Tag: Mondo Marketing 🌪

  • Guida pratica al viral marketing ed ai suoi miti

    Guida pratica al viral marketing ed ai suoi miti

    La parola virale è spesso sulla bocca degli addetti ai lavori: quando sentiamo dire, ad esempio, che un articolo è diventato virale significa che è molto visitato, ha avuto molto successo sui social e via dicendo. Ma da dove deriva l’uso di questo termine, che oggi (in tempi di pandemia) potrebbe addirittura fare più paura del dovuto?

    Più o meno da fine anni ’90, in ambito internet, sentiamo parlare di viral marketing con riferimento a quelle campagne pubblicitarie, che si diffondono grazie alla condivisione spontanea da parte degli utenti su forum, community, social network e così via. Il termine, di per sè, possiede una certa dose di fascino comunicativo implicito: in effetti quando fu coniato (non è molto sicuro chi fu il primo a farlo, ma il primo uso attestato non sembra da attribuire, come fanno moltissimi, nè a Seth Godin nè tantomeno a Draper Fisher Jurvetson) sembra che fu relativo al lancio della nuova console di gioco PlayStation nel 1995, da parte di Lorrain Ketch e Fred Satler, che secondo loro sarebbe diventata virale. Quando venne introdotta nel linguaggio comune, faceva riferimento ad una diffusione di un prodotto su larga scala, quasi come un’infezione che si propaga senza limiti e, dal punto di vista di chi ne gode dei vantaggi, senza dover fare o spendere specificatamente nulla. Alla base del prodotto, ovviamente, c’era reale innovazione, qualità  e vantaggi per l’utente: ed è così, e solo così, che un qualcosa diventa virale sul serio (o ha un minimo di possibilità  di diventarlo).

    La viralità si può davvero comprare?

    La “viralità “, in questi termini, è stata accalappiata da agenzie di comunicazione e web agency (italiane e non solo) per cercare di distinguersi dalla massa di concorrenti, ed arrivando a “venderla” come se fosse un prodotto. Un esempio? Ho bisogno di visibilità  per il mio e-commerce, compro viralità  e risolvo il mio problema, magari creando, per dire, video virali. È assurdo: che ci crediate o meno, ci sono addirittura tutorial come questi che spiegano come rendere virale un video.

    Con questo articolo, pertanto, mi piacerebbe chiarire una cosa che è rientrata in parecchie discussioni in passato, e che riguarda un’idea molto amata (a ragione) da marketer e clienti di ogni tipo: il viral marketing. Un effetto prodotto da una molteplicità  di fattori che porta le persone a condividere, cioè a rendere “virale”, un contenuto sul web, tipicamente sfruttando social news e soprattutto social network.

    No, il viral non si vende (mentre i pomodori si possono comprare al supermercato)

    Senza voler tirare in ballo link che si rivelerebbero quasi certamente imprecisi, diciamo che l’idea viral, di video viral o contenuto virale, si sviluppa e si formalizza grazie a due libri che considero fondamentali per il marketing online:

    1. Seth Godin: Unleashing the ideavirus, del 2001
    2. Bernard Cova, Alex Giordano, Mirko Pallera: Marketing non-convenzionale, del 2008

    Questi due libri fanno parte del background a cui faccio personalmente riferimento per trattare l’argomento, soprattutto da quando mi è capitato di leggere articoli sulle strategie, regole e tecniche per rendere un contenuto virale.

    Possiamo vendere una “consulenza virale”?

    Andiamo da un cliente e gli diciamo: che problema c’è? Ti faccio diventare viral e passano tutte le tue paure, rientri nell’investimento, guadagni e siamo tutti felici. No, non credo affatto che possano esistere questo genere di approccio (che, nonostante tutto, in alcuni casi viene addirittura venduto come servizio) per lo stesso motivo per cui è impossibile creare strategie “di successo”, e perchè detta ancora più semplicemente nessuno è in grado di prevedere il futuro. Per quanto, poi, le statistiche in mano a molti facciano diventare vari imprenditori parecchio presuntuosi, facendoli partire dall’assunto che “se ha funzionato per il competitor, funziona anche per me, lo copio ed è fatta“. Il che poi poi evolve in idee “geniali” come:

    realizziamo “cose” viral!

    Mi viene spesso obiettato, a questo punto, che esista gente in grado di riprodurre quell’effetto virale solo perchè è stato in grado di farlo in passato: nessun dubbio sul fatto che ci siano riusciti, ma (facendo un parallelismo calcistico) se un attaccante ha segnato 90 gol fino ad oggi – numeri al di sopra della media, per intenderci – non è affatto scontato che riesca a segnare il novantunesimo quando piace a noi o “a comando” in qualsiasi circostanza.

