa del genere. Diciamo che in genere si possono provare a vedere strumenti di rilevazione delle penalità del dominio, sovrapporli alle date di penalità certe di Google e vedere se ci sono stati cali di traffico in corrispondenza.
che fornisce una stima attendibile. Ad esempio questo dominio è quasi sicuramente stato colpito da BERT nel periodo di ottobre 2019, quindi se ce lo proponessero in vendita dovremmo far considerare nella trattativa che è stato penalizzato da Google.
Rilevanza del dominio
Ottenere un dominio con alta DA non è troppo importante se, alla fine dei conti, non ti porta traffico o non è pertinente alla nicchia di mercato del tuo sito. Il motivo per cui la vendita di domini tende a spopolare sul web, e a confezionare vere e proprie quasi-truffe (domini già penalizzati da Google che non valgono nulla, per intenderci), è anche legato alla difficoltà dell’effettuare pre-analisi precise.
In genere nella costruzione della propria rete di backlink è bene attenersi ad una serie di regolette pratiche:
non acquisire tutti i backlink in brevi periodi, troppo velocemente (rischio penalizzazione mirata) o troppo lentamente (effetto difficile da misurare o nullo;
non sfruttare più volte lo stesso dominio per costruire troppi backlink verso pagine del nostro sito;
non scambiare mai i link (A linka B, B linka A);
non linkare sempre la stessa pagina: linkare sia la home che le pagine interne del sito;
utilizzare anche backlink esterni alla PBN, in modo da amalgamare meglio il profilo e farlo sembrare meno sospetto.
Valutare che cosa pubblicava il dominio con la WayBack Machine
Archive.org offre uno strumento impagabile per la valutazione dei vecchi contenuti del dominio: potete infatti inserire il nome del dominio e vedere se ci sia qualche pagina in archivio e capire come era fatto quel sito anni prima. Utile per valutarne la qualità , la costanza di pubblicazione ed il livello di eventuale spam.
A questo link, ad esempio, trovate lo storico del mio dominio personale a marzo 2019:
Webarchive è, per inciso, un archivio informatico che traccia lo stato delle pagine web mondiali, a campione, e sul quale esiste una discreta probabilità di mantenere traccia dei contenuti del web anche dopo la loro cancellazione o dismissione dei siti.
Alcuni usano questa tecnica per fare il cosiddetto desert scraping, ovvero “raschiare” contenuti non più indicizzati da Google per riaddattarli nel proprio sito come se fossero originali. Google non sembra mantenere memoria a lungo termine delle pagine web dei siti cancellati negli anni, anche se non abbiamo notizie ufficiali in merito.
Il desert scraping viene utilizzato per recuperare contenuti di pagine web cancellate per errore quando non avessimo backup. Al tempo stesso, il desert scraping potrebbe rivelarsi in una violazione del copyright o della proprietà intellettuale altrui.
Età del dominio
Puoi valutare l’età del dominio interrogando un WHOIS tool come questo, e valutando l’anno in cui è stato registrato per la prima volta. Questo campo è visibile tecnicamente nel record grezzo della risposta del sito, ed è solitamente in corrispondenza del record chiamato:
Created
Un esempio di dominio con anzianità 5 anni (siamo nel 2020, è stato creato nel 2015 ovvero 5 anni fa).
Created: 2015-05-02 15:39:03
In genere più i domini sono vecchi più potenzialità hanno, ma dipende (anche qui, ancora) se sono stati utilizzati bene, se hanno uno storico attivo, se non hanno subito penalizzazioni o se non sono stati bombardati da backlink malevoli.
Come gestire la PBN nel tempo
Impostazione dei singoli siti del PBN: mai lasciare traccie
Se hai deciso di costruirti una PBN per il tuo sito, devi stare attentissimo a non lasciare tracce: ci sono un po’ di regolette pratiche che è opportuno seguire.
Non registrare domini tutti a tuo nome (WHOIS)
Cambia spesso indirizzi email per la registrazione
Usa diversi registrar di domini
Usa vari hosting
Usa alternative gratuite come Blogger per creare ulteriori domini
Cambia la grafica dei siti
Installa almeno questi plugin su ogni sito:
All in one SEO oppure Yoast (è sufficiente la versione free)
TablePress
Advanced Ads
Cache Enabler
Contact Form 7
GDPR Cookie Consent
WordPress Popular Posts
UpdraftPlus
Cura la grafica dei siti
Aggiorna frequentemente i tuoi siti
Disabilita i commenti (non avrai il tempo di stare dietro a tutti)
Aggiorna theme, plugin e core dei siti
Installa un plugin per la sicurezza
Non usare sempre lo stesso username
Usa sempre password differenti
Assicurati che i siti siano tutti scansionabili da Google
Crea i siti in momenti diversi, ben distanziati: non andare di fretta!
