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  • Link building editoriale: che cos’è e come farla

    Link building editoriale: che cos’è e come farla

    Link building e SEO offpage: la guida pratica

    Nel campo dell’ottimizzazione per i motori di ricerca (Search Engine Optimization o SEO, in breve), la link building descrive azioni mirate, in ambito web, ad aumentare il numero e la qualità  dei link in entrata a una pagina web. Perchè venga fatto questo è subito detto: l’obiettivo è quello di posizionare siti web, ovvero migliorare il posizionamento su motori di ricerca di una certa pagina o sito.

    Il tutto considerando che il backlink assume da sempre, per Google e per Bing, una valenza di “voto”, concetto che a sua volta possiede diverse “gradazioni” e sfumature.

    Link building: che cos’è?

    La link building è il processo di creazione di collegamenti ipertestuali rilevanti (solitamente chiamati backlink o backlink, “link all’indietro” – ovvero da un sito esterno a vantaggio di quello destinazione – al fine di evidenziare che sono link di ritorno, oppure – ancora – “da altri domini, rivolti verso il nostro sito“). La link building possiede vari metodi per aumentare e migliorare il numero di backlink che puntano al nostro sito web, aumentando a sua volta la possibilità  che il sito web si posizioni in alto nei risultati dei motori di ricerca.

    La link building, cosa che troppi sottovalutano soprattutto in Italia al giorno d’oggi, è anche da considerarsi una tattica di web marketing per migliorare la brand awareness.

    A cosa serve la link building?

    Mediante link building è possibile, almeno nelle intenzioni, migliorare il posizionamento del proprio sito web su Google. Nella pratica non è detto che succeda, in quanto dipende da una varietà  di fattori in gioco che possono variare a seconda del sito, delle circostanze in cui è stato creato, del suo storico e così via.

    Non ci sono dati netti o inequivocabili a riguardo: dall’analisi dello storico di vari domini ben posizionati, utilizzando strumenti come SEMRush e Majestic SEO, emerge che la maggioranza dei domini ben posizionati possiede un buon numero di backlink di qualità  rivolti verso le sue pagine, con vari tipi di distribuzione di link destinazione, anchor text e densità  di backlink. L’analisi dello storico, pero’, presenta dei limiti: non è detto che sia un modello da imitare, e soprattutto non è detto che il passato ritorni ciclicamente e che basti imitare il modello di link building di un sito “vincente” per essere a nostra volta vincenti.

    Link building di qualità: come e perchè

    Il concetto di qualità  nella link building passa per due aspetti differenti tra di loro:

    1. da un lato la qualità  sintattica e semantica di quello che si pubblica, che non è un valore assoluto (con buona pace dei copywriter più oltranzisti in ascolto, ma un testo ben scritto non si posiziona bene solo perchè è ben scritto; molte SERP sono popolate da contenuti “scritti male” ed è purtroppo un dato di fatto)
    2. dall’altro, la strutturazione del markup HTML dell’articolo, quindi la forma del link (che dovrebbe essere “pulito” e senza attributi, a meno che non si sia concordato un rel=sponsored o simili), il fatto che HTML sia correttamente innestato, che siano presenti H1 e H2, che sia presente un title ed una meta description ben fatti, che siano presenti immagini e video se necessari al contenuto.

    Non esiste un concetto di link building di qualità  che prescinda da tutto come “valore assoluto”: dipende sempre dalla SERP di riferimento e da come tendono a lavorare i competitor meglio posizionati.

    Esempi di link building

    Se ad esempio otteniamo un backlink da una pagina Wikipedia, il “punteggio” che gli assegna Google potrebbe essere ad esempio 5. Un altro backlink da ansa.it potrebbe avere punteggio 8, ed un altro ancora (un blog poco curato e con poche visite) punteggio 3. Si tratta ovviamente soltanto di esempi ipotetici per rendere l’idea: la valutazione a priori del punteggio che Google attribuisce ad un backlink è difficile, tanto difficile che – nella pratica –   valgono soltanto le “previsioni” che alcuni tool SEO sono in grado di effettuare.

    E che, comunque, mai potranno sostituire la valutazione in loco fatta da un esperto SEO.

    Backlink: un concetto chiave

    Il genere il posizionamento dei siti web è molto complesso, e difficilmente si ottiene da un giorno all’altro semplicemente aggiungendo le varie combinazioni di parole chiave. Chi lavora con l’affiliate marketing, ad esempio, sa bene che i settori più remunerativi sono anche i più difficili da posizionare su Google, e questo comporta un lavoro maggiore che spesso, nella pratica, rischia anche di andare a vuoto e di essere inutile.

    Mediante link building è possibile aumentare i backlink del nostro sito, cioè i riferimenti esterni di altri portali che, in vari modi e con vari intenti, citano il   nostro sito. Questo non da’ garanzie di posizionamento ma serve, semmai, a migliorare il potenziale di un sito, in modo che possa avere maggiori opportunità  di posizionarsi su Google.

    Un backlink potrebbe essere, nei moltissimi casi possibili:

    1. un link di partnership, ad esempio un fornitore o un cliente che ci attribuisce in modo spontaneo una collaborazione diretta;
    2. un link all’interno di un forum, che risponde ad una domanda discussa (ad esempio: come fare una certa cosa, guarda come è spiegato qui – e mette il link ad una nostra FAQ)
    3. un guest post che inserisce una pagina del nostro sito come fonte, ad esempio se autorevole;
    4. il sito di un amico che ci inserisce un link, banalmente

    Ogni link va valutato nel contesto, Google è molto attenta al “valore” ed alla “malizia” dei backlink e bisogna stare attenti a non generalizzare nè eccedere. Quello che deve passare è che il backlink, preso singolarmente, vale poco o nulla: va sempre contestualizzato, e non soltanto rispetto alla anchor text ma anche nel contesto in cui viene inserito (ad esempio se da una pagina singola o da un widget, distribuendosi su tutte le pagine del sito). Google è sempre più abile a riconoscere i “pattern” manipolativi, quindi fate sempre massima attenzione a quali link fate inserire ai vostri collaboratori, oppure affidatevi ad un buon SEO.

    Link building e Google update: in che relazione stann?

    Periodicamente i Google Update aggiornano le SERP dei risultati di ricerca, e tendono a proporre nuovi criteri di valutazione; questi criteri sono raramente chiari e cristallini, ed il più delle volte vengono liberamente interpretati e “tradotti” dai SEO più in vista. Che poi questi ultimi non cedano ad iÈ nterpretazioni arbitrarie è tutto da stabilire: non meraviglierebbe sapere, ad esempio, che un SEO che non spinge tanto sulla link building venga a dirvi che la link building non serva a nulla perchè Google altrimenti ci penalizza.

    È tutto un meraviglioso gioco di paraculate varie ed eventuali, che poi si traduce nel fatto che Google, update dopo update, è sempre più bravo a riconoscere e penalizzare le link building fatte con maggiore ingenuità .

    Link cosiddetti “artificiali”

    I link artificiali sono backlink che vengono inseriti a mero scopo di posizionamento, tipicamente senza badare al contesto e considerati di “bassa qualità”. In genere i link artificiali possiedono una o più di queste caratteristiche, nella maggiorparte dei casi sono combinate tra di loro (queste caratteristiche, per la verità , se prese singolarmente rimangono all’interno di un contesto rischioso ma non per forza penalizzante):

    1. link con anchor text corrispondente ad una parola chiave per cui ci si sta posizionando;
    2. link sitewide ovvero pubblicati su tutte le pagine del sito linkante, ad esempio nel footer oppure mediante widget di WordPress;
    3. link che puntano più volte allo stesso sito con anchor text diverse;
    4. link contestualizzati in articoli che fanno keyword stuffing.

    La maggioranza dei rischi annessi alla link building sono legati a questo genere di link. Non tutte le nicchie di mercato sono “sensibili” allo stesso modo alla presenza di link di bassa qualità.

    Link naturali

    I link naturali sono quelli che avete guadagnato senza richiederli, ad esempio: scrivete un post sulle migliori pizzerie a Roma Tiburtina, ed un appassionato di pizze pubblica sul proprio blog qualche considerazione in merito citandovi come fonte. Oppure: sbufalate una leggenda urbana molto diffusa sul web, e venite citati come fonte autorevole da BUTAC (per esempio) oppure da Wikipedia.

    Link ibridi

    Sono backlink “via di mezzo” tra lo spirito di due o più link visti in precedenza, e sono plausibilmente la maggioranza dei backlink che trovate in giro.

    Link editoriali

    I link cosiddetti editoriali sono backlink acquisiti senza pagare nulla (o con la parvenza che non si sia pagato nulla per ottenerli), provenienti da siti web che fanno dei contenuti da leggere la propria strategia. Sul web trovate migliaia di siti web affamati di contenuti, ed i siti di news ed i blog rappresentano una sostanziale fetta di questi contenuti. Sulla carta, questo genere di backlink non devono essere richiesti dal proprietario, ma vengono attratti e generati spontaneamente per via della qualità  del prodotto o del servizio che viene linkato. Nella realtà , quasi tutte le realtà  editoriali più o meno affermate, e con i numeri adeguati a farlo, vende link a prezzi variabili nella forma di guest post.