    Soprattutto, chi vende viral in questi termini non considera, secondo me, che il contesto cambia, e che non è detto che una campagna effettivamente viral della Nike (per esempio) non sia per forza di cose applicabile alle piccole PMI, ad esempio.

    “virale” è un effetto, non una causa

    La viralità  di un contenuto, parlando in termini semplificati, è un effetto (non una causa come ingenuamente molti credono) che deriva dal contenuto, o meglio dalla sua capacità  di diffondersi, di solito per motivi puramente emozionali o di pancia (il content is king va a farsi friggere), spesso legato ad aspetti appetibili o del tutto morbosi. Secondo un’efficace sintesi di Gagliardini, ad esempio

    i video virali non nascono a tavolino e non è possibile stabilire a priori quanto un video sarà  apprezzato e condiviso in rete.

    Resta da considerare l’aspetto legato al contesto: per incrementare il numero di link in ingresso, ci sono settori commerciali e nicchie di siti che vivono parecchio di viralità , e che fanno i conti ogni giorno con campagne di marketing controverse e provocatorie.

  • Errore del server (5xx): cosa significa in Google Search Console (e come risolverlo)

    Errore del server (5xx): cosa significa in Google Search Console (e come risolverlo)

    L’errore 5xx (che significa: errore con codice generale 5, quindi lato server, e altre due cifre xx generiche) raggruppa una serie di errori lato server di tipo molto generale, che sono stati riscontrati,nello specifico, durante la fase di scansione del sito da parte di Google.

    Cosa significa che Google ha rilevato un errore di questo tipo? Molte cose: ad esempio che in un certo momento il server del sito non era raggiungibile e quindi Search Console ce lo notifica. Se gli errori sul sito aumentano o restano costanti nel tempo la cosa è rilevante e va analizzata, mentre altri errori 5xx possono essere di natura temporanea. Esempio di errori costanti o in aumento nel tempo, che andrebbero capiti e trattati:

     

    Risolverli, di fatto, significa affrontare eventuali problemi tecnici all’interno del proprio sito, di entità differente, e riconducibili alle fasi di:

    • debug del sito
    • analisi dei log
    • conoscenza dei singoli sottocasi degli errori lato server più comuni, legati alla banda, ai permessi, agli errori nel codice, agli errori lato server NGINX o Apache oppure sul linguaggio PHP:

    Per maggiori informazioni si suggerisce di rivolgersi a consulenti tecnici specializzati.

  • Come creare un listino prezzi in WordPress?

    Come creare un listino prezzi in WordPress?

    La realizzazione di listini prezzi in WordPress è un’operazione che si può effettuare in più modi: tutto dipende anzitutto dal tipo di opzioni che stiamo utilizzando nel sito.

    Una prima soluzione può essere infatti quella di ricorrere a plugin che integrino la funzionalità , la seconda è invece legata ad estendere le funzionalità  del theme sfruttando una caratteristica già  disponibile, in caso, sul nostro theme. La prima opzione è più adatta per i principianti e da’ indubbiamente minori opzioni, mentre la seconda è adatta per i più esperti e permette di fare un po’ di tutto a livello di personalizzazioni.

    Se vogliamo sfruttare un plugin gratuito, le alternative non sono moltissime ma ci sono: possiamo sia installare Responsive Pricing Tables che il più generico (ma molto efficace secondo me) TablePress. Se il primo possiede tabelle responsive per i prezzi già  pronte all’uso, il secondo offre la possibilità  di inserire tabelle come snippet all’interno di qualsiasi post o pagina, il che rende i due plugin adatti anche per chi non sia uno sviluppatore WordPress o un utente troppo esperto. Una terza opzione è rappresentata a livello di plugin WP da Pricing Table, che offre pressappoco le stesse opzioni dei precedenti.

    In questi casi si tratta di tabelle prezzi editabili manualmente, che potrete aggiornare voi stessi dal backend e che lavorano bene a livello di “visuale”, soprattutto. Ci sono anche plugin a pagamento per i prezzi ma, a mio parere, non vale la pena prenderli in considerazione se non per esigenze molto particolari.

    Se poi – passo alla seconda opzione – stiamo lavorando su un theme fatto con Zurb (una buona alternativa a Bootstrap, per chi non lo sapesse), le sue pricing tables possono essere un’alternativa molto interessante, dato che già  danno tutto quello che serve (titolo, prezzi, descrizione, ecc.) e le tabelle saranno già  responsive. Anche Bootstrap offre delle tabelle prezzo già  pronte, che si possono mettere a punto sfruttando le indicazioni presenti su questo link di Bootsnipp.