Scrivi bene i tuoi contenuti (paga un copywriter, non fare di testa tua)
Non vendere link sulla PBN (rischieresti troppo e potresti perdere un vantaggio)
Non usare ManageWP (potrebbe essere facile per Google risalire al proprietario di tutti i siti)
Conclusioni
Ora, questo corso è stato progettato per fornire i processi coinvolti nella costruzione di un blog privato di rete. Ora spetta a voi per mettere qui tutte le informazioni per un buon uso. Basta ricordare quanto è importante per mantenere google indovinare con tutto quello che fai. Il tema comune dell’intero corso è stata la parola unica. Finché si bastone con queste linee guida si finirà per avere il proprio PBN con tonnellate di potenza, il che rende la tua vita in SEO molto più facile.
L’indicizzazione dei motori di ricerca consiste nella raccolta, il parsing e la memorizzazione dei dati per facilitare il recupero rapido e accurato delle informazioni. La progettazione degli indici incorpora concetti interdisciplinari provenienti dalla linguistica, dalla psicologia cognitiva, dalla matematica e dall’informatica teorica. Si può fare riferimento a questo processo, in alcuni contesti, con il termine indicizzazione web.
I motori di ricerca più popolari si concentrano sull’indicizzazione full-text di documenti online in linguaggio naturale, ma sono ricercabili con modalità analoghe di indicizzazione anche immagini, video, file audio.
Qual è lo scopo dell’indicizzazione?
Lo scopo della memorizzazione di un indice è quello di ottimizzare la velocità e le prestazioni nella ricerca di documenti rilevanti per una query di ricerca. Senza un indice, il motore di ricerca dovrebbe scansionare ogni documento del corpus, il che richiederebbe tempo e potenza di calcolo considerevoli.
Una scansione sequenziale di ogni parola in 10.000 documenti di grandi dimensioni potrebbe richiedere troppo tempo, mentre un indice sintetico sugli stessi ne richiede molto meno. Lo spazio di memoria aggiuntivo necessario per memorizzare l’indice e il considerevole aumento del tempo necessario per l’aggiornamento sono compensati dal tempo risparmiato durante il recupero delle informazioni. Bisogna fare attenzione, peraltro, al fatto che l’indicizzazione potrebbe non essere indicativa e perdere “per strada”, nel processo di estrazione dei termini più rilevanti, pezzi importanti del discorso.
Storia indicizzazione
L’idea di indicizzazione ha le sue radici negli anni Settanta, un periodo in cui iniziarono a diffondersi le concezioni dell’Information Retrieval, un campo interdisciplinare generalmente attribuito al pioniere dell’informatica Calvin Northrup Mooers (1919 – 1994). L’Information Retrieval si occupa letteralmente del “recupero dell’informazione” da grossi corpus di dati, e si riferisce alle metodologie per immagazzinare dati concentrandosi sugli elementi cruciali, in diversi formati (documenti, video, audio, ecc.) e da molteplici discipline (alcuni concetti di IR, come dicevamo, derivano dalla psicologia cognitiva).
Per esempio, se ci trovassimo a sviluppare un motore di ricerca focalizzato su file di testo, un approccio intuitivo ma fondamentalmente ingenuo sarebbe quello di salvare tutti i contenuti all’interno di un indice, così da rendere più agevole la successiva ricerca di contenuti. Tuttavia, questa operazione pone due ordini di problemi: da un lato, è vincolata alle parole chiave utilizzate dall’utente nella ricerca (che possono essere imprevedibili: non sappiamo, in generale, come gli utenti cercheranno una certa entità, ovvero le parole precise che useranno), dall’altro pone il problema di identificare le parole chiave rilevanti nel testo stesso (potremmo individuare quelle irrilevanti e scartare quelle importanti).