    Link  intesi come risorse

    I resource link sono una categoria di backlink concessi ad un sito Web (o a una pagina Web specifica, mediante cosiddetti deep link) a mo’ di sezione “bibliografica” del sito sito, oppure in seguito a partnership o casi in cui sia comprovato il valore del partner. Alcuni esempi potrebbero essere le sezioni “link utili” presentati in una sezione apposita del sito linkante, che contengono link con anchor text di brand rivolti a siti analoghi, con similarità  oppure (e la cosa viene anche scritta chiaramente, a volte) “siti amici“.

    Se a livello di pertinenza possono essere considerati interessanti e promettenti per il posizionamento, latitano da altri punti di vista: tali liste di link dal punto di vista Google (ostico e misterioso come sempre) assumono un valore abbastanza dubbio, che è difficile da stimare caso per caso. Di fatto, sono link che i webmaster hanno richiesto almeno nel 50% dei casi (ad esempio: mi affilio ad un programma e chiedo un link come partner dal sito originale) e che si ritrovano ad avere senza aver chiesto nulla nell’altro 50% (esempio: un programma di affiliazione che linka i siti web degli affiliati più produttivi). Pertanto si tratta di un caso borderline, che può avere risvolti positivi e negativi e che, sicuramente, fa parte del gioco a cui avete deciso di giocare.

    Come fare la link building

    Per fare link building bisogna decidere una strategia (a chiave esatta, mista, a chiave brand, ecc.) e soprattutto trovare i siti disponibili a pubblicare backlink verso il vostro sito: si tratta di un investimento che può richiedere tempo, denaro, risorse ed è annesso (come qualsiasi altra iniziativa analoga) ad un rischio d’impresa.

    Per fare link building devi solitamente rivolgerti ad un link builder, che trovi facilmente sui social network oppure via email mediante appositi siti. In base allo storico del sito linkante, alla sua affidabilità  e ad altri fattori puoi trovare link da comprare direttamente da loro, per quanto questa operazione non sia ufficialmente ben vista da Google. Nonostante questo il mercato dei link è vivo e vegeto, e continua a sfornare proposte di pacchetti di ogni genere, sulla base delle necessità  dei singoli e preferibilmente sotto la supervisione di un SEO.

    Strategie comuni di link building

    Per quanto non esistano strategie da seguire in modo passivo o in modalità  “copia-incolla“, la migliore strategia in questo ambito rimane quella di distribuire i link nel tempo, senza ammassarli tutti nel breve periodo e facendo in modo che rientrino negli aggiornamenti dei siti linkanti “come se nulla fosse“. In questi termini, si eviteranno massimamente forzature di ogni tipo, e saranno ridotti al minimo di rischi.

    Ricapitolando, quindi:

    • una strategia serve a decidere quanti e quali link pubblicare;
    • le migliori strategie giocano sulla naturalezza del link, evitando link troppo sfacciati, poco credibili o comunque grossolani (es. migliori pizzerie tiburtina)
    • si presuppone che si sia fatta una buona keyword research per decidere su cosa pubblicare, che chiavi di ricerca usare e così via.

    Come valutare un backlink per la SEO

    I rischi della link building sono legati al fatto che, alla lunga, Google rilevi quei backlink come innaturali e finisca per penalizzare il sito che ha linkato oppure quello che ha ricevuto il backlink. In questi casi la risoluzione della penalizzazione è complessa e richiede, il più delle volte, la rimozione definitiva del backlink. Il sito penalizzato può essere anche blacklistato ed avere difficoltà  a posizionarsi anche dopo che i backlink sono stati rimossi.

    Per valutare un buon backlink e la sua eventuale acquisizione, si ricorre alle seguenti tecniche:

    • parametri SEO del dominio (ZA, DA, a volte il vecchio PR di Google, …);
    • età  del dominio linkante;
    • frequenza di pubblicazione del dominio linkante;
    • piano editoriale del dominio linkante;
    • traffico di Google Analytics e storico Search Console (se disponibili);
    • pertinenza degli argomenti del dominio rispetto a quelli del proprio sito (per quanto la cosa sia poco capita dai   più, non ha molto senso postare un link da un dominio che parla di dispositivi Apple verso un e-commerce di frutta e verdura, e questo anche se la ZA e simili del dominio è parecchio alta)

    Link building gratis (tecniche sbagliate)

    Sul web ci sono pagine ben posizionate per la parola link building che, paradossalmente, propinano un bel po’ di stupidate: al di là  della confusione che regna sovrana (esempio: una pagina di link building posizionata da anni cita come esempio principe una good practice molto usata in ambito SEO onsite, che è una cosa ben diversa dalla SEO offsite che è la link building!), altre di queste cose riguardano scopiazzature e traduzioni malintese da blog SEO anglofoni, di almeno 10 o 15 anni fa, che ancora raccontano le storielle sugli H1 usati per posizionare i siti ed altre amenità  simili.

    Di fatto, queste tecniche possono funzionare in alcuni frangenti (ad esempio: se c’è poca consapevolezza di quello che si fa da parte del link builder e del rispettivo fornitore), ma sono semplicemente disastrosi in altri. Vediamone un po’, in modo da evitarli al massimo.

    Chiedere link via email

    Questa è una tecnica molto “americana” che veniva spesso propinata da blog SEO in inglese fino a qualche tempo fa: si tratta di scrivere una mail al proprietario di un sito, fingendo interesse verso l’argomento trattato da un articolo ben posizionato e chiedendo cose del tipo “visto che sei ben posizionato su X ed io produco X / sono posizionato dietro di te su X, aggiungeresti un paragrafo con link permanente dofollow al mio sito“?)

    I più svegli (si fa per dire) seguono un template di email tradotto male (sulla falsariga di: “Caro Y, ho trovato il tuo articolo su X ed è very well written! Stavo pensando se potessi aggiungere un link al mio website”), ed in molti casi questi piccoli ciarlatani usano tecniche ulteriormente patetiche nel farlo: mettono nickname da pornostar o da consulenti navigati (spesso firmano le email con nomi di aziende SRL o LTD letteralmente inventate) per rendersi “credibili”, e farsi dare retta. Fuffa, e nient’altro, purtroppo! In media, queste trattative permettono di chiudere link a cifre poco più che simboliche, e in molti casi dietro queste trattative si nascondono reseller (rivenditori di backlink che poi rincarano col cliente finale, argomento sul quale andrebbe scritto un romanzo per svelare gli altarini che, per convenienza o ipocrisia, in Italia nessuno svela).

    È inutile sottolineare a questo punto che le cose non funzionano così: se chiedete un link in questi termini (a Roma si direbbe “poracciata“), in nove casi su dieci vi chiederanno il pagamento di una fee per farlo, oppure semplicemente vi manderanno a quel paese. Tra l’altro, in questi termini, rischiate di bruciarvi buona parte di backlink potenzialmente molto utili, visto che una volta che avrete fatto una richiesta del genere non potrete farne una seconda sempre per lo stesso sito. Purtroppo qui c’è una misconcezione ed un bias mentale molto subdolo: buona parte dei formatori ha insistito per anni con questa favola del “web verticale e paritario“, ma la brutale verità  è che per queste cose è quasi sempre una questione di soldi: le eccezioni che rendono applicabile questa regola ci sono, ovviamente, ma devono essere rilevate con cura, e non è chiaramente roba per tutti farlo.

    Quindi, nel dubbio, molto più efficace e coerente comprare link da professionisti.

    Linkare un competitor nella speranza di essere ricambiati

    Questa è una domanda che mi hanno fatto in moltissimi casi: se linko dal mio sito Repubblica.it ne avrò un vantaggio in termini SEO? La risposta è no, perchè la SEO funziona “al contrario” semmai (cioè se Repubblica linka il tuo sito, non viceversa!)

    Altra variante: se linko Repubblica.it posso aspettarmi di essere ricambiato da Repubblica? In teoria forse , ma sarebbe comunque uno scambio di link (vedi oltre) e la cosa assume contorni improbabili: perchè accada una cosa del genere bisognerebbe ragionare sui domini che vengono monitorati in termini di link analysis da SEO molto skillati, e la cosa non è così scontata come potrebbe sembrare (e non c’è modo di saperlo dall’esterno, soprattutto).

    Scambio di link

    In genere i link che hanno valore per la link building sono uni-direzionali (A linka B => se A è autorevole, conferisce valore a B) e non vale lo scambio (A linka B, B linka A) perchè in questo caso non è “chiaro”, se vogliamo, chi stia valorizzando cosa. Peraltro si tratta di una tecnica banalotta ed apertamente sconsigliata da Google e spesso fonte di potenziali penalizzazioni SEO.