    In questi due casi, chiaramente, sarà  necessario inserire i dati nelle tabelle via PHP sfruttando le primitive del codex di WordPress, a seconda dei casi, cosa che nel caso del plugin non è richiesta visto che i dati si possono inserire a mano dal backend. Se usiamo direttamente le opzioni del template, come in quest’ultimo caso, se decidessimo di inserire i dati staticamente nel codice dovremo poi aggiornare le tabelle manualmente in seguito.

    Photo by ReneS

  • Come guadagna Google, oggi

    Come guadagna Google, oggi

    Da quello che ne sappiamo, Google guadagna dalle pubblicità  online, ed è probabilmente una delle pochissime realtà  IT mondiali che riesce a basare interamente il proprio business su questo. Stando ai dati dettagliati di cui abbiamo notizia, del resto, emergono ulteriori dettagli interessanti.

    Secondo Statista, ad esempio, le entrate di Google nel 2019 erano di ben 160.74 miliardi di dollari, di cui ben 134.81 miliardi erano di pubblicità  (Google Ads / Google Adsense). Google Cloud, ovviamente, e Youtube sono una fetta consistente di quei guadagni, evidente segnale di un modello di business che funziona e continua, ovviamente, a funzionare in modo ottimale.

    Statistic: Annual revenue of Google from 2002 to 2019 (in billion U.S. dollars) | Statista
    Find more statistics at Statista

    Ad oggi, i dati sugli introiti di Google sono inerenti Google Alphabet, che – in tempi ancora più recenti – riporta 41.2 miliardi di dollari fatturati nel primo trimestre 2020. Di questi il 52% delle quote è occupato in realtà  da Google Cloud, il 33% dai servizi Youtube ed il resto da servizi vari. Di fatto i ricavi di Alphabet nel primo trimestre 2020 sono aumentati del 13% rispetto allo scorso anno.

    Alphabet ha riportato pertanto gli utili per il primo trimestre fiscale del 2020, inclusi ricavi per $ 41,2 miliardi, un utile netto di $ 6,8 miliardi e un utile per azione di $ 9,87 (rispetto ai ricavi per $ 36,3 miliardi, un utile netto di $ 8,3 miliardi e utili per quota di $ 11,90 nel primo trimestre del 2019). Con 33,8 miliardi di dollari, la pubblicità  di Google rappresentava l’82% delle entrate totali di Alphabet per il trimestre in questione. Dato l’impatto della pandemia globale Covid-19 sulla pubblicità , gli analisti stanno studiando i numeri di Alphabet per vedere quanto possa essere impattante sul business, ed ancora probabilmente è presto per dirlo.

    Per inciso, le sue azioni sono diminuite del 3% nel trading ordinario e del 7% nel trading after-hour. Si tratta quindi di un normale ed ovvio rallentamento nel primo trimestre, ma restiamo in attesa dei dati relativi al secondo per trarre delle conclusioni più precise.

    Alphabet ha anche aumentato il suo organico del 19% arrivando a ben 123.048 dipendenti nel primo trimestre 2020. Tuttavia, l’azienda sta rallentando le assunzioni, quindi il numero sarà  un altro da tenere d’occhio quest’anno.

    Google Cloud

    Google Cloud è una gigantesca fonte di guadagno per l’azienda, ed è spesso sottovalutata nei post di analisi degli introiti di Google. La divisione cloud di Google sta affrontando una dura battaglia contro i leader di mercato Amazon Web Services (AWS) e Microsoft Azure: questa parte include le entrate provenienti da Google Cloud Platform e da G Suite, rendendo complesso effettuare un confronto con altri provider di cloud pubblici. Google ha costantemente rimarcato, negli anni, che la crescita di Google Cloud tende ad essere più elevata della divisione cloud complessiva, il che significa che la crescita di G Suite è inferiore. Del resto anche Google Meet, il concorrente di Zoom per le videochiamate, sta crescendo molto rapidamente.

    I ricavi di Google Cloud nel primo trimestre 2020 hanno raggiunto $ 2,78 miliardi, in crescita del 52% rispetto a $ 1,83 miliardi nel primo trimestre del 2019.