Leggendo un testo da esseri umani, del resto, tendiamo naturalmente a “indicizzare” il suo contenuto concentrandoci sugli elementi chiave e, spesso, limitandoci a leggere solo alcune parti (come il titolo), rischiando così di perdere il significato più profondo del documento. Indicizzare un documento (che può rappresentare non solo un file Word, ma anche una pagina web, un file di testo, un PDF, un video su YouTube e così via) significa essenzialmente riassumerne il contenuto individuandone i concetti chiave, attraverso una scansione del documento stesso (eventualmente più volte, e in momenti diversi) e annotando i punti salienti. In questo processo, l’indicizzazione registra i concetti chiave in un database e li categorizza: ed è proprio così che funziona l’indicizzazione per i motori. Per ogni documento mediante il crawler del motore vengono identificati l’autore, il titolo, le parole chiave più rilevanti e/o frequenti, e quindi il database viene messo a disposizione pubblicamente in modo che possa effettuare ricerche basate su queste parole chiave. Va notato che questo concetto è alla base dei motori di ricerca e riflette anche i principi che guidano la classificazione dei libri in una biblioteca o la catalogazione dei contenuti su piattaforme di streaming, ad esempio.
Come viene effettuata l’indicizzazione (tecniche più comuni)
Nel campo dell’Information Retrieval, l’approccio all’indicizzazione dei dati può essere automatizzato attraverso una varietà di metodi, che si avvalgono di differenti modelli matematici (algebrici, probabilistici, ibridi, ecc.) combinati con il concetto di “interdipendenza” dei termini utilizzati nei dati (il fatto che un termine sia legato ad un altro o no: ad esempio “mela” può essere legato al termine frutta o al termine computer). Qui il vocabolo tecnico “term” è un concetto ampio che comprende sia i dati veri e propri che eventualmente i metadati (come meta description e tag su piattaforme come YouTube).
Ogni metodo di indicizzazione presenta vantaggi e svantaggi, specialmente nell’era dell’intelligenza artificiale, che è sempre più diffusa.
Come rendere efficente l’indicizzazione sui motori
Ci sono vari aspetti in gioco per rendere efficente l’indicizzazione: la prima cosa che fa la differenza, insomma, è la politica di raccolta dati. Quali sono le parole del testo che entreranno nell’indice? Quali parole saranno scartate? Come faccio a decidere quali parole sono rilevanti in ogni frase del testo? Come decido cosa prendere in un video o dentro le immagini, ad esempio? L’indicizzazione deve decidere tutti questi aspetti sfruttando, ad esempio, tecniche utilizzate anche nel contesto dei database e della creazione di indici sugli stessi.
I dati nell’indice possono essere codificati, compressi, filtrati: devono occupare meno spazio possibile, devono essere mantenuti tecnicamente e soprattutto aggiornati, in modo da riflettere i cambiamenti nella pagina web originale. L’indice in questa veste è come una versione riassuntiva o sintetica del contenuto originale, con tutti i rischi correlati all’affidarsi ad una sintesi invece di leggere un testo. Un altro aspetto chiave è legato alla tolleranza ai guasti: un bug può sempre capitare e questo può riflettersi in termini drammatici sulla funzionalità dell’indicizzazione stessa.
In breve
Fondamentalmente, tutti questi approcci ruotano attorno all’idea che il software elabori una “sintesi” del testo e renda le parole chiave ricercabili. Va sottolineato che, in questo contesto, il termine “parola chiave” può abbracciare sia parole singole, come “casa”, che frasi più lunghe, come “casa al mare”.
Alla base dell’indicizzazione sta l’idea che il contenuto venga scandito e poi analizzato dal parser, cioè suddiviso nei termini essenziali per individuare le parole chiave rilevanti. Prendiamo ad esempio il titolo di questo articolo:
Utilizzando vari criteri algoritmici, potremmo decidere automaticamente che le parole chiave sono “differenza”, “indicizzazione” e “posizionamento”, tralasciando le parole “tra” ed “e” poiché non portano informazioni significative. Inoltre, notiamo che “differenza” è collegata ad “indicizzazione” e “posizionamento”, che a loro volta hanno una relazione di somiglianza tra di loro.
L’indicizzazione sui motori di ricerca rappresenta il procedimento automatico tramite cui i contenuti delle pagine web vengono scandagliati e organizzati nei termini più significativi, allo scopo di agevolare le ricerche degli utenti. Nel contesto del World Wide Web (WWW), una rete intricata di pagine web con varie strutture, contenuti e forme, un software svolge periodicamente l’estrazione dei testi rilevanti e dei metadati da tutte le pagine in parallelo (tramite un downloader multi-threaded), creando così una copia di questi dati (storage). Ogni pagina è identificata nel tempo da un URL e, poiché gli URL sono numerosi, vengono messi in coda (Queue) per essere successivamente schedulati (programmati) per una scansione continua. Questo ciclo si chiude quando le pagine web vengono analizzate periodicamente, riflettendo i cambiamenti derivanti da questa scansione ricorrente. L’indicizzazione avviene subito dopo il download dei contenuti aggiornati, ogni volta.