    Link building gratis (tecniche corrette)

    Le seguenti tecniche, per quanto non sempre efficaci (dipende sempre dalla nicchia di riferimento e da come lavorano i tuoi competitor), sono invece formalmente più corrette.

    Guest post gratis

    Non sono un grande amante delle liste di guest gratuiti, e a volte mi chiedo se sia davvero nella volontà  dei proprietari di quei siti di mettere in pubblico questa opportunità . Fermo restando questo, questa lista rientra in una serie di siti web che potete usare per pubblicare guest post gratis: naturalmente l’opportunità  va saputa sfruttare, e non esiste garanzia di pubblicazione in nessun caso. Alcuni dei siti potrebbero non dare più l’opportunità  di pubblicare,visto che queste condizioni tendono a cambiare molto velocemente.

    DominioTempi di pubblicazione (stima)
    Medium.comImmediato (crea l’account e pubblica)
    OrarioContinuato.it3-6 giorni (inviare il post rispettando le norme redazionali, ed attendere la pubblicazione)
    OrarioContinuato.com3-6 giorni (inviare il post rispettando le norme redazionali, ed attendere la pubblicazione)
    Comunicati.net2-4 giorni (richiedere via sezione contatti)
    comunicativamente.com3-6 giorni (richiedere via sezione contatti)
    notizielampo.com
    diggita.com
    nellanotizia.net
    comunicatistampagratis.it
    www.comunicati.eu
    www.newsdelweb.it

    Guest post

    L’essenza più pura della link building, secondo i più: chiedete ad un blog di pubblicare un guest post e di linkarvi, ammesso che ovviamente sia d’accordo. Siamo in zona borderline, e bisogna saperlo fare: il rischio penalizzazioni è abbastanza alto, in caso di imperizia Google non perdona.La maggioranza di chi fa guest post lo fa in aperta incoscienza ed è fin troppo convinto (sbagliando) di saperla fare, soprattutto.

    Senza voler aggiungere troppo su un argomento abusatissimo come la compra-vendita di link, sappiate solo che alcuni blog (quasi tutti) pubblicano solo dietro pagamento di una fee (che riguarda tecnicamente la stesura dell’articolo e media anche il “valore” del dominio linkante).

    Farsi linkare dalle directory

    Viene considerata male da qualsiasi SEO che si rispetti, ma il web pullula di directory web che vivono e vegetano come fonti gratuite di link ancora oggi. In effetti su questo argomento nessuno dice la verità : le web directory sono completamente prive di senso se pensate oggi, visto che abbiamo motori di ricerca evolutissimi e una directory, di fatto, non risponde ad alcun search intent serio.

    Al tempo stesso le directory, pur non essendo uno strumento da professionisti, sono meno stupide di quello che possono sembrare: sono backlink gratuiti che sei comunque costretto a inserire in una categoria e contestualizzare, possiedono tempi di approvazione lunghi e sono soggette a moderazione (quindi sono link editoriali a tutti gli effetti) per cui, alla fine, sono fortemente contestuali ed in molti casi sono pure, tuttora, dofollow.

    Meglio comunque evitare le directory che impongono scambi di link e quelle a pagamento, in genere, perchè secondo me sono troppo rischiose entrambe.

    Link nei commenti del blog e nei forum

    Anche qui tecnica davvero molto grezza, ma incredibilmente efficace per portare traffico cheap al sito anche se poi il link è nel 99% dei casi nofollow (la distinzione tra dofollow e nofollow pare sia stata completamente abolita da Google, peraltro). I SEO usano questa tecnica raramente a proprio nome, e se fatta con la giusta malizia può portare una quantità  di traffico insperato per quanto, ragionando in termini di ranking, non sembra che la tecnica porti miglioramenti come posizionamento.

    Link da amici e parenti

    Altra cafonata degna di questo nome: vai da un amico che ha un sito e gli chiedi un backlink, e quello magari ti linka senza probelmi perchè gli sembra brutto non farlo, o magari perchè 15 anni prima ci aveva provato davanti a te con la ragazza che ti piaceva. Non sono link che fanno la differenza, questo lo darei quasi per certo, ma certo non è male metterli nel mucchio ed aspettare che portino qualche effettino più gradevole nel medio-lungo periodo in abbinamento a qualche link un pochino più serio, magari.

    Farsi linkare sulle community / Q/A ecc.

    Qui si rientra nelle tecniche pseudo-gratuite, in effetti: un bel link da un forum o da Quora.com non è difficile da ottenere, è difficile semmai contestualizzarlo e renderlo efficace. Potete anche provarci da soli, ovviamente, ma il rischio di “bruciarvi” malamente l’opportunità  è abbastanza alto.

    Broken links

    Anche qui una tecnica piuttosto avanzata che si articola in due fasi:

    1. cerchiamo link rotti o pagine 404 in giro per il web, magari su domini simili o a tema con il nostro;
    2. proponiamo ai webmaster o alla redazione di quei siti di correggere i link rotti con una risorsa equivalente proveniente dal nostro sito ed architettata ad hoc;
    3. backlink ottenuto già  contestuale e pronto all’uso 🙂

    Anche qui, riserve e attenzioni del caso: come nel caso della richiesta di link via email, il rischio di bruciarsi l’opportunità  è molto alto. Questo perchè la tecnica è un po’ l’uovo di Colombo, la conoscono un po’ tutti e, data la crescente sensibilità  in ambito SEO tra i non addetti ai lavori, il rischio che vi ridano in faccia e correggano il link senza aggiungere un bel nulla è piuttosto alto.

    Come sempre, bisogna saperlo fare, ed affidarsi a dei professionisti è spesso la cosa migliore da fare.

  • Guida pratica al greenwashing

    Guida pratica al greenwashing

    Il termine “greenwashing” è un neologismo che si riferisce a una pratica in cui un’azienda o un’organizzazione cerca di apparire ecologicamente responsabile e amica dell’ambiente attraverso la pubblicità e la comunicazione, anche se in realtà non ha adottato misure significative per ridurre il suo impatto ambientale o per sostenibilità. In altre parole, il greenwashing è una forma di marketing ingannevole che mira a far sembrare che un’azienda sia più ecologica di quanto realmente sia.

    Le aziende coinvolte nel greenwashing possono utilizzare varie strategie per creare questa falsa percezione di sostenibilità, come:

    1. Slogan o pubblicità ecologici: Utilizzare slogan, immagini o comunicazioni che suggeriscono un forte impegno per l’ambiente, anche se le azioni dell’azienda non lo riflettono.
    2. Etichettature fuorvianti: Applicare etichette o simboli ecologici su prodotti o confezioni senza una reale base ecologica o certificazione.
    3. Omissione di informazioni importanti: Non divulgare informazioni negative o impatti ambientali nocivi associati ai prodotti o alle operazioni dell’azienda.
    4. Promesse vaghe: Fare promesse vaghe o generiche sulla sostenibilità senza fornire dettagli o piani concreti per il miglioramento.
    5. Distorsione dei dati: Manipolare o presentare dati in modo ingannevole per far apparire l’azienda migliore dal punto di vista ambientale di quanto non sia.

    Il greenwashing è considerato una pratica disonesta e dannosa poiché può indurre i consumatori a fare scelte d’acquisto basate su false affermazioni ambientali e può ostacolare gli sforzi reali di sostenibilità. Molte organizzazioni e governi hanno sviluppato regolamentazioni e linee guida per combattere il greenwashing e garantire che le affermazioni ambientali siano accurate e verificabili. È importante per i consumatori essere consapevoli di questa pratica e cercare informazioni accurate e credibili sulla sostenibilità delle aziende e dei loro prodotti. Foto di Markus Spiske su Unsplash

  • Ricerca di parole chiave: come razionalizzare la Keyword Research

    Ricerca di parole chiave: come razionalizzare la Keyword Research

    Definizione parola chiave (keyword)

    Il termine “parola chiave“, riferito anche con la parola inglese keyword (che significa la stessa cosa, alla fine), fa riferimento ad una specifica parola “obiettivo” individuata dall’operatore o dal consulente durante il posizionamento sui motori di ricerca. In genere le parole chiave vengono analizzate, rilevate e raggruppate mediante i più importanti tool keyword disponibili sul mercato ad oggi, come quelli che sono stati segnali nell’articolo del sito amicidelweb.it.

    Nell’ambito della SEO (Search Engine Optimization, che significa Ottimizzazione per i Motori di Ricerca) e della SEA (Search Engine Advertising, ovvero il mondo di Google Ads e delle ricerche a pagamento, ovvero gli annunci di Google) le parole chiave hanno un’importanza fondamentale – soprattutto se sappiamo sceglierle con cura e determinare quelle ad elevata conversione, elevati lead o buon tasso di rientro dell’investimento (ROI). Se non lo facessimo, infatti, rischieremmo di ritrovarci in seria difficoltà , perchè a quel punto avremo portato traffico sul nostro sito che non serve a molto, che non converte o che, peggio di tutti, non arriva da visitatori realmente coerenti con i nostri obiettivi di marketing.