    Youtube

    Lo scorso trimestre Alphabet ha anche iniziato a suddividere YouTube come elemento pubblicitario separato nelle sue entrate. Gli annunci di YouTube hanno portato $ 4,04 miliardi nel primo trimestre 2020, in crescita del 33% rispetto a $ 3,03 miliardi nel primo trimestre 2019. Vale la pena notare che Alphabet conta anche altre entrate non pubblicitarie per YouTube, che non sono incluse in questa cifra. La società  nasconde tali entrate nell’elemento pubblicitario “Google other”, che in questo trimestre è stato di $ 4,4 miliardi. Quel segmento include le vendite di hardware per dispositivi come Chromebook, telefoni Pixel e prodotti Nest (come gli altoparlanti intelligenti).

    Ci sono in realtà  molti altri progetti da considerare, che attualmente vivono sotto l’egida di Alphabet; Calico, CapitalG, DeepMind, GV, Google Fiber, Jigsaw, Loon, Makani, Sidewalk Labs, Verily, Waymo, Wing e X. Per la verità , in questi casi, si tratta spesso di progetti sperimentali per cui il modello di business non è necessariamente ovvio, e soprattutto non è detto che si tratti di pubblicità  secondo il modello Google Ads / Adsense.

  • Cos’è il CPA nel marketing

    Cos’è il CPA nel marketing

    Quando si parla di marketing (soprattutto sul web), e nell’ambito di una campagna pubblicitaria (advertising), il CPA rappresenta una quota di pagamento relativa alla finalizzazione di un’azione. CPA è un acronimo inglese che sta per Cost Per Action, ovvero costo per azione (spesso viene confuso con il Costo di Acquisizione che è una cosa leggermente diversa).

    Definizione CPA – Cost-Per-Action

    Indica il costo per una singola azione, come ad esempio il click su un banner con successivo raggiungimento di un obiettivo (action) che potrebbe essere: un acquisto online oppure l’iscrizione ad una newsletter.

    Esempio di CPA

    Il costo per azione medio, nello specifico, viene calcolato dividendo il costo complessivo delle conversioni (che indicano le azioni “di successo”, nette, reali, di vendita effettiva, senza considerare i fattori che possono inficiarlo: l’abbandono del carrello, l’utente che arriva nella landing page e chiude prima di concludere, ecc.) per il numero totale di conversioni, semplicemente. Un Cost Per Action (CPA) medio si può calcolare in modo abbastanza semplice: si ottiene dividendo il costo complessivo di un banner o di una campagna per il numero di azioni che sono state eseguite.

    Per azioni in questa sede intendiamo, a seconda dei casi:

    • un’iscrizione ad una newsletter;
    • un contatto preso via email (ad esempio con una campagna su Active Campaign);
    • una telefonata da parte di un potenziale cliente;
    • un acquisto in un negozio online.

    Se ad esempio spendessimo 170€ per una campagna su Google Ads e ci fossero 10 azioni da conteggiare, il CPA diventa chiaramente 170/10 = 17€. Se – per fare un altro esempio – un annuncio riceve tre conversioni, al costo di € 3,00 e € 6,00 rispettivamente, il CPA medio per tali conversioni è di (6+3)/3= 3€.

    Come guadagnare con il CPA

    CPA non è un “metodo” ma è soltanto una metrica di web marketing per misurare il successo di una campagna. In genere le campagne che convertono meglio si basano sull’ottimizzazione di vari fattori tra cui il CPA, che è un parametro utile anche per gli affiliati (affiliate marketing) al fine di valutare quali campagne promuovere nei propri siti.

    Il CPA diventa quindi una misura di quanto riuscite a convertire con il vostro sito o la vostra campagna.

    CPA sui programmi di affiliazione

    Il CPA target è un valore stabilito da te: in pratica tu decidi, in base a quanto vale per te una conversione – e questo può variare naturalmente da business a business – quanto vuoi spendere per acquisire un cliente.

    Nel caso dei programmi di affiliazione il funnel di conversione è tipicamente il seguente:

    1. utente apre una pagina web;
    2. utente vede un banner pubblicitario che gli interessa;
    3. clicca sul banner (non finisce qui, attenzione: il CPA indica un Costo per Azione, e l’azione è appena iniziata!);
    4. finisce in una landing page dell’inserzionista (la home del sito o una pagina dedicata);
    5. l’utente completa un acquisto, o esegue comunque l’azione (action) per cui è finalizzato il marketing;
    6. se tutto va come deve andare, l’affiliato riceve una percentuale su questa operazione (ad esempio: dal 2 al 10%).

    CPA su Google Adsense

    Nell’interfaccia di Google Adsense per i publisher viene mostrato un CPA medio, cioè una media tra più inserzioni raggruppate tra loro in base a vari criteri. Rappresenta quindi l’importo che, in media, ti verrebbe addebitato per ogni conversione generata da un certo annuncio pubblicato nel sito web.

