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Smartphone che ci spiano: ma fino a che punto?


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Periodicamente si ripresenta sui social e nelle discussioni tra amici il tema dei temi sulla sicurezza informatica: in molti casi l’argomento diventa anche social, oggetto di controversie e polarizzazioni di pareri in cui, alla fine, nessuno sembra davvero avere ragione. Proviamo quindi a chiederci cosa sia davvero plausibile, e cosa invece potrebbe essere solo fantasia, soprattutto oggi che la tecnologia è più allineata alle esigenze della popolazione e un po’ tutti, dal 2021, sanno cosa sia un QR Code. Il discorso è in parte legato, tra le altre cose, alla paura delle tecnologie o tecnofobia di cui avevamo discusso, qualche tempo fa, sul nostro blog.


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Parlare di un prodotto, e poi vedere pubblicità  di quel prodotto


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Proprio mentre il Garante per la privacy italiano vuole vederci chiaro sull’uso del microfono da parte degli smartphone, proviamo a capire un po’ meglio cosa ci sia dietro la sensazione, che a molti è capitato di avere, di parlare con qualcuno dell’ultimo prodotto della marca X, e poi vedere quel prodotto tra le pubblicità  di Instagram, ad esempio (a me ad es. è capitato con alcuni libri a cui avevo pensato e fatto delle ricerche).

Un esperimento ha provato che non è cosà¬

La società  di sicurezza informatica Wandera, nello specifico, aveva fatto un’analisi approfondita proprio in questo ambito, mediante un esperimento. Hanno in sostanza piazzato due smartphone (un Samsung ed un iPhone) dentro una stanza insonorizzata per 30 minuti, riproducendo in loop il suono della pubblicità  di cibo per animali.

I ricercatori hanno messo due telefoni – un telefono Samsung Android e un iPhone Apple – in una “sala audio”. Per 30 minuti hanno riprodotto in loop il suono della pubblicità  di cibo per cani e gatti. Hanno anche messo due telefoni identici in una stanza silenziosa, telefoni a cui erano stati volutamente accordati tutti i permessi (microfono, telecamera, ecc.) ad Instagram, Facebook e via dicendo. Poi i ricercatori hanno verificato le ads che apparivano su ogni telefono, analizzando anche l’uso della batteria (altro indizio fortemente incriminato e controverso, nei casi di potenziale pubblicità  invasiva). L’esperimento è stato ripetuto per tre giorni e non è stato notato nulla di anomalo o rilevante, in termini di ads mostrate, anche mettendo a confronto le performance nel caso in cui i telefoni venivano lasciati in una stanza completamente silente. Lo studio, peraltro, ha portato anche ad escludere la possibilità  che ci fosse qualche registrazione in corso, dato il consumo di banda sostanzialmente irrisorio. Ulteriori dettagli a riguardo sono disponibili nel sito della BBC che aveva discusso l’esperimento a suo tempo.

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L’effetto in questione, peraltro, potrebbe essere frutto di una distorsione cognitiva nota in psicologia come bias di frequenza, che tende a farci sovrastimare la persistenza di un oggetto o di un fenomeno, ad esempio perchè era la prima volta che lo vedevamo o perchè era la prima cosa che abbiamo visto nell’arco della giornata (recency bias). Ma allora è tutto falso?

Il mio smartphone può spiarmi con il microfono? Ascolta o no quello che dico? Molti esperti di sicurezza informatica concordano sul fatto che Facebook, Instagram e altri social e app spesso “incriminati” delle peggiori nefandezze spionistiche dispongano già  da tempo dei dati di cui hanno bisogno: senza bisogno di effettuare una vera e propria intercettazione ambientale, del resto (che costa tempo, rischi enormi per le aziende e costi IT non da poco), che renderebbe quelle app simili a veri e proprio malware, quelle app sanno già  ciò che gli diamo per farne uso, quindi i nostri dati personali, i nostri gusti e i nostri “like” e via dicendo. Esistono tecniche di data mining, del resto, che permettono di “dedurre” ciò che potrebbe piacere ai nostri utenti ragionando su quello a cui hanno messo mi piace e, prima che cadesse leggermente in disuso dopo vari più o meno recenti scandali, Facebook Ads ha prolificato su questo modello per molto tempo, e continua a farlo ancora adesso. Non aveva bisogno di sentire quello che diciamo col microfono: semplicemente, aveva già  tutto perchè ci aveva convinto, più o meno esplicitamente, a dire tutto o quasi su di noi.

La discussione sull’argomento è e rimane senza dubbio complessa, e non è nostra intenzione banalizzare o svilire le paure di ognuno di noi, che sono lecite nella misura in cui la conoscenza, il know how, ancora una volta, uniti ad una discreta dose di buonsenso, possono aiutarci a capire al meglio le tecnologie e ad averne meno paura di quanto sia davvero necessario.

 

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