    Il significato di keyword pertanto può cambiare sulla base del contesto, per la verità :

    • durante una campagna a pagamento come Google Ads, le keyword sono le parole che sono state inserite all’interno della campagna;
    • quando invece si fa SEO, le keyword sono le parole per le quali si desidera posizionarsi su Google

    Come vengono interpretate le keyword dai motori

    Una definizione più precisa di keyword richiede la conoscenza del meccanismo di indicizzazione iniziale di una pagina HTML: data una pagina web, infatti, il motore durante la scansione individua le frasi e le parole più importanti all’interno del testo – secondo criteri sintattici e semantici non pubblici, i quali si possono basare, a loro volta, sul tipo di parole utilizzate, sull’analisi regressa di pagine web dello stesso tipo, sulla presenza di link interni o esterni e così via.

    Dall’analisi del testo della pagina vengono appunto indicizzate le parole più importanti, e tra queste si trovano spesso le keyword che vorremmo posizionare e che, con vari e complicatissimi criteri, vengono poi posizionati.

    Keyword prominence (“importanza” delle keyword)

    Le parole chiave più importanti o prominenti, come si dice in gergo, sono quelle che – nelle condizioni ideali, ovviamente – Google, Bing, DuckDuckGo o altri motori tenderanno a posizionare meglio, e a rendere più visibili.

    Nell’ambito di Google Ads, abbiamo due grandi gruppi di parole chiave:

    • le parole chiave con corrispondenza a frase: Con la corrispondenza a frase, puoi mostrare il tuo annuncio ai clienti che stanno cercando la tua parola chiave esatta e varianti simili precedute o seguite da una o più keyword. La corrispondenza a frase è più mirata della corrispondenza generica predefinita, ma leggermente più flessibile della corrispondenza esatta. Ti consente di avere un maggiore controllo sul grado di corrispondenza della parola chiave con il termine di ricerca in modo tale che l’annuncio venga pubblicato.
    • quelle con corrispondenza inversa, che ti consentono di escludere termini di ricerca dalle campagne e di concentrarti solo sulle parole chiave più significative per i clienti. Con un targeting più preciso hai la possibilità  di mostrare il tuo annuncio a utenti interessati e incrementare il ritorno sull’investimento (ROI).

    La grammatica delle parole chiave, in termini SEO e SEM, è definita generalmente in termini di ciò che si aspettano di leggere gli utenti, per trovare le risposte che cercano su Google: quindi il tutto in termine di pertinenza, al fine di valorizzare l’aspetto legato alla customer satisfaction.

    In genere, infine, la keyword prominence in ambito SEO è più vaga e contraddittoria, ma in genere fa riferimento ad esempio alla posizione della keyword stessa nel testo o nel title. Col tempo la prominence delle parole chiave si è andata un po’ diluendo, diventando spesso un concetto del tutto orientativo e da non rispettare troppo alla lettera.

    Coda lunga (per quelli bravi con l’inglese, long tail)

    Per risolvere il dilemma, e fermo restando che in nessun caso possiamo forzare Google a fare quello che ci piace, la coda lunga o long tail viene in aiuto: si tratta di un insieme di parole chiave che sono correlate, per così dire, alla keyword principale. La long tail lavora sulle specificità  da un lato (ad esempio su modelli di prodotto specifici) e sulle effettive ricerche degli utenti dall’altro (ad esempio quelle suggerite da Google mediante autocompletamento).

    Quindi, ad esempio, se la keyword principale fosse “hosting“, la sua coda lunga sarebbe composta da una serie di frasi lunghe che abbiano a che fare con l’hosting, quindi:

    hosting wordpress, hosting joomla, migliori hosting, hosting economici

    Insomma per generare la coda lunga associamo sia delle specificità  alla nostra parola chiave (il fatto che siano per WordPress, ad esempio) che delle qualità  desiderabili (il fatto che non costi uno sproposito), mettiamo insieme le cose ed ecco qui la nostra coda lunga.

    Il termine long tail è stato introdotto da Chris Anderson in un articolo del 2004 su Wired: faceva riferimento al numero di vendite, relativo ad un insieme di macro e micro-mercati, questi ultimi costituiti da prodotti specifici “di nicchia”, con i quali i big del mercato online come Amazon ed Ebay hanno costruito la propria fortuna: in questo ambito la vendita di pochi prodotti best seller molto popolari (area verde del grafico, tratto da Wikipedia), ma soprattutto un gran numero di prodotti meno conosciuti ed estremamente diversificati tra di loro (area gialla).

     

    In quest’ottica la long tail (in italiano: coda lunga) corrisponde al soddisfacimento dei bisogni di utenti specializzati – e qui rientra l’intento di ricerca o search intent – che già  sanno cosa desiderano nello specifico: per esempio, magliette personalizzate sulle quali poter scrivere o disegnare qualsiasi cosa, ad esempio, piuttosto che le classiche t-shirt di marca Adidas o Nike.

    Cosa significa keyword research?

    La keyword research è la ricerca di parole chiave utili ad effettuare l’ottimizzazione di un sito per i motori di ricerca (SEO). I criteri che la guidano possono essere sia qualitativi (valutare il search intent delle query, o il potenziale commerciale) che puramente quantitativi (ottimizzo per le key più popolari nella speranza di prendere traffico dai motori).

    Il più delle volte, si tratta di una combinazione ragionata dei due aspetti, nessuno esclude l’altro e soprattutto bisognerebbe guardarsi dalla keyword research troppo acritica o “meccanica”.

    LSI: come interviene nel discorso?

    Latent Semantic Indexing (in sigla LSI) è uno dei termini più citati, anche se impropriamente, nell’ambito della keyword research. Si tratta di una tecnica di elaborazione dei testi, sfruttata in molte branche dell’informatica, che secondo molti SEO viene usata anche da Google. Certo, è plausibile che Google faccia uso della LSI, e lo faccia nello specifico per costruire delle strutture dati che facilitino l’associazione tra keyword e ambito di appartenenza (per esempio, apple associato sia alla frutta che all’azienda di Cupertino).

    Senza scendere in dettagli che sarebbero inutilmente pesanti, la LSI viene sfruttata nella keyword research soprattutto per generare i sinonimi di una parola chiave. Usare i sinonimi aiuta, in un testo, per variegarlo e renderlo più elegante o efficace, ma anche per evitare di fare keyword stuffing (ripetere la stessa parola chiave molte volte perchè molti, ingenuamente, pensano che sia un modo per “convincere” Google a posizionarli meglio: la cosa tragicomida è che su alcune nicchie ancora oggi Google non ha preso contromisure, purtroppo).

    Per intenderci, quello che fanno strumenti come AnswerThePublic, per esempio per la chiave SEO che presenta sinonimi come indicato, ma anche parole correlate, parole simili, relazione nei modi più diversi e sempre contestualizzate alla nicchia di appartenenza (oppure al settore di mercato).

    Appare evidente che:

    1. la keyword research ci suggerisce quali pagine web creare nel nostro sito, e in alcuni casi addirittura il piano editoriale;
    2. non tutte le chiavi generate da questo tool sono sensate (alcune sono fuori tema, altre sono semplicemente errate e senza logica);
    3. l’alberatura ci potrebbe (a volte) suggerire quella che potrebbe essere la struttura del sito, in parte (ad esempio se volessi fare un blog verticale sulla SEO)

    Appare anche evidente che le variazioni della keyword sono spesso sulla coda lunga (parto dalla chiave X ed associo avverbi, preposizioni e quant’altro alla key principale), ma anche qui non tutto ha senso essere includerlo nella lista.

    Keyword research fatta bene: una breve guida passo-passo

    Ci sono una serie di incredibili equivoci e miti da sfatare sulla keyword research: il primo di questi riguarda il fatto che la keyword research debba essere effettuata come primo passo, quindi prima di pubblicare contenuti. Questo enorme totem attorno al quale molti SEO si radunano dogmaticamente è per certi versi didascalico, nel senso che è primariamente effettuato a scopo didattico. Nella pratica dell’ottimizzazione dei siti, infatti, la keyword research può intervenire in qualsiasi fase. Questo perchè è un processo auto-correttivo e da tarare volta per volta, quando il sito è online, perchè il rischio è quello di focalizzarsi troppo sulle parole chiave tralasciando tutto il resto.

    Conosco vari progetti web o consulenze – che probabilmente effettuerò nei prossimi mesi – che sono bloccate da tempo su questo aspetto: il che può anche andare bene, per carità , perchè lo scrupolo e la prudenza vanno bene, ma di fatto questa idea che la keyword research debba essere fatta come primo passo e poi basta, come se poi non si potesse fare più nulla, è sostanzialmente fuorviante. Se una key non ti interessa puoi comunque, infatti:

    • rimuovere le occorrenza della stessa nel sito;
    • sostituirla con un sinonimo della coda lunga, ad esempio;
    • cancellare e redirezionare le pagine web che le contenevano per non perdere traffico.