    • Ad esempio,
    • Il CPA medio si basa sul CPA effettivo (l’importo reale che ti viene addebitato per una conversione generata dal tuo annuncio), che potrebbe essere diverso dal tuo CPA target (l’importo che hai definito come CPA medio desiderato se utilizzi le offerte basate su CPA target).
    • Per impostare un CPA medio target per tutte le campagne di un gruppo di campagne, puoi utilizzare i target di rendimento.

    CPA Target su Google Ads

    Se stai facendo pubblicità  al tuo brand con Google Ads puoi impostare il CPA target liberamente, ovvero stabilisci quanto vorresti spendere per acquisire un cliente. Se non converti nulla, può darsi tu debba provare ad aumentare questo parametro, oppure debba intervenire nella landing page per ottimizzarla.

    Foto di GraphicMama-team da Pixabay

  • Che cos’è il buzz marketing

    Che cos’è il buzz marketing

    Il buzz marketing è considerato una strategia di marketing non convenzionale che mira a generare discussioni e passaparola spontaneo intorno a un marchio, prodotto o servizio. Questa tecnica si basa sulla creazione di contenuti ed esperienze talmente coinvolgenti e interessanti da spingere i consumatori a parlarne con amici, familiari e sui social media.

    Pallera e Giordano, nel loro libro “Marketing non convenzionale”, citano diversi esempi di campagne di successo che utilizzano il buzz marketing. Un caso noto è quello di Red Bull, che con eventi come il Red Bull Stratos ha creato un’enorme quantità di buzz, rafforzando l’immagine del brand come audace e innovativo​ (Anobii)​.

    In sintesi, il buzz marketing è una tecnica potente e dinamica che, se implementata correttamente, può creare conversazioni significative e durature intorno a un marchio, portando a un aumento della visibilità, della fedeltà e, in ultima analisi, delle vendite.

    Caratteristiche del Buzz Marketing

    1. Autenticità: Le campagne devono apparire genuine e non costruite ad arte. I consumatori riescono a percepire facilmente la mancanza di autenticità, quindi è cruciale che il messaggio sia percepito come sincero.
    2. Creatività: È fondamentale ideare campagne originali e creative che catturino l’attenzione del pubblico.
    3. Coinvolgimento: Le persone devono sentirsi parte della narrazione del brand. La partecipazione attiva dei consumatori è essenziale per il successo del buzz marketing.
    4. Tempismo: Il momento giusto può fare la differenza. Le campagne devono essere lanciate in tempi in cui il pubblico è più ricettivo e incline a condividere.

    Strategie di Buzz Marketing

    • Eventi e Lanci di Prodotti: Organizzare eventi unici e memorabili o lanciare prodotti in modo spettacolare può creare un forte impatto e generare buzz.
    • Influencer e Ambasciatori del Marchio: Collaborare con influencer che hanno un’alta credibilità e un vasto seguito può amplificare il messaggio del brand.
    • Contenuti Virali: Creare contenuti che abbiano il potenziale di diventare virali, come video divertenti o storie coinvolgenti.
    • Engagement della Community: Coinvolgere attivamente la comunità del brand attraverso concorsi, sfide e attività interattive.

    Benefici del Buzz Marketing

    • Aumento della Consapevolezza del Brand: Il buzz marketing può aumentare significativamente la visibilità e la notorietà del marchio.
    • Costi Ridotti: Rispetto alla pubblicità tradizionale, il buzz marketing può essere più economico, sfruttando il passaparola e i contenuti generati dagli utenti.
    • Fidelizzazione dei Clienti: I clienti che partecipano a conversazioni autentiche e coinvolgenti tendono a sviluppare una maggiore fedeltà verso il brand.
    • Feedback e Miglioramento: Le discussioni generate forniscono preziosi feedback che possono essere utilizzati per migliorare prodotti e strategie.
  • Come usare Amazon Business: vantaggi e opportunità 

    Come usare Amazon Business: vantaggi e opportunità 

    Cos’è Amazon Business?

    Amazon Business è la sezione dedicata alle aziende con partita iva messa a disposizione da Amazon, il famoso negozio online dal quale è possibile acquistare qualsiasi genere di prodotto; si tratta di una possibilità  che in effetti molte aziende non conoscono abbastanza, per cui oggi dedicheremo un articolo di approfondimento sul tema.

