àˆ passato circa un anno dalla sentenza del processo Google Spagna contro AEPD e Mario Costeja Gonzà lez, che sancisce il diritto da parte degli utenti di richiedere ai motori di ricerca la rimozione di determinati risultati che li riguardano. Ciò serve a potenziare notevolmente il diritto di ogni persona di disporre in modo autonomo della propria immagine, cosa essenziale ad esempio nei casi di sexting avvenuti di recente, e che trovano purtroppo una certa emulazione anche nel nostro paese.
Non tutte le richieste, pero’, vengono accettate: Google si riserva un diritto di valutazione, basato sull’accurezza dei dati a disposizione e sulle possibili conseguenze in negativo che la rimozione potrebbe avere. Cosa che, se da un lato è comprensibile per evitare che si cancellino per sempre informazioni sensibili utili alla comunità , secondo alcuni è spoporzionato (Jimmy Wales di Wikipedia Google ha dichiarato pubblicamente che Google potrebbe considerarsi un arbitro della storia).
La pagina ufficiale relativa alla rimozione dai risultati di ricerca di Google ai sensi delle leggi europee sulla privacy riporta un singolare record per l’Italia: se la media di rimozioni si aggira sul 41%, per l’Italia questa percentuale si riduce al 28%. A quanto risulta, quantomeno al netto delle procedure evase completamente al momento attuale, su quasi 20.000 richieste di rimozione di oltre 66.000 URL relativi ad aziende, casi e personaggi italiani, 7 su 10 non verrebbero considerate.
Se è vero che ad esempio in Polonia non è stata accettata la richiesta di rimozione di articoli relativi ad un importante uomo d’affari che aveva fatto causa ad un giornale, mentre in Francia è stata negata una richiesta analoga da parte di un prete accusato di pedofilia, è stata invece accettata la richiesta di rimozione di un URL da parte di un imputato per un grave crimine che si è visto annullare la pena in appello. Questo giusto per capire che, contrariamente a ciò che si potrebbe pensare, la procedura di rimozione URL del diritto all’oblio non è affatto automatica, perchè deve essere l’utente a fornire tutte le informazioni necessarie a Google per poter procedere con l’effettiva eliminazione dei dati dai risultati di ricerca. Dati che, ricordiamo, vengono rimossi da Google ma possono comunque, per come funziona l’informatica, essere replicati altrove, su altri server o siti senza il permesso dell’autore: una volta che un dato finisce online, è molto difficile cancellarlo completamente.
In Italia, da cui sono pervenute 19.000 e passa richieste (contro le 52 mila francesi e le 43 mila tedesche in un anno) i casi sono piuttosto vari: tra i casi citati, molto dipende ad es. se i riferimenti da rimuovere sono relativi a reati molto vecchi, annullati o non veritieri. Una donna sposata con un uomo vittima di omicidio ha richiesto con successo a Google di rimuovere gli articoli dai risultati che riportavano il suo nome, cosଠcome è avvenuto con la vittima di un crimine avvenuto molti anni fa. Stessa cosa avvenuta nel caso di una persona che avrebbe chiesto a Google di rimuovere un link ad un sito che utilizzava una sua immagine auto-pubblicata, ed utilizzata senza permesso.
àˆ chiaro che, in casi del genere, le persone hanno dovuto dimostrare la propria identità ed eventualmente allegare dati ufficiali sul processo. Le cose sono state diverse, ad esempio, nel caso di richieste di rimozione di link ad articoli recenti su un arresto per reati finanziari effettivamente commessi, oppure una copia di un documento ufficiale pubblicato da un ente statale in cui venivano segnalati gli atti di frode commessi da una persona, che anch’essa si è vista negare la rimozione dai risultati di ricerca.
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