    Fatico a far capire ai miei clienti, del resto, che questa fase – secondo mito da sfatare – non rientra nella definizione di un puzzle da comporre; di una lista di 3000 parole chiave potrei non farmene nulla di utile, proprio perchè i dati vanno sempre trattati, scremati e messi a nudo nella loro spesso futile essenza. Keyword che sono infilate nello studio di un sito o nella sua pre-analisi senza considerare che, semplicemente, non verranno mai cercate da nessuno, e che mediano spesso la necessità  di “fare volume” per dare l’idea al cliente, magari, di stare facendo qualcosa.

    Filtrare il traffico inutile

    Molte consulenze che ho svolto con grande piacere e reciproca soddisfazione, sempre nella mia piccola esperienza, sono state incentrate su volumi di traffico che si sono ridotti, anzichè aumentare: ma questo in certi casi bene perchè, nello specifico, su certi siti arrivava traffico inutile. Classico esempio: local SEO su un’attività  che vorrebbe posizionarsi in tutta Italia, avendo magari varie filiali in varie città . La classica cosa che si fa è creare una landing page per ogni città , ad esempio, e seguire l’onda di creare più pagine per beccarsi più traffico che si può. Ma alla lunga, se questo va bene ed è frutto di una keyword research ragionata, tanto varrebbe lasciare solo le zone posizionate oppure, ancora meglio, filtrare quelle che davvero interessano al cliente. Il rischio infatti in questi casi è quello di:

    1. far credere che la keyword research possa “decidere” o condizionare Google nella scelta dei risultati;
    2. provocare sovraottimizzazioni o cannibalizzazioni del traffico (pagine che non vengono rankate perchè ce ne sono troppe simili e perchè la geolocalizzazione è accidentale o inesatta o non ben rilevata da Google, ad esempio).

    Ovviamente è il SEO che decide, nel suo piccolo, cosa sia “inutile” per un sito, e questo ovviamente mal si concilia con un sito ad esempio editoriale – per cui purchè arrivi traffico, è tutto ok: ma in quel caso, di fatto, la keyword research implicherebbe monitorare troppe chiavi, e a meno che uno non abbia un team specializzato diventa troppo complesso e i vantaggi, di fatto, sono surclassati dalla pratica (chi farà  mai l’operativo su 30.000 chiavi, da solo?)

    La keyword research è pertanto una sorta di “preventivo” sul traffico che ti arriverà , e se lo strutturi male o sulla base di quello che ti dice un tool (spesso acritico e poco realistico, essendo basato su stime grossolane, in molti casi) rischi di andare fuori strada. Al tempo stesso, è un passo importante che, lo ripeto fino allo sfinimento, può essere eseguito sia durante il progetto che all’inizio, quasi equivalentemente.

    La keyword research non deve mai diventare un vincolo

    Altro nodo critico, ma importantissimo da sfatare: la keyword research non dovrebbe mai diventare un vincolo: se non riesco a posizionarmi su X, devo avere la giusta flessibilità  mentale per switchare sulla chiave Y e K, ad esempio, che possono portarmi equivalenti benefici. Bloccare un progetto su una keyword research arbitraria o fatta male a monte è un errore molto comune, purtroppo, che andrebbe corretto in un’ottica più funzionale e – oso scrivere – flessibile, collaborativa o assertiva. Sì, le keyword potete toglierle e metterle nel sacco, nessuno lo vieta, e mai dimenticare che non funziona come Google Ads: non possiamo scegliere le parole chiave, perchè Google fa una serie di deduzioni a partire da come strutturiamo il sito, e a volte può essere dura convincerlo del contrario.

    Come scegliere la keyword migliore per la SEO: l’arte della keyword research

    In genere, lato SEO, la scelta della keyword viene effettuata sulla base di:

    • criteri soggettivi legati alle circostanze (la realtà  del prodotto, la sua efficacia commerciale, ecc.);
    • criteri oggettivi come quelli legati ai tool di suggerimento delle parole chiave: uno su tutti, keywordtool.io, oppure vi suggerisco di valutare gli strumenti che avevo suggerito all’inizio, da parte del sito amicidelweb.it.

    Ci sono casi in cui, ad esempio, la scelta della keyword da ottimizzare non è consigliabile o realistica: bisognerebbe – a mio avviso – fare i conti con la realtà  del nostro business e con la portata effettiva delle nostre capacità , perchè altrimenti il rischio è quello di illudersi o di andare fuori strada.

    Per quanto quel criterio sia indubbiamente valido, alla fine, in molti casi è preferibile (aridaje, lo ripeto ancora una volta, ma è davvero essenziale!) essere più elastici: fissarsi su una singola keyword ed ottimizzare solo quella, infatti, rischia di farci realizzare campagne che funzionano male, portano poco traffico e sono troppo focalizzate su un aspetto che, alla lunga, potrebbe portarci anche ad essere penalizzati per sovraottimizzazioni varie.

    Come fare una keyword research per principianti

    Una ricerca di parole chiave si può fare così:

    1. aprite il foglio con le parole chiave, oppure createne uno da zero;
    2. andate di brain storming o libera associazione di idee, e appuntate un po’ di possibili ricerche per cui vorreste posizionarsi: fatevi suggerire qualche key dai tool, leggete in giro sull’argomento del sito, parlatene coi vostri conoscenti, cercate su Google cosa hanno fatto i competitor, usate Google Trends; ogni idea è vagliabile e potenzialmente buona, e va verificato (più che la keyword difficulty ed altre metriche più o meno arbitrarie) SE QUALCUNO EFFETTIVAMENTE USI o STIA CERCANDO QUELLA PAROLA O QUELLA FRASE SCRITTA IN QUEL MODO (lo scrivo in maiuscolo contravvenendo qualsiasi netiquette, perchè è la regola base da usare per lavorare bene sul tema, secondo me);
    3. vagliate sempre con grande attenzione il search intent, cioè associate ad ogni chiave ciò che l’utente si aspetta di trovare; del resto, se riuscirete nel sito a dargli quello che vuole, è fatta! Se la search intent di una chiave è vaga o poco definitibile, conviene in genere scartare la keyword perchè potrebbe essere irrilevante;
    4. analizzate una ad una le chiavi, a più passate, e mentre le scorrete raggruppatele per tema, per attinenza, fino a formare delle “nuvole” raggruppate di ricerche;
    5. dopo aver razionalizzato la lista, avrete una lista di argomenti e key che possono, a seconda dei casi, essere distribuite nel sito: in modo manuale, in modo automatico, mediante articoli, FAQ, schede prodotto e via dicendo.
  • SEO: come fare le verifiche di indicizzazione di un sito web

    SEO: come fare le verifiche di indicizzazione di un sito web

    Inizieremo con questo articolo una serie di tutorial a tema SEO, argomento che interessa molti dei proprietari dei siti web e che, per chiarire alcuni dubbi, sarà  molto utile. Lo propongo in fase preliminare anche ai miei clienti, prima di iniziare la consulenza vera e propria che, in molti casi, è l’unica a portare risultati concreti in termini di conversioni, posizionamento sui motori e visite.

    Chiaramente questa guida è concepita per fare SEO a livello base: per aspetti più avanzati sarebbe opportuno rivolgersi ad un consulente preparato del settore. Premesso questo, passiamo ad analizzare come si può iniziare a pensare la SEO per il proprio sito, con quali obiettivi e con quali modalità , con l’impegno di mantenere il tutto molto semplice (anche più del necessario, per il momento).

    Oggi parliamo di: come verificare se un sito è indicizzato come si deve?

    Passo 1: il sito è indicizzato?

    Bisogna prima di tutto fare i conti con lo scenario attuale, analizzando la situazione del nostro sito che ammettiamo abbia l’indirizzo ilmiobelsito.it. Come primo passo, andiamo a controllare che sia correttamente indicizzato, ed osserviamo (sia pur “alla buona”) i risultati che vi appaiono, se sono coerenti, comprensibili e via dicendo.

    Per farlo, apriamo google.it e digitiamo la seguente query di ricerca:

    site:ilmiobelsito.it

    Ignoriamo l’annuncio che quasi certamente comparirà  nella casella in alto (almeno per adesso), e valutiamo 1) il numero di pagine indicizzate del sito (è il numero 3.520 nell’esempio) 2) il numero di pagina realmente presenti nel nostro sito.

    Screen 2015-07-07 alle 14.26.48

    Per verificare che tutte le pagine siano indicizzate, questo è un passo fondamentale: per fare questo calcolo, possiamo conteggiare ad esempio il numero di post del sito – ammesso che sia un blog in WordPress – unito a quello di pagine, e questo possiamo vederlo dall’interfaccia amministrativa del sito stesso.