    L’acquisto di prodotti dai fornitori, con la possibilità  di reperirlo ad un prezzo ragionevole o al miglior prezzo sul mercato, mediante Google o trovaprezzi non è semplice, come sappiamo: Amazon, per questo, cerca di dare una risposta unificata a questo genere di esigenza.

    Ma quali sono i vantaggi principali di Amazon per le aziende?

    Prezzi scontati per aziende

    In alcuni casi Amazon applica promozioni e sconti per le aziende, che non mette a disposizione per i privati (ad esempio sulle grosse forniture di prodotti): in questo si rivela ancora una volta un B2B (Business To Business) davvero all’avanguardia e decisamente interessante.

    Tracciamento degli acquisti

    Tutto quello che compriamo come aziende viene automaticamente messo in lista e reso facile da consultare per chi se ne occupa: le spese saranno così sempre sotto controllo mediante il sito.

    Fatturazione automatica

    I prodotti acquistati sono fatturati in automatico all’interno dell’evoluto sistema di Amazon, che si è adeguato anche alla fatturazione elettronica introdotta nel 2019: viene emessa in automatico (anche se non per tutti i prodotti) la fattura elettronica in formatoXML-PA, e vengono inviate come previsto per legge mediante il sistema di Interscambio alla casella PEC di posta elettronica certificata da noi indicata. Tutte le fatture sono scaricabili con un semplice click e, cosa molto comoda, sono leggibili in chiaro direttamente dal sito web di Amazon. Le fatture possono anche essere richieste manualmente, poi, nel caso in cui non fossero generate in automatico.

    Prodotti disponibili

    Sono disponibili tutti i prodotti che normalmente acquisteremmo da privati, e che possiamo anche con la nostra partita IVA senza alcuna limitazione.

    Sì, ma quanto costa?

    Qui arriva una buonissima notizia: Amazon Business non costa nulla, esattamente come quello per privati, e non c’è alcun limite sul fatturato minimo che sia necessario rispettare: si paga solo quello che si acquista.

    Quali aziende possono usare Amazon Business

    Tutte le aziende italiane con qualsiasi regime fiscale e in tutte le forme societarie più diffuse potrebbero essere interessate: dalle partite IVA di cooperative, SRL fino alle SPA ed i liberi professionisti o gli studi associati potrebbero avere interesse a fare uso di questo sistema per acquistare rapidamente i prodotti dai fornitori, con i vantaggi annessi e connessi descritti in precedenza.

    Convertire un account privato in account aziendale

    , è possibile convertire il proprio account privato in aziendale facendo accesso alsito ufficialeed effettuando l’operazione dal menù principale, ovvero andando su: Account e liste, Il mio account, Crea un account Amazon Business.

    Quali sono i vantaggi di Amazon Business

    Per registrarsi ad Amazon come azienda basta andare sul sito ufficiale e registrarsi con l’email aziendale, seguendo la procedura ordinaria comune anche per gli account privati: dopo aver confermato il proprio account, poi, bisognerà  fare richiesta di passare ad Amazon Business dal menu interno del sito, cliccando su Account e liste dal menù principale e seguendo le istruzioni che saranno fornite.

    Ecco la schermata per caire meglio come individuare il menù che ci serve: la voce che ci interessa è sotto Il mio account, precisamente Crea un account Amazon Business. La registrazione richiede pochi minuti e sarà  richiesto di inserire il numero di partita IVA dell’azienda per cui stiamo effettuando l’iscrizione, che dovrete quindi tenere a portata di mano. Nella sezione Informazioni sull’azienda, poi, ricordatevi di inserire la ragione sociale corretta, e non un nome di persona o il nome del dipartimento (ad es. commerciale).

  • Tra marketing e psicologia: il senso di “urgenza” e lo schiocco di dita

    Tra marketing e psicologia: il senso di “urgenza” e lo schiocco di dita

    Si dice spesso che il miglior marketing affondi le proprie motivazioni e radici nella psicologia umana, e ciò sicuramente è supportato da più fonti. Ma il senso di urgenza di cui molti marketer parlano e spesso si pregiano di aver realizzato le imprese più ardite, quanto è supportato dai fatti e dalla sostanza? Non sempre moltissimo, verrebbe da scrivere, tanto che ci ho ragionato un po’ e, dopo aver consultato qualche fonte, ho deciso di provare a riordinare le idee.