In questa seconda puntata di tutorial SEO “in libertà “, parlerò un po’ di uno strumento secondo me parecchio sottovalutato, da me già affrontato su Webhouse qualche tempo fa. Normalmente, infatti, quando di parla di ricerca e creazione di backlink per il proprio sito – cosiddetta link building o link earning – si tende a pensare che servano per forza degli strumenti esterni, del tool che poi sono quasi sempre a pagamento, costano parecchio e non sempre sono semplicissimi da usare. In realtà la ricerca di backlink, con un po’ di pratica e di creatività , possono essere ricercati anche direttamente da Google, con il vantaggio di trovare quasi sempre link presenti nell’indice di Google (quindi meno probabilmente penalizzanti), con un certo valore e, il più delle volte, che potrebbero sfuggire anche ai tool più avanzati.
Passiamo subito alla pratica: gli operatori di Google sono più o meno noti a tutti, ed in questo guida ammetto che per voi non abbiano segreti. Sì, perchè il loro uso di base è ben documentato, mentre quello combinato lo è decisamente meno. Per chi non avesse presente, ricordo brevemente gli operatori di Google che useremo in questa sede.
Operatore site: Serve a cercare tra i risultati di un sito, ad esempio site:trovalost.it
Operatore – Serve ad escludere risultati o parole chiave dai risultati, al fine di raffinare la ricerca
Cosa sono i footprint?
Di norma si considerano footprint una combinazione imprecisata di operatori e chiavi di ricerca, effettuate alle scopo di fare emergere – o fare mining – di eventuali risorse di valore nascoste tra i risultati di ricerca di Google. Il presupposto è che i backlink che dovremo guadagnarsi siano da ricercare certamente all’interno di siti web indicizzati in precedenza (altrimenti sarebbe inutile, oppure dovremmo lavorarci ulteriormente per fare indicizzare quei siti); per cui Google può essere lo strumento ideale per la ricerca di backlink.
Sappiamo ad esempio che article marketing e guest blog siano due strategie molto usate di link building, per cui, molto semplicemente, un primo footprint SEO per trovare facilmente siti disponibili a guest post potrebbe essere, rispettivamente:
article marketing
guest blog
oppure, meglio ancora:
article marketing italiano
guest blog italiano
Ovviamente queste sono solo stringhe di ricerca o query ordinarie, che rischiano di portarci su siti chiaramente generalisti che, in linea di massima, non sono il top in termini di prestazioni. Se il nostro sito è incentrato su un certo argomento (topic), pertanto, proviamo a stilare una lista di termini di ricerca correlati a quel topic: se ad esempio il topic è macchine da cucire, i termini di ricerca potrebbero essere ad esempi sinonimi, parole correlate, parole simili, mispelling e così via: {macchine per cucire, tagliacuci, …}
per cui andremo a cercare tutte le combinazioni possibili generate in precedenza:
article marketing macchine per cucire
guest blog macchine per cucire
article marketing tagliacuci
guest blog italiano tagliacuci
article marketing italiano macchine per cucire
guest blog italiano macchine per cucire
article marketing italiano tagliacuci
guest blog italiano tagliacuci
Ognuna di queste ricerche non farà altro che determinare una lista di siti a cui potremmo rivolgerci per fare article marketing o guest blog. Di fatto, questa strategia va sempre calibrata su come poi il link deve essere ottenuto, per cui tenete conto sempre del contesto e di come i link vengano richiesti (alcuni link potrebbero essere a pagamento e presentare dei rischi, altri potrebbero essere free ma di bassa qualità o inutili). Il senso è non rivolgerci a casaccio a tutti i siti che troviamo ed inviare a tutti la stessa richiesta, ma fare una cosa fondamentale per qualsiasi SEO abile e cioè:
capire come funziona il sito da cui vorremmo il link, prima di richiederne uno
Una volta che avete capito questo, non ci sono più limiti: i footprint si possono estendere da guest post a “forum italiano”, “blog”, “blog italiano” e via dicendo, ovviamente tenendo conto delle regole che sottostanno ad ogni tipo di sito: i forum non ammettono link building se non sotto determinati vincoli da seguire (dovrete postare almeno X thread prima di mettere un link, ad esempio), i blog della concorrenza non sempre saranno interessati o bendisposti nei confronti di link verso il vostro sito, e così via. In questo contesto, quando le ricerche iniziano a diventare troppe, i footprint si possono raffinare al fine di ridurre la presenza di siti di bassa qualità , oppure utilizzando parole chiave meno “spammose”.