    In questa sede è ragionevole “pretendere” che tutte le pagine del sito siano indicizzate in Google, cioè che il numero riportato nei risultati sia maggiore o uguale a quello delle pagine effettive (non inferiore, evidentemente). Nel mio blog ad esempio avevo 757 post e 14 pagine, per cui la somma (771) è inferiore al numero di pagine indicizzate: se fosse stato un numero maggiore di 3520, per intenderci, avrei dovuto dedurre che alcune pagine non fossero presenti nell’indice di Google.

    In questo caso non c’è da preoccuparsi, anche perchè sono evidentemente conteggiate le pagine delle categorie, degli archivi e dei tag, che WP genera automaticamente e che possiamo, mediante semplici accorgimenti, impedire a Google di archiviare.

    Passo 2: verifica dell’indicizzazione di pagine / chiavi specifiche

    Si può ovviamente controllare anche più nel dettaglio: ad esempio, ho una pagina ilmiobelsito.it/pagina1.html e voglio controllare che sia nell’indice di Google. Potrebbe non esserlo, ad esempio, se ho pubblicato la pagina molto di recente, nel qual caso bisognerà  – il più delle volte – semplicemente aspettare un po’.

    Per verificare se la pagina in questione è indicizzata potete cercare:

    site:ilmiobelsito.it/pagina1.html

    oppure, in alternativa (ricerca per titolo della pagina)

    site:ilmiobelsito.it “titolo della pagina tra virgolette”

    oppure, ancora (ricerca per parola chiave di interesse)

    site:ilmiobelsito.it parola chiave

    Ci sono numerose varianti a queste ricerche, difficili da elencare in modo esaustivo, che verranno progressivamente trattate nei post correlati (scorrete fino a fine pagina per trovarli).

  • Confronto i prezzi dei domini: dove comprarli

    Confronto i prezzi dei domini: dove comprarli

    Se hai deciso, finalmente di comprare un dominio ci sono tanti aspetti importanti da considerare. E soprattutto bisogna stare attenti a scegliere il registrar giusto! In questo articolo cercheremo di chiarire un po’ di aspetti importanti in merito.

    Nozioni base

    In generale, prima di acquistare un dominio (non buttatevi troppo in fretta nell’acquisto, salvo dovervene pentire in seguito), ci sono alcune cose molto importanti da sapere, soprattutto se non siete troppo esperti in materia:

    • un dominio internet è il nome di un sito, per dirla semplicemente, che poi verrà  associato ad un servizio di hosting (ciò avviene in vari modi, ovvero mediante record NS oppure record A del dominio stesso);
    • la gestione generale dei domini internet è affidata ad un organo internazionale, detto ICANN, con il quale non ci si interfaccia direttamente ma che fornisce linee guida obbligatorie e soprattutto i costi di ogni estensione (che possono variare nel tempo);
    • la gestione delle estensioni specifiche – come .blog, .academy o .it – è in genere affidata a registrar specifici, mediante apposita delega ICANN; tali estensioni poi sono abilitabili (e quindi pronti all’acquisto) mediante servizi di hosting che ne abbiano fatto richiesta. Questo vuol dire che, nella pratica, non tutti i servizi di hosting possono registrare qualsiasi estensione vogliate: bisogna andare da quelli che le supportano.
    • il prezzo delle estensioni dipende sempre dall’ICANN o dal registrar, in genere i servizi di hosting se dovessero applicare sovrapprezzi (cosa che fanno, ad esempio, a partire dal secondo anno in cui siete loro clienti) è quasi sempre perché il costo è aumentato, da parte dell’ICANN, nell’anno precedente. Fa la differenza anche il fatto che alcuni hosting facciano pagare l’IVA ed altri, perché all’estero, non la applichino o costi meno nel loro paese.

    Inoltre è bene ricordare che:

    1. un dominio ha un costo annuale, prefissato, che può variare leggermente a seconda del tipo di estensione (ad esempio in genere i domini .info costano meno dei .it); tale costo non è rimborsabile in nessun caso, per cui se sbagliate a registrare un dominio ve lo dovrete comunque tenere per almeno un anno.
    2. i domini scadono dopo un anno dalla registrazione: ricordatevi sempre di rinnovarlo per tempo.
    3. Se un dominio che vi piace è occupato, potrebbe essere in vendita lo stesso (ed in questo caso costerà  di più, ovviamente);
    4. un dominio senza hosting non serve a nulla, per cui avremo comunque bisogno di un hosting a cui appoggiare il sito e la sua infrastruttura (file e database);
    5. un dominio può essere trasferito da un hosting all’altro in qualsiasi momento, facendosi eventualmente carico dei costi di trasferimento qualora si decida di cambiare registrar (vedi anche qui);
    6. il dominio è indispensabile per avere un sito funzionante, ed ha un costo indipendente da quello di realizzazione del sito e di mantenimento del servizio di hosting.

    Tipi di dominio da registrare

    Ci sono in genere due tipologie principali di domini:

    • domini keyword-rich, detti anche EMD (Exact Match Domain), molto usati nella SEO (ed effettivamente potenti, in molti casi), in cui praticamente mettete la keyword per cui volete essere trovati su Google all’interno del nome;
    • domini brandizzati, in cui non fate altro se non mettere il nome del vostro brand o azienda nel nome – esempio: miazienda.it. Anche un dominio con il vostro nome, mariorossi.blog, è in un certo senso un dominio brandizzato.

    I domini di questi due tipi hanno in genere le stesse potenzialità  in termini di ranking su Google, anche perché è la strategia che fa la differenza; il nome del dominio può essere, in alcuni casi, solo un piccolo fattore di aiuto.

    Migliori domini: come scegliere il nome

    La scelta del nome a volte è in grado di mandarci in crisi, ma niente paura! In genere un buon nome di dominio deve essere:

    • facile da ricordare (niente nomi impossibili, insomma);
    • facile da digitare (evitate anche di mettere due lettere uguali consecutive: meglio miazienda.it che miaazienda.it)
    • non troppo lungo (chenomeorribiledai.it meglio di no);
    • possibilmente composto solo da lettere e numeri (meglio evitare trattini e lettere accentate)

    Cosa fare se un dominio è occupato?

    Semplicemente sceglietene un’altro, con un’estensione differente: ce ne sono quasi 2000 disponibili, ad oggi. Invece di tuonome.it avrete, ad esempio, tuonome.com. Attenzione a non mettere un nome del sito che non segua i suggerimenti del punto precedente, inoltre!

    Quanto si spende?

    Dipende molto dall’estensione: per un dominio .it in genere intorno ai 10 € all’anno, per un .info sui 2€/anno, per un .com circa 7€ / anno. La forbice di spesa comunque va da 2-3 euro all’anno fino a 50/60 € per alcune estensioni di dominio particolari. Il prezzo potrebbe essere più alto nel caso di domini recuperati o premium.

    In base alla scelta del registrar, inoltre, ci possono essere ulteriori differenze di prezzo, quasi sempre di pochi euro.

    Le offerte di registrar più economici

    Finalmente siamo arrivati al punto importante: la scelta del registrar da usare. Ovviamente con questi servizi potrete acquistare solo un dominio, e poi dovrete associarvi un hosting in seguito (alcuni servizi elencati già  lo offrono, in caso vogliate usarli). Tenete conto che per risparmiare sull’acquisto di un dominio vi troverete a fare un passaggio in più: per evitarlo, e semplificarvi la vita, potrete anche valutare di prendere un servizio di hosting più dominio come ne trovate qui.

    I provider di dominio più economici del momento, ad ogni modo, sembrano essere i seguenti (elenco solo quelli che ho provato fino ad oggi).

    Supporthost

    Su SupportHost puoi registrare un dominio a prezzi vantaggiosi. In più funzioni che di solito vengono offerte a pagamento, sono invece incluse nel prezzo. Per esempio la protezione privacy e la gestione dei DNS. Ciliegina sulla torta: l’assistenza è in italiano e ha tempi di risposta rapidi. Ti interessa? Passa a leggere il nostro parere su SupportHost.

    NameCheap

    Uno dei più conosciuti, peccato solo non consenta di registrare domini con estensione .it, ad esempio. Supporta estensioni di ogni genere, si paga in dollari (per cui se il cambio con l’euro è favorevole, si risparmia qualcosina), in genere non applica sovrapprezzi inutili o costi nascosti. Ottimo anche il servizio di assistenza in inglese.

    TopName

    Permette di registrare solo domini grazie ad un’interfaccia molto semplice, anche se a mio parere non proprio perfetta. Per gestire un parco domini comunque è interessante, e anche parecchio; servizio made in Italy, supporto in italiano mediante ticket.

    DynaDot

    Altro servizio davvero eccellente, secondo me, anche qui non permette di registrare i domini .it purtroppo, ma per tutte le altre estensioni è un must assoluto. Consigliatissimo, insomma, e con un supporto tecnico davvero all’avanguardia, anche qui in inglese.

