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Bias cognitivi: cosa sono e da dove nascono

I bias cognitivi, noti anche come distorsioni cognitive o pregiudizi cognitivi, sono errori sistematici nel modo in cui le persone elaborano le informazioni e prendono decisioni. Questi bias possono influenzare il modo in cui percepiamo il mondo, giudichiamo le situazioni e interagiamo con gli altri. Sono il risultato di processi mentali automatici che spesso operano in modo subconscio e possono portare a conclusioni distorte o decisioni irrazionali.

È importante essere consapevoli dei bias cognitivi poiché possono influenzare le decisioni personali e professionali. Riconoscere questi bias è il primo passo per cercare di mitigarli e prendere decisioni più informate ed equilibrate.

Significato bias

L’etimologia di bias è sempre stata un aspetto intrigante: di per sè, pare non sia chiaro da dove derivi la parola. Per la Treccani lo fa derivare dal francese e provenzale antico biais, che significa obliquo e che poi diventa obliquo nel senso di inclinazione. Col passare del tempo, il significato di “bias” si è esteso per includere il concetto di inclinazione o pregiudizio verso una direzione o un punto di vista particolare. Il termine è stato quindi adottato in psicologia e nelle scienze sociali per riferirsi a una distorsione o a una tendenza nel pensiero o nel giudizio umano che influisce su come percepiamo o valutiamo le cose. In altre parole, un “bias” è una deviazione sistematica dai dati oggettivi o dall’obiettività dovuta a influenze personali, culturali o cognitive.

Storia della scoperta e degli studi sui bias

L’adozione del termine in ambito psicologico avviene nel 1972 e si deve ad Amos Tversky e Daniel Kahneman, quando poi quest’ultimo ha popolarizzato il termine nel suo saggio Pensieri lenti e veloci. L’aneddotica sui bias parte da alcune osservazioni sperimentali che sembrano contraddire la teoria dell’agente razionale, ovvero l’idea che gli operatori economici si muovano sulla base di principi di massima conoscenza e razionalità nelle proprie scelte, anche quando sono vitali o decisive. Tversky and Kahneman dimostrano, con una lunga serie di articoli, che il cervello umano funziona mediante criteri euristici (termine mutuato anche dall’informatica per descrivere algoritmi approssimati che sostituiscono alla meglio quelli esatti, qualora questi ultimi non siano stati o non si possano formulare), che poi saranno formalizzati in seguito come pensieri lenti (quelli che permettono di elaborare situazioni complesse) e pensieri veloci (quelli di cui necessitiamo spesso per sopravvivere, e che inducono spesso errori inconsci). I due studiosi, sfruttando concetti consolidati di psicologia e soprattutto di statistica, mostrarono come le euristiche applicate ai giudizi o alle decisioni introducano inevitabile rumore di fondo, inclusi errori madornali anche sistematici che, soprattutto, sono difficili da rilevare da parte di chi li commette. L’effetto Dunning-Krueger, ad esempio, sottolineava da tempo l’impossibilità umana di esporre capacità meta-cognitive, ovvero di saper giudicare la bontà del proprio comportamento in modo obiettivo.

La teoria psicologica sui bias è ampiamente diffusa in vari ambiti, al giorno d’oggi, dall’economia all’informatica (intelligenza artificiale), per quanto non venga universalmente accettata – Kahneman racconta nel suo libro dello psicologo Gary A. Klein, esponente della teoria NDM (Natural Decision Making), come uno dei suoi più fieri oppositori. Altri critici di Kahneman e Tversky  come Gigerenzer ad esempio – sostenevano che l’euristica non dovrebbe portarci a concepire il pensiero umano come necessariamente pieno di pregiudizi cognitivi irrazionali. Dovrebbero piuttosto concepire la razionalità come uno strumento adattivo, non identico alle regole della logica formale o del calcolo delle probabilità.  Il termine viene spesso abusato e usato come parola ombrello, in alcuni casi, ed è stato mutuato da certo web marketing per provare a immaginare, o addirittura controllare, le decisioni dei consumatori in ambito di scelta di prodotti e servizi.

Quali sono le 4 principali euristiche del pensiero

Le euristiche vanno intese in questo ambito come modalità di approssimazione del pensiero, che vengono attivate qualora sia indispensabile prendere decisioni eventualmente importanti o vitali in condizioni non ideali (pensiero veloce).

L’euristica della rappresentatività, ad esempio, è l’errore di pensiero tipico per cui associamo una persona ad un’immagine, tipicamente stereotipata: per estensione questa euristica riguarda la tendenza delle persone a giudicare la probabilità di un evento in base a quanto l’evento sembra rappresentativo o simile a un prototipo conosciuto. Il famoso problema di Linda illustra l’euristica della rappresentatività già 1983, in un celebre articolo dei due autori sulla fallacia della congiunzione, in cui veniva fornita ai partecipanti dell’esperimento una descrizione di una donna, dalla quale avrebbero dovuto dedurre quale ipotesia sia più plausibile:

Linda ha 31 anni, è single, è schietta e molto intelligente. Ha studiato filosofia. Da studentessa, si è profondamente interessata alle questioni di discriminazione e giustizia sociale ed ha anche partecipato a manifestazioni contro il nucleare.

Quale delle due ipotesi è più probabile?