    Thanos e “senso di urgenza”: le leve psicologiche

    Come creare un senso di urgenza per convertire di più? Messa così la pratica è semplificata all’osso, probabilmente è fuorviante e parte da un presupposto errato, ovvero che sia possibile manipolare gli altri a propria volontà , con lo schiocco di dita reso celebre dal personaggio di Thanos e del Guanto dell’Infinito. Gli studi e le dissertazioni sul “senso di urgenza” sono numerosi, e spesso dimenticano un aspetto fondamentale quanto infido: l’urgenza, ad esempio, che è un termine che “mette pressione” solo al pensiero (a momenti), deve essere rivolta al pubblico di riferimento, non a sè stessi. Sembra ovvio a leggerla così, ma per molte persone non lo è, se considerate il volantino che ho intravisto e fotografato per strada l’altro ieri:

    Solo un esempio, naturalmente, di un tipo di comunicazione che denota “l’urgenza” di chi manda il messaggio, non certo di chi lo riceve o “ha bisogno” di un prodotto Y. L’urgenza, in sostanza, non dovrebbe essere ingenuamente auto-riflessiva (“ehi, IO ho bisogno di fare qualcosa SUBITO“), ma è, molto più sottilmente, indotta nel prossimo, magari con un condizionale per evitare gli assoluti che spesso, nella storia anche recente, hanno guastato il clima di armonia (“che ne diresti di fare X? Guarda che è fico, eh“).

    Dovrebbe essere scontato ma non lo è, secondo me, così come non è scontato quanto siano banali le argomentazioni sulle leve psicologiche inconsce che “guiderebbero” l’acquirente, il consumatore da sempre sogno erotico di qualsiasi reparto commerciale, con cui spesso finisce per provare tecniche di seduzione applicandole passivamente, senza rendersi conto di ingarbugliare la situazione ed ottenendo gli stessi risultati, in molti casi, che avrebbe ottenuto anche senza “farne uso”.   Cosa si fa per alimentare il senso di urgenza sul web è subito detto:

    • si mettono offerte “a tempo”, a cui pero’ ormai credono in pochi dato che, ad esempio, molte landing page impostano automaticamente una “pseudo-scadenza” per ogni visitatore che accalappiano, per cui se ti connetti da un dispositivo diverso due giorni dopo avrai la stessa, “irripetibile” offerta nuovamente resettata.
    • si fa keyword stuffing di termini abusati tra cui, ovviamente, denotanti scarsità  (ULTIMI POSTI DISPONIBILI) e urgenza (FALLO ORA CHE DOPO NON POTRAI), il che denota secondo me un marketing superato, troppo convinto del proprio essere quanto narcisistico ed auto-riferito;
    • Non si interviene sulla parte tecnologica, in molti casi, tanto più che molte landing page hanno carrelli non funzionanti e nessun supporto tecnico vero e proprio se non quello, purtroppo, dettato dalla mera improvvisazione.

    Il mio scetticismo su questo approccio è in parte dettato da esperienze negative, di fatto, a volte a diretto contatto con quegli staff che spesso si nascondono in paesi esotici, usano pseudonimi da guru e via dicendo. Quegli staff che vedono il guadagno personale ed il profitto come unica religione possibile, denotando non tanto sentimento capitalista (inevitabile, in questo frangente) quanto una certa miopia congenita.

    E fin quanto il marketing sarà  sinonimo di psicologia spicciola e iper-semplificata, purtroppo non sembra esserci un vero e proprio rimedio in merito.

    Foto di copertina: Creative Commons, alcuni diritti sono riservati a Brickset

  • SMS marketing: quando costa inviare SMS pubblicitari?

    SMS marketing: quando costa inviare SMS pubblicitari?

    L’uso degli SMS per inviare pubblicità  sembra essere una prospettiva interessante ancora oggi: nonostante le apparenze suggeriscano il contrario, e possano far sembrare che si tratti di un mezzo superato, bisogna ammettere che si tratta di un metodo di comunicazione molto utilizzato ancora oggi. Peraltro, se è vero che un messaggio su Telegram o Whatsapp potrebbe non essere visto o essere notato molto in ritardo, uno inviato via SMS viene letto mediante entro qualche minuto – tant’è che molte aziende ancora oggi ne fanno uso per questo motivo.

    Anche nell’epoca dei social network, del resto, l’invio della pubblicità  con SMS è rimasta una pratica consolidata e molto diffusa: il messaggio, in effetti, è una forma di comunicazione diretta con un potenziale cliente, ed è in grado di fornire un contatto davvero diretto (per non dire intimo) con l’interessato.   Quando si decide di fare SMS marketing, ad oggi, i costi dovrebbero comunque essere valutati anche in relazione a quando costerebbe fare la stessa cosa con Telegram o Whatsapp (quest’ultimo ha costi variabili non chiari dall’inizio: tendenzialmente sarebbe gratis, ma per uso massivo potrebbe essere che finisca per addebitarci dei costi). Andiamo quindi a vedere i costi dei singoli servizi, in media, per renderci conto da subito delle differenze e stabilire cosa convenga di più.