    Internet.bs

    Ultimo servizio che mi sento di consigliare, un must per tutti i SEO e per chi lavora con più domini per vari siti che deve gestire, permette di registrare anche i domini .it, e di registrare anche – volendo – più di un dominio alla volta grazie ad un’interfaccia davvero molto user-friendly. Il servizio ha base in Irlanda ed è in italiano, a differenza di Dynadot e NameCheap.

  • Ecco come puoi avere il sito Web elencato in Google

    Ecco come puoi avere il sito Web elencato in Google

    Google utilizza molti strumenti e algoritmi che vengono aggiornati regolarmente per determinare l’ordine di visualizzazione dei siti Web nei risultati di ricerca. Seguendo alcuni passaggi, è possibile creare un sito web che si trova in cima ai risultati di ricerca di Google.

    Molte aziende sanno che hanno bisogno di un servizio di search engine optimization di un consulente SEO freelance o di un’agenzia SEO. Sanno dei vantaggi che otterranno dal lavoro SEO implementato del loro esperto SEO di fiducia perché le ricerche online organiche sono un’importante fonte di acquisizione dei clienti.

    Ecco come puoi avere il sito Web elencato nelle SERP di Google

    1. Registra il tuo sito con Google Search Console

    Google Search Console (in precedenza Strumenti per i Webmaster) è un servizio gratuito di Google che ti consente di inviare il tuo sito web (e la sua sitemap) a Google per l’indicizzazione. Non appena registri il tuo sito con Search Console, Google ti invierà un’email con diversi suggerimenti su come utilizzare lo strumento per massimizzare la visibilità nei risultati. Assicurati di seguirli!

    2. Collega il tuo sito a Google MyBusiness

    La registrazione della tua attività su Google My Business può farla apparire nei risultati di ricerca geografica pertinenti. Quando lo fai, Google invierà una cartolina contenente un codice: puoi utilizzarla per “verificare” la tua attività commerciale con Google.

    Questa verifica consente a Google di sapere che la tua attività opera nella posizione fisica che hai dichiarato, il che significa che hai maggiori possibilità di comparire nei risultati di ricerca – e su Google Maps – per le persone che cercano un’attività come la tua nella zona in cui operare.

    3. Utilizza parole chiave pertinenti

    Google spesso mostra snippet delle meta descrizioni nei risultati di ricerca e può usarli per decidere quanto il tuo sito è pertinente alle ricerche particolari. Oltre a concentrarti sulla creazione di titoli di pagina ottimizzati e meta descrizioni, dovresti cercare di assicurarti che gli URL del tuo sito includano anche le parole chiave su cui ti stai concentrando per scopi di ricerca.

    4. Crea backlinks

    I backlink sono essenzialmente link da altri siti al tuo sito e in un senso molto semplice Google li considera come “voti” per i tuoi contenuti. Quando una pagina web si collega a qualsiasi altra pagina, si chiama backlink. In passato, i backlink erano la principale metrica per il posizionamento di una pagina web. Una pagina con molti backlink tendeva a posizionarsi più in alto su tutti i principali motori di ricerca, incluso Google. Questo è ancora vero in larga misura.

    5. Search engine optimization (SEO)

    L’ottimizzazione dei motori di ricerca (SEO) è spesso basata su piccole modifiche a parti del tuo sito web. Se visualizzati singolarmente, questi cambiamenti potrebbero sembrare miglioramenti incrementali, ma se combinati con altre ottimizzazioni, potrebbero avere un impatto notevole sull’esperienza utente e sul rendimento del tuo sito nei risultati di ricerca organici.

    Probabilmente hai già familiarità con molti degli argomenti di questa guida, perché sono ingredienti essenziali per qualsiasi pagina web, ma potresti non sfruttarli al meglio. Dovresti ottimizzare il tuo sito per soddisfare le esigenze dei tuoi utenti. Uno di questi utenti è un motore di ricerca, che aiuta gli altri utenti a scoprire i tuoi contenuti.

    Cosa significa fare SEO?

    La SEO è un insieme di tecniche e strategie che permettono ai siti web di migliorare il loro posizionamento sui motori di ricerca. Ciò significa che, implementando le giuste strategie di SEO, è possibile ottenere una maggiore visibilità online.

    Ad esempio, se il tuo sito web si occupa di vendere prodotti di bellezza e implementi correttamente le strategie di SEO, i motori di ricerca come Google o Bing potrebbero mostrare il tuo sito web nelle prime posizioni dei risultati di ricerca per parole chiave come “prodotti di bellezza” o “cosmetici di alta qualità”. Ciò aumenterebbe notevolmente la visibilità del tuo sito web e la probabilità che gli utenti clicchino sul tuo sito web per acquistare i tuoi prodotti. Per questo motivo, la SEO è diventata una tecnica fondamentale per le aziende che vogliono acquisire nuovi clienti online e far crescere il loro business.

    La maggior parte delle persone effettua ricerche online prima di acquistare prodotti o servizi, ed è quindi fondamentale che il tuo sito web sia ottimizzato per i motori di ricerca per aumentare la visibilità del tuo brand e attirare nuovi clienti.

    Essere in cima ai risultati di ricerca è una posizione in cui le persone sono maggiormente inclini a cliccare sul tuo sito web, in quanto si presume che i primi risultati siano i più rilevanti e affidabili. Ciò significa che implementare le giuste strategie di SEO può aumentare significativamente la possibilità che gli utenti clicchino sul tuo sito web e diventino potenziali clienti.

    La SEO può anche aiutarti a differenziarti dai tuoi concorrenti online. Se il tuo sito web si posiziona in cima ai risultati di ricerca, i potenziali clienti lo vedranno come una fonte affidabile e autorevole rispetto ai siti web dei tuoi concorrenti. Questo può aiutare a costruire la reputazione del tuo brand e a consolidare la tua posizione di mercato.

    Cosa significa fare SEO per un sito Web?

    Fare SEO (Search Engine Optimization) per un sito web significa ottimizzare il sito in modo che possa essere facilmente trovato dagli utenti sui motori di ricerca, come Google. Ciò significa che quando un utente cerca parole chiave pertinenti al tuo sito web, il tuo sito verrà mostrato tra i primi risultati sui motori di ricerca.

    La SEO coinvolge diverse attività, come la scrittura di contenuti di qualità che rispondono alle domande degli utenti, l’utilizzo di parole chiave pertinenti nei contenuti, l’ottimizzazione delle immagini e dei video, la creazione di titoli e descrizioni accattivanti, l’implementazione di un design facile da navigare, la velocità di caricamento del sito, l’acquisizione di backlink di qualità e così via.

    Tutte queste attività sono volte a migliorare l’esperienza dell’utente e a garantire che il sito web sia facilmente navigabile e di alta qualità. Quando un sito web è ben ottimizzato per i motori di ricerca, avrà una maggiore visibilità online, attirerà più visitatori, aumenterà la sua reputazione e genererà più conversioni.

    In poche parole, fare SEO per un sito web significa rendere il sito web più facile da trovare per gli utenti sui motori di ricerca, migliorando l’esperienza dell’utente e la sua visibilità online.

  • Gli 11 brevetti di Google più importanti per la SEO (in teoria)

    Gli 11 brevetti di Google più importanti per la SEO (in teoria)

    Questo articolo è andato a curiosare sui brevetti di Google, quelli utilizzati per classificare i risultati di ricerca e venire incontro alle esigenze degli utenti. Prima di procedere oltre, è bene precisare cosa sia un brevetto e cosa comporti a livello pratico per la SEO.

    Perchè un brevetto

    Anzitutto un brevetto (nello specifico vengono anche chiamati Google Patents) è un’idea realizzativa associato ad un “qualcosa”: nello specifico, un algoritmo oppure un sistema per fare qualcosa. Sulla brevettabilità  del software esistono delle differenze sostanziali tra USA ed Europa – detta molto in breve e sacrificando qualche dettaglio sull’altare della sintesi, in Europa non possiamo brevettare i software, in USA invece si può fare, e da molto tempo.

    In linea generale, non è detto che un brevetto software – nello specifico, una “regola” o criterio proprietario usata da Google per posizionare i siti, ad esempio – comporti un qualcosa che realmente esiste o sia stato davvero implementato: ci sono brevetti relativi a progetti mai realizzati, esattamente come non tutti gli articoli scientifici sono relativi a cose esistenti. Motivo per cui l’articolo sarà  squisitamente speculativo, ed in molti casi proverà  ad “immaginare”, se vogliamo, l’applicazione dei brevetti alla realtà  della SEO moderna.

