àˆ curioso scoprire come la parola hack, da cui si fa comunemente derivare il termine hacker – a sua volta uno dei termini più abusati all’interno della stampa generalista per additare le colpe di qualsiasi cosa avvenga in ambito informatico che possa spaventare un minimo – disponga di una gamma di significati affini, quanto leggermente diversi in termini di contesto: to hack significa ad oggi violare un sistema informatico (accezione che deriva dall’uso più che dalla correttezza “originaria” della parola, per cui in effetti sarebbe più corretto usare il verbo to crack), ma hack vuol dire pure scribacchino da strapazzo (nel senso di giornalista scarso) e, naturalmente, tagliare con l’accetta: quest’ultima accezione fa riferimento a chi riesca ad fare a pezzi vari hardware o software al fine di estendere un sistema chiuso, ad esempio riutilizzando pezzi non previsti per quell’uso al fine di potenziare le funzionalità di un computer o di un dispositivo.
àˆ quello che hanno fatto un gruppo di informatici con un modello di Macbook Pro del 2018, a cui hanno aggiunto un touchscreen aggiungendo un semplice pezzo di hardware del costo di 1 dollaro. Gli schermi touch non sono infatti disponibili sui Macbook dell’epoca, e la cosa è abbastanza utile in certe circostanze anche considerando la diffusione degli schermi degli smartphone i quali sfruttano, tuttavia, una tecnologia diversa da quella degli schermi dei computer (in breve, e senza scendere in troppi dettagli, sono rivestite di una matrice di sensori). Come fare a trovare l’idea giusta per attivare un touchscreen su uno schermo che originariamente non supporta una funzionalità del genere?
Il risultato di questo piccolo capolavoro di informatica “artigianale” è riassunto all’interno di questa immagine:
Il principio su cui si basa tae micro.dispositivo è molto semplice, e sfrutta la rilevazione del riflesso sullo schermo: grazie ad un algoritmo specifico, si rileva la distanza tra dito e riflesso del dito lasciando il sistema nello stato HOVER, passando poi allo stato TOUCH nel momento in cui tale gap sia annullato.
Il principio alla base di Sistine è tutto qui: la superficie dello schermo, vista da un’angolazione opportuna, tende a sembrare lucida o riflettente, per cui sei in grado di “capire” se un dito stia toccando la superficie oppure no “ragionando” sul gap – ovvero la distanza – tra il riflesso ed il dito.
Viene a questo punto da chiedersi come sia fatto l’hardware da 1 dollaro che ha permesso questa piccola geniale innovazione, ed è qui che viene il bello: si tratta semplicemente, se ci fate caso, di un piccolo specchio. La rilevazione del touch avviene in sostanza mediante webcam integrata nel Macbook Pro, che rileva la situazione sullo schermo ed infine attiva il mouse “via touch” all’occorrenza.
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