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Come funziona Google: cosa vuol dire “intento dell’utente” (user intent)

Google ne ha fatta di strada, e questo è fuori di dubbio soprattutto per chi ne segue le incredibili evoluzioni tecnologiche fin dal 1997. Quando i due fondatori di Google (Page e Brin), sul fine degli anni 90, misero mano al progetto BackRub, non potevano immaginare che sarebbe diventato una forma di Google “embrionale” così come lo conosciamo oggi.

Di fatto, Page e Brin avevano basato il funzionamento di quel primo motore di ricerca su un semplice calcolo ricorsivo – il PageRank, che si chiama così per via del nome di uno dei due e, incidentalmente, perchè Page potrebbe fare riferimento ad una web page.

Dalle origini al PageRank

In maniera aritmetica e relativamente semplice da calcolare, il PR era in grado di tenere conto del numero di link in ingresso ad ogni singola pagina web, e questo (almeno all’inizio, e per un po’ di anni) fu considerato un indicatore del “grado” di ranking guadagnato da ogni sito. Più citazioni esterne (backlink) riceveva una pagina, in sostanza, meglio riusciva a posizionarsi, sulla falsariga del meccanismo che attribuisce maggiore credibilità  alle pubblicazioni accademiche che vengono più citate da riviste influenti (un settore in cui i dottoranti Page e Brin si muovevano senza dubbio agevolmente).

Il problema è che, col tempo, Google si rese conto che doveva far evolvere questo meccanismo, anche perchè i backlink erano fin troppo facili da falsare, e per agire in questa direzione ha inventato varie soluzioni: una, in particolare, sembrerebbe essersi rivelata efficace.

Google: nuovi criteri di ranking, sempre più evoluti

Col passare tempo, Google è passato per numerose evoluzioni successive, molte delle quali anche difficili da formalizzare e sostanzialmente protette da segreto industriale, che lo hanno reso il motore di ricerca più amato e diffuso fino ad oggi. Ad oggi, ciò che vediamo nei risultati di ricerca (SERP) non riflette solo il PageRank: riflette anche il comportamento dell’utente, gli analytics del sito, la qualità  (e non solo il numero) di backlink in ingresso, l’utilità  del testo, la sua strutturazione e la soddisfazione della cosiddetta search intent.

L’intento o le intenzioni dell’utente sono diventate un fattore di ranking a tutti gli effetti, il che offre un vantaggio enorme anche per Google: è una metrica attendibile, quasi impossibile da falsificare, al contrario dei backlink che vengono venduti e comprati ogni giorno e sono oggetto, da sempre, di un fiorente mercato.

La SEO ha sempre sguazzato alla grande in questo ambiente, ovviamente, tanto da diventare un vero e proprio lavoro inventato, se vogliamo, più o meno volontariamente da Google stessa. L’ottimizzazione per i motori di ricerca prevede infatti approcci e possibilità  di modifiche anche di entità  apparentemente microscopica, che possono poi (alla lunga e su larga scala) migliorare le prestazioni globali del nostro sito. E migliorare le prestazioni del sito non è solo un fatto di produrre HTML ordinato: è anche questione di rendersi comprensibili e di saper comunicare “via Google” con l’utente finale, che spesso non è nemmeno un tecnico.

Search intent: cos’è l’intento di una ricerca

Perchè le intenzioni dell’utente sono cosଠimportanti? Lo sono perchè, anzitutto, anche esse esprimono un voto “indiretto” ad una pagina: se, ad esempio, apro e chiudo subito un risultato in SERP, può essere indizio che quella pagina non mi serve, non è utile alla mia ricerca, è fuori tema oppure non funziona. Tutti fattori negativi, insomma, che possono farla scendere enormemente e richiedere interventi SEO complessi e, per forza di cose, in molti casi anche azzardati. Se al contrario ci rimango un po’ e magari clicco un link di una call to action, navigo nei correlati e cosଠvia, può essere indicato che la pagina web “meriti” di stare in quella posizione.

Un po’ di esempi pratici? Eccoli: se ad esempio uno stesse cercando “macbook usati” è plausibile che stia facendo questa ricerca con un intento commerciale, quindi possiamo provare a posizionare una pagina che effettivamente proponga quel tipo di prodotti. Se invece uno stesse cercando “macbook usati convengono” è già  un dubbio che ci è venuto in fase di acquisto: posso comunque provare a prendere visite da chi cerca questa frase scrivendo un articolo o una FAQ incentrata su questo argomento. Ovviamente la valutazione della search intent è rigorosamente soggettiva, e potrebbe non essere sempre e comunque applicabile.

Certo Google è un prodotto molto più raffinato di quanto le nostre analisi, anche le più elaborate, possa suggerire: sembra infatti che all’interno di Google operino svariati fattori di posizionamento, che non solo sono sconosciuto ma non è neanche detto che vengano applicati tutti indiscriminatamente per ogni ricerca. Se la SEO (Search Engine Optimization) è sempre stata un “puzzle tecnico” per smanettoni, oggi non sembra essere più cosà¬, ed il tutto assume una valenza più profonda, meno ovvia, tant’è che anche i tanto vituperati e sviliti copywriter, di fatto, dovrebbero essere consapevoli di poter fare la differenza scrivendo testi utili e di qualità  – ma soprattutto, utili alla ricerca che si sta effettuando.

A chi serve una lenzuolata di testo di 6000 parole se poi, alla fine, non si arriva mai alla “risposta” che quella ricerca vorrebbe esprimere?

L’idea fondante della search intent alla fine è semplice: dovresti creare un sito a vantaggio degli utenti, e qualsiasi ottimizzazione (nessuna esclusa) deve essere pensata per migliorare la sua esperienza utente. Ottimizzare un sito per i motori di ricerca significa, ad oggi, aiutare Google a comprendere e presentare al meglio i tuoi contenuti.