Un esempio classico è legato a pattern di ricerca come:
guest post site:wordpress.org (che serve a cercare blog in WordPress gratuiti, quindi potenzialmente facili obiettivi di guest blogging, in cerca di collaborazioni)
collabora site:blogspot.it (che serve a cercare blog in Blogger in cerca di collaborazioni, utilizzando la parola “collabora” che spesso viene usata in favore dello “spammoso” guest blog o article marketing)
ma questi in molti casi reali non sono troppo interessanti per almeno due ragioni. Anzitutto, li conoscono tutti e ne abusano fin troppo; poi fanno parte di un modo di intendere la SEO un po’ rigido e, secondo la mia esperienza, spesso superato. In linea di massima, è possibile usare i footprint per limitare una qualsiasi ricerca ai siti in WordPress, tanto per dire, gestiti esclusivamente da amanti del web e non da professionisti. Questo può essere di grande aiuto per la link building per un discorso pratico: chi è disinteressato tende a concedere link più facilmente di chi, invece, ha interessi o addirittura vende link (anche se ovviamente spesso i confini tra un soggetto e l’altro si confondono).
è un footprint classico che viene usato in modo sia benefico che malevolo, per la verità : serve sia a trovare siti che interessano i SEO (i siti wordpress “piacciono” per una varietà di motivi) che per scovare siti in WordPress potenzialmente fallati (il che interessa gli esperti di sicurezza informatica). Direi non a caso, molti webmaster possono avere interesse o meno nel rimuovere questa dicitura.
Può essere interessante tracciare siti in WordPress che siano indirizzati su un certo argomento, ad esempio la SEO:
anche qui possono uscire fuori siti molto interessanti che normalmente sarebbero invisibili, e che per via della effettiva pertinenza o rilevanza, possono dare una grande mano (pertinenza dal gergo dell’Information Retrieval indica l’assonanza concettuale, la somiglianza oggettiva o assoluta di una pagina rispetto ad una ricerca; rilevanza è l’attinenza relativa, cioè soggettiva, di una pagina web rispetto ad una ricerca. Sono entrambi concetti che concorrono, a seconda dei casi e delle ricerche, a capire come Google formi i risultati di ricerca per garantire correttezza delle ricerche e, al tempo stesso, customer satisfaction).
Controindicazioni ovvie: se da un lato i footprint come quello appena visto aiutano a farsi trovare dagli interessati, dall’altro espone al rischio di comment spam, o di commenti automatizzati o maliziosi che vengono lasciati al solo scopo di beccarsi un backlink in ingresso al proprio sito.
Utilizzando l’operatore “-” di esclusione, senza virgolette, è possibile escludere determinati siti in blacklist dai risultati di ricerca, puntando così tutti gli altri che, per varie ragioni, non vi comparirebbero normalmente. Questo aiuta a filtrare molto bene sia escludendo termini (ad esempio apple -fruits) che escludendo siti che non volete far comparire nei risultati, e da cui non vorreste mai prendere backlink (ad esempio perchè compaiono più volte o spammano a loro volta).
Esempio, cercare solo siti che trattano di SEO ad esclusione dei “soliti noti”:
SEO -site:sitocattivo.it -site:altrositocattivo.website -site:sitocompetitor.net -site:sitospammone.org
I risultati possono cambiare sensibilmente anche giorno dopo giorno, in questi casi, per cui è bene tenere sempre gli occhi aperti nei confronti delle link opportunity. Questo operatore sembra banale ma, se avete una blacklist consistente, può letteralmente aprirvi un mondo.
Attenzione (3): inutile considerare footprint in inglese, fighissimi e copiati magari dai fighissimi blog SEO americani, se poi il sito è a malapena in lingua italiana.
Slegatevi dall’idea di trovare la corrispondenza esatta della parola chiave: per cui per trovare backlink per il nostro sito potete considerare anche ricerche meno ovvie, a cui magari non tutti possono aver pensato, del tipo tutorial categoria-prodotto, miglior nome-prodotto, categoria-prodotto economico e così via.
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