    Whatsapp BusinessGratuito per le aziende di piccola dimensione, prezzo su misura per le altreL’utente deve avere le notifiche di Whatsapp attive, potrebbe perdere di vista il nostro messaggio tra notifiche di gruppi e altri utenti.
    TelegramGratuitoL’utente deve avere le notifiche di Telegram attive
    Invio SMS pubblicitari0,06 € a messaggio (in media)Il messaggio viene letto più facilmente e probabilmente, visto che il mezzo viene utilizzato di meno.

    In linea di massima, quindi, l’invio di SMS potrebbe rivelarsi conveniente per la maggiorparte delle aziende: questo, anzitutto, perchè gli SMS vengono sicuramente utilizzati poco, oggi, ma sono supportati da qualsiasi telefono e pertanto possono essere utilizzati e visti più facilmente anche dalle fasce di utenti normalmente escluse (e che spesso potrebbero essere in target con il nostro business e disposte a spendere). Del resto se l’alternativa sono i classici volantini pubblicitari, si capisce facilmente come spendere pochi centesimi per inviare SMS in blocco, mediante comoda interfaccia web, possa diventare un’alternativa di livello.

    In genere gli SMS sono letti con tasso di apertura, secondo varie statistiche, superiore al 90%.

    Scopri i servizi più economici per inviare SMS

  • SEO: come posizionare le immagini su Google

    SEO: come posizionare le immagini su Google

    Tra i vari elementi di una pagina web che possono contribuire al suo posizionamento nei motori di ricerca, è bene considerare le immagini: un’arma a doppio taglio, per la verità , anche perchè non sempre potrebbe avere senso fare questa operazioni. A scopo di marketing o per soddisfare i nostri obiettivi di ROI, infatti, potrebbe avere più senso posizionare la pagina HTML del sito e non l’immagine – anche se esistono delle eccezioni da valutare caso per caso. Un’immagine, pur non essendo un testo e non possedendo ancora Google caratteristiche che permettano di leggere il testo nella stessa, può rappresentare una porta d’ingresso al sito “alternativa” e, quindi, un mezzo per ottenere più traffico.

    Senza contare che quest’anno, almeno da quello che suggerisce Google, le immagini potrebbero tornare ad avere un ruolo attivo nell’ottimizzazione dei siti sui motori di ricerca. Nel momento in cui inseriamo immagini nel nostro blog o sito aziendale, pertanto, è bene considerare alcuni punti chiave che, con il passare del tempo, possono realmente aiutare la web a risalire in termini di ranking su Google.

    Ottimizzare il nome del file

    L’immagine deve avere rilevanza rispetto al contenuto alla quale viene associata. Il nome del file ad essa associato deve anch’esso definire nel modo più preciso possibile il contenuto della foto. Un nome come marylin-manson.jpg è molto più efficace, ad esempio, di un nome come cantante-industrial-metal.jpg .

    Non vedetelo come una minaccia 🙂

    Dimensioni console dell’immagine

    Anche se non esistono prove che le dimensioni dell’immagine possano infuenzarne il posizionamento, esistono teorie che fanno preferire un massimo di 60 KBs ed una larghezza non superiore ai 500-800 px. Le immagini più leggere sembra siano preferite a quelle più pesanti.

    Formato dell’immagine

    Il miglior formato è senza dubbio il .jpg seguito dal .gif ed il .png; in ultimo si sta affermando anche in formato webp. Dalle ricerche di Google risulta che altri formati non ottengono un buon posizionamento.

    Valore dell’attributo “alt

    Si tratta del cosidetto testo alternativo associato all’immagine che state caricando nel sito web. Inserire un Alt Text associato all’immagine aiuta il motore di ricerca a restituire la nostra immagine come risultato per una determinata ricerca per parola chiave. L’Alt Text dovrebbe essere sempre chiaro, identificare con precisione il contenuto dell’immagine e privo di accenti e punteggiatura.

    Valore dell’attributo title

    Il title può essere importante indicarlo in funzione del lettore.Il title dice al lettore quello che mostra l’immagine (per intenderci, è quello che compare quando si passa il cursore del mouse sopra l’immagine stessa). Con tutti questi accorgimenti, non solo prepariamo le immagini affinchè siano ben posizionate attualmente, ma anche in vista di un futuro prossimo dove i principali motori di ricerca potrebbero applicare nuovi cambiamenti agli algoritmi.