La keyword research è cambiata, di conseguenza

Le metriche in ballo sono tantissime, ed anche la keyword research sembra essere radicalmente cambiata in tal senso: “scegliersi” le parole chiave può avere senso per una campagna Google Ads, al limite (e neanche in tutti casi!), farlo nella SEO di oggi non ha alcun senso e va visto solo in modo puramente orientativo. Se ne facciano una ragione tutti quelli che ancora oggi costruiscono siti web basati sul keyword stuffing, perchè se oggi funziona tutto domani potrebbe non funzionare più, e questo va contro la stabilità  del business in gioco, in qualsiasi caso (almeno, secondo il mio modesto parere).

Soprattutto credo che non abbia più senso disperarsi se non si riesce a posizionare un sito per una specifica parola chiave: si possono trovare vie alternative usando parole chiave diverse, più funzionali e spesso “migliori” in tutti i sensi (incluso quello di una competizione sensata) di quelle che ci eravamo, spesso monoliticamente, prefissati. I SEO dovrebbero diventare molto più flessibili, in effetti, e su questo ho pochissimi dubbi perchè si lavora meglio e ci sono più margini per farlo.

Se vogliamo capire davvero l’intento di un utente, possiamo spulciare le linee guida per chi valuta la ricerca e la qualità , i cosiddetti quality rater; di per sè, ovviamente NON si tratta di “criteri da seguire per garantire il posizionamento su Google”. Si tratta semmai di criteri che è bene sapere che esistono, e tenerne conto quando pubblichiamo o revisioniamo le pagine dei nostri siti in modo “SEO oriented” e moderno, soprattutto. Gli intenti dell’utente si possono dividere nei seguenti gruppi “orientativi”, per cosଠdire.

Ricerche informazionali: know

In questa prima accezione chi cerca vuole saperne di più, come nel caso di chi cerca se i macbook usati siano convenienti o meno: i dubbi sono sulla durevolezza, sul fatto che il gioco valga la candela, se i soldi siano ben spesi. In questo i copywriter hanno campo libero, perchè se riescono a rispondere alle giuste “domande” implicite poste dalla ricerca il testo, alla lunga (ed assieme a molti altri fattori) sarà  quasi certamente premiato da Google.

Vale anche la pena di ricordare che non tutte le “domande” che facciamo a Google sono univoche ed assimilabili a query know: se ad esempio cercassi se valga la pena investire in bitcoin, difficilmente troverei una risposta univoca e assoluta a questo quesito, che quindi NON rientrerebbe nel gruppo.

Ricerche informazionali: do e device

Le ricerche di tipo do riguardano quelle relative ad utenti che sono su Google per fare qualcosa, per esempio “giochi per ragazze”, “test di personalità “, “Shining in streaming” e cosଠvia. Rientrano in questa classificazione le query cosiddette Device, che si traducono in richieste a Google per “fare qualcosa via smartphone”: una telefonata, un SMS, e cosଠvia.

Ricerche informazionali: website

Qui è abbastanza ovvio di cosa parliamo: gli utenti che cercano il nome di un sito specifico, come ad esempio facebook, intendendo www.facebook.com. Google è in grado di raccogliere e catalogare quasi tutte queste variazioni, che quindi ricondurranno ad un sito ufficiale come primo risultato ed una varietà  di pagine informative su quel sito di seguito. Il CTR è teoricamente quasi tutti incentrato sul primo risultato, di solito, anche se poi succede un curioso effetto collaterale: pagine web che si posizionano per query di tipo website finiscono a volte per “gonfiare” (più o meno involontariamente) le metriche SEO dei rispettivi domini, e parlo ad esempio della ZA o della DA (cosa che, secondo me, non dovrebbero fare).

Ricerche informazionali: visit-in-person / user location

RIcadono in questa casistica le ricerche local, cioè quando ad esempio cerco un ristorante messicano nel mio quartiere usando la geolocalizzazione. Viene anche introdotta la possibilità  che si voglia cercare un qualcosa con accezione visit-in-person: per capire la sfumatura basti pensare ad un utente che voglia vedere un film. Posso voler andare al cinema a vederlo (quando saranno aperti, si spera presto), oppure posso acconterarmi di vederlo su Netflix: nel primo caso è una visita-di-persona, nel secondo no.

In questi casi l’ottimizzazione lato SEO è incentrata sulla parte mobile del sito, assicurandosi che la pagina sia perfettamente fruibile e funzionante (oltre che veloce, sbrigativamente parlando abilitando AMP) da mobile, luogo da cui arrivano questo tipo di ricerche.

Ricerche informazionali: multiple user intent

In quest’ultima casistica ricadono le ricerche che possiedano valenza multipla, ovvero più di un significato. Decidere quale significato associare a quale ricerca è compito, abbastanza prevedibilmente, dei quality rater.

Risultati zero

Ci sono alcune ricerche per cui, ad esempio, una risposta secca e diretta funziona meglio di qualsiasi lenzuolata di testo ogni SEO “old school” possa immaginare o concepire. Risposta ovviamente presuppone che uno stia provando a fornire il testo di una pagina web che risponde ad una specifica domanda, ovvero la query dell’utente. L’esigenza primaria dell’utente è quella di avere una risposta immediata, che si traduce nel fatto che possono essere ottimizzazioni “zero click“, nel senso che nessuno ci clicca perchè trova già  la risposta ben esposta e copia-incollabile senza entrare nel sito.

Un esempio di risultato in posizione zero è, ad esempio, tratta dal nostro sito. Puoi approfondire questo argomento nella nostra guida su come ottenere la posizione zero.

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