  1. Linda è una cassiera di banca.
  2. Linda è una cassiera di banca e fa parte attivamente del movimento femminista.

La maggioranza sceglieva la risposta numero 2: il problema è che la probabilità a priori sbatte con questa possibilità, dato che numericamente parlano è plausibile che esistano più donne che sono cassiere di banca che non donne che siano femministe e cassiere di banca. La mente sembra pertanto fissarsi sui dettagli forniti dalla descrizione e opta per la scelta più intuitiva, quella suggerita dallo stereotipo, per quanto sia meno probabile dell’altra.

Detta in termini probabilistici, la probabilità della congiunzione di due eventi A e B non può essere mai superiore alla probabilità dei singoli eventi A e B, ovvero:

L’euristica della disponibilità riguarda la tendenza delle persone a valutare la frequenza o la probabilità di un evento basandosi su quanto sia facile ricordarlo. Gli eventi più vividi, recenti o emotivamente significativi sono più facilmente accessibili nella memoria, e quindi tendono a essere sopravvalutati nella stima delle probabilità. L’euristica dell’ancoraggio si riferisce al fenomeno in cui le persone fanno stime o giudizi basati su un “ancoraggio” o un valore di partenza. Questo ancoraggio può essere fornito da informazioni casuali o irrilevanti, ma tendiamo a essere influenzati da esso. Una volta stabilito un ancoraggio, le persone si allontanano spesso da esso, ma non abbastanza quanto dovrebbero per giungere a una stima accurata. L’euristica della simulazione, inoltre, riguarda la tendenza delle persone a stimare la probabilità di un evento futuro basandosi sulla facilità con cui possono immaginare o simulare mentalmente una sequenza di eventi che porterebbe a quell’evento. Eventi più facili da immaginare possono essere erroneamente ritenuti più probabili di quanto siano in realtà.

Lista dei bias cognitivi più noti

Ecco alcuni esempi comuni di bias cognitivi:

  1. Conferma di conferma: Questo bias si verifica quando tendiamo a cercare, interpretare e ricordare le informazioni in modo da confermare le nostre convinzioni preesistenti. Evitiamo informazioni che mettono in discussione le nostre opinioni e diamo peso eccessivo a quelle che le supportano.
  2. Bias di ancoraggio: Questo bias si verifica quando si fa affidamento eccessivo su una prima informazione (l'”ancoraggio”) quando si prendono decisioni successive. Anche se l’ancoraggio potrebbe essere irrilevante, può influenzare il processo decisionale.
  3. Bias di disponibilità: Questo bias si verifica quando tendiamo a sopravvalutare l’importanza di informazioni facilmente accessibili o ricordate recentemente, spesso a scapito di informazioni meno accessibili o meno recenti.
  4. Bias di attribuzione: Questo bias si verifica quando attribuiamo spiegazioni o cause a eventi in modo distorto. Ad esempio, possiamo attribuire i nostri successi a capacità personali, ma attribuire i fallimenti a fattori esterni.
  5. Bias di proiezione: Questo bias si verifica quando tendiamo a proiettare le nostre opinioni, sentimenti o atteggiamenti sugli altri, presumendo che pensino o sentano allo stesso modo.
  6. Bias (di sopravvalutazione) dell’ottimismo: Questo bias si verifica quando sopravvalutiamo le probabilità di risultati positivi e sottostimiamo le probabilità di risultati negativi, spesso basandoci su aspettative irrealisticamente ottimistiche.
  7. Bias di conformità: Questo bias si verifica quando siamo influenzati dalle opinioni o dal comportamento della maggioranza, spesso a scapito del nostro giudizio individuale.
  8. Bias di prossimità: Questo bias si verifica quando diamo maggiore peso alle informazioni o alle persone che sono fisicamente o emotivamente vicine a noi.
  9. Bias di Conferma: Questo bias si verifica quando le persone tendono a cercare, interpretare e ricordare le informazioni in modo da confermare le loro convinzioni preesistenti, ignorando o sottovalutando le informazioni che le contraddicono.
  10. Fallacia di Gabler: È la tendenza a sopravvalutare la probabilità che eventi poco comuni o straordinari accadano, spesso basandosi su esempi sensazionali o notizie mediatiche.
  11. Bias della Negatività: È la tendenza a dare maggiore peso alle informazioni negative o avverse rispetto a quelle positive, influenzando così il processo decisionale.
  12. Bias dello Status Quo: Questo bias comporta una preferenza per mantenere lo stato attuale delle cose, anche se un cambiamento potrebbe essere vantaggioso o razionale.
  13. Bias del Pavone: Si verifica quando le persone tendono a sovrastimare le loro abilità o qualità personali, spesso per cercare di impressionare gli altri.
  14. Illusione della Frequenza: Questo bias si manifesta quando le persone sopravvalutano la frequenza di eventi o situazioni che sono più facilmente ricordati o che attirano più attenzione.
  15. Bias del Presente: Le persone tendono a dare maggiore peso alle ricompense o alle conseguenze immediate rispetto a quelle future, anche se a lungo termine potrebbero essere più significative.
  16. Bias di Omissione: È la tendenza a considerare le azioni più gravi o dannose come peggiori delle omissioni, anche se possono causare risultati simili o peggiori.
  17. Bias d’Azione: Questo bias riguarda la preferenza per l’azione anziché l’inazione, anche quando la mancanza di azione potrebbe essere più razionale o vantaggiosa.

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