    Brevetto: alterazione dei risultati di ricerca

    Il primo brevetto che andiamo ad analizzare è classificato come US8938463, ed è parzialmente noto alla comunità  SEO come il “brevetto di Google sul CTR“, o meglio: la possibile modifica dei risultati di ricerca in SERP in base ad azioni predeterminate dell’utente. Nello specifico ciò avviene sulla base di:

    1. implicit user feedback (feedback implicito da parte dell’utente)
    2. model of presentation bias (modello di distorsione della presentazione dei risultati all’utente finale)

    In prima istanza, il modello presentato genera, mediante un calcolo probabilistico, un punteggio di ranking dovuto alla presenza di determinate azioni da parte dell’utente: ad esempio il numero di click su un risultato, sulla base di due parametri (uno legato alla rilevanza del documento rispetto alla query, l’altro legato al suo aspetto più o meno accattivante o invitante). Il punteggio ottenuto viene poi validato per evitare manipolazioni – ad esempio dovute a click farlocchi o maliziosi – e si cambia, di conseguenza, il risultato di ricerca di conseguenza. Ancora più nello specifico:

    le reazioni degli utenti a determinati risultati di ricerca o elenchi di risultati di ricerca possono essere misurate, in modo che i risultati su cui gli utenti spesso fanno clic ricevano un ranking più elevato. Il presupposto generale in base a tale approccio è che gli utenti di ricerca sono spesso i migliori giudici in termini di rilevanza, quindi se selezionano un particolare risultato di ricerca è probabile che sia pertinente o più pertinente delle alternative presentate.

    Al tempo stesso, il modello di algoritmo cerca di fare in modo di ridurre l’influenza dovuta al presentation bias, ovvero una possibile distorsione o condizionamento dovuti all’aspetto stesso dei risultati in SERP.

    Brevetto: generazione di ricerche simili ed assegnazione di un punteggio ad ogni sito

    Nel brevetto US9031929 si pone il caso di un utente che:

    1. fa una ricerca su Google
    2. in risposta a tale “domanda” (query) viene calcolato un conteggio di tutte le query categorizzate rivolte a quel sito.

    Fatta una successiva scrematura dei risultati, al sito viene assegnato un punteggio. L’insieme di query generate (le query sono ricerche associate a quel sito, ad esempio se parto dalla ricerca di un “SEO” arrivo a definire {“blog SEO”, “consulenti SEO”, “come fare SEO”, ecc.} sulla base dei contenuti, dei link e della struttura del sito oggetto. Anche se non abbiamo prove su come venga applicato questo primo criterio, possiamo immaginare (idea mia, ovviamente, da prendere con le pinze) che l’insieme di query calcolate e filtrate dall’algoritmo possano corrispondere a quelle associate alle ricerche di Google relative alla Search Console, cioè quelle che vediamo all’interno del nostro tool di ricerca.

    Più semplicemente, tale insieme di ricerche generate o “indotte” viene utilizzato per capire quanto sia pertinente, cioè utile per gli utenti e rispondente al search intent (l’intenzione o l’obiettivo dell’utente che cerca, cioè quello che si aspetta di trovare quando cerca qualcosa), e ci ricorda quanto sia importante creare siti tematici, focalizzati sull’utilità  dell’utente e, se possibile, unici ed originali nel loro genere, in modo da poterli posizionare naturalmente.

    Query semantiche

    Da tempo ci ammorbano con la semantica su Google, e molti SEO ne hanno tratto considerazioni a volte arbitrarie, altre volte corrette da un punto di vista formale: qui si immagina un criterio per associare “entità ” ad una ricerca, cioè Google riesce a capire dal fatto che cerchiamo ad esempio “hotel” una geolocalizzazione (se siamo a Milano, cerchiamo hotel in quella zona).

    Anche qui viene calcolato un punteggio per il sito, ed i punteggi migliori sono ovviamente ben rankati a parità  di ulteriori, complesse condizioni. Questo è il brevetto: WO2016028696A1, e che potete spulciarvi per ulteriori dettagli.

    Calcolo del sentiment di un’entità

    Un’entità , per quello che abbiamo appena visto, può essere semplicemente una pagina web che parla di qualcuno o qualcosa: come fare a capire quanto quel qualcosa sia attendibile? È qui che viene incontro uno dei brevetti secondo me più incredibili mai registrati da Google: US8417713, ovvero il calcolo del “sentiment” (parola intraducibile in questo contesto, e che potremmo rendere con feeling o attendibilità ) di un’entità . Come avviene tutto questo? Sulla base di un complesso calcolo delle recensioni che puntano a quel sito, e che – a determinate condizioni – permette di effettuare un ranking su Google basato sulla fiducia o trust di un sito.

    A livello SEO: fate SEO con il cuore in mano, e senza fare troppe furbate. Google vi vede 🙂

    Previsione dei posti che ti piaceranno

    Altro brevetto davvero complicato e, almeno in apparenza, significativo: si brevetta (US8949013) un metodo per prevedere i posti che ti potrebbero piacere quando fai una ricerca locale, il tutto in base all’analisi dello storico dei luoghi in cui sei stato. Un aspetto sul quale la SEO non può, com’è ovvio, intervenire direttamente, ma che deve essere tenuto in conto quando esponiamo determinati dettagli: ad esempio se un luogo è low cost come molti altri, si possono utilizzare parole simili o contenuti analoghi ai competitor, ad esempio.

    L’organizzazione e l’ordinamento dei risultati è stabilito su base probabilistica, ovviamente, e potrebbe non essere corretta in molti casi reali.

    Risolvere le ambiguità  di ricerca

    In questo brevetto viene evidenziato un metodo ( US9336211 ) finalizzato ad associare ad una ricerca generica tutti i possibili risultati, sfruttando un sistema di espansione di query analogo a quello visto qualche punto fa: l’espansione delle query, nell’information retrieval, è da sempre alla base dell’interpretazione e dell’ottimizzazione dei risultati di ricerca.

    I SEO potrebbero sfruttare questa informazione per rendere distinguibile il proprio contenuto rispetto a quello degli utenti, finalizzandolo al meglio e specificando le caratteristiche (ad esempio di un prodotto) che lo rendano associabile alla ricerca che si desidera ottimizzare.

    Analisi del contesto e delle espressioni più utilizzate nel settore

    Qui si entra in un argomento davvero molto importante, che spesso molti SEO tendono a dimenticare nella redazione dei testi: non è solo il dominio ed il link con cui fai link building, ma è anche importante capire in che contesto stai mettendo quel link. Il brevetto US9449105 sottolinea esattamente questo aspetto: come fa Google a determinare il contesto di una pagina web? Certo se riusciamo a mettere un link da un articolo che parla di macchine da cucire all’interno di un sito di tecnologia, il punteggio (anche qui calcolato sulla base di vari criteri, abbastanza complessi da descrivere in modo divulgativo) del contesto sarà  ridicolmente basso; diverso se il dominio che ci linka è simile al nostro.

    Nello specifico, vengono definiti delle liste di termini più comunemente utilizzate, sia parole singole che espressioni o frasi tipiche (ad esempio gergali del settore), poi vengono clusterizzate, suddivise per tipo e frequenza, e poi date in pasto ad un ulteriore algoritmo che non fa altro che definire dei “domini” – intesi come gruppi tematici, non come domini internet – di appartenenza per ognuno.

    A che serve tutto questo? A dire: fatevi sempre linkare da siti tematici, e la vostra SEO dovrebbe giovarne nel medio-lungo periodo.

    Analisi del comportamento dell’utente sui backlink

    Basta infilare link dove capita e ti posizioni? Non si direbbe proprio, anche sulla base del brevetto US7716225 che racconta di un metodo per analizzare non solo il contesto di un link, ma anche il comportamento dell’utente sullo stesso: se ci clicca, almeno in teoria, il link vale di più. In quest’ottica sembra che i classici link ancorati a ricerche (un classico della SEO e della link building da almeno vent’anni, ormai) abbiano una valenza quasi ridimensionata, anche se ovviamente dipende da come si lavora.

    Alla base dell’algoritmo, che ripeto non sappiamo se e quando venga applicato da Google (e che è piuttosto complesso da dettagliare, anche qui) vi è un calcolo di ranking e punteggi intermedi, finalizzati al fatto di riuscire ad ottenere risultati di qualità  in prima posizione ed esplicitamente consapevoli che alcuni utenti tenteranno sempre di manipolarli facendo spam o black hat. Si noti che è interessante il presupposto da cui si parte: ovvero che gli utenti del web siano privi di esperienza, per cui si dovrà  fare i conti con questo aspetto.

    A livello SEO – molto in breve – occhio a non inserire troppi link inutili per l’utente, o che difficilmente saranno cliccati (ad esempio quelli nel footer o nei widget).

    Classificazione tassonomica delle pagine web linkanti

    Finisco la carrellata di brevetti con uno altrettanto importante, ovvero US9367814: il documento fa riferimento al contesto di classificazione delle pagine web, questa volta sulla base di un generico insieme di documenti esterni – presumibilmente linkanti dall’esterno – che vengono raggruppati per tassonomia, questa volta: ad esempio, una serie di comparatori di prezzi che linkano un sito che vende un certo prodotto. Anche qui, solito discorso: sempre meglio mantenere la corrispondenza tassonomica (quindi categorie ed eventuali tag) più stringenti possibili.

    Link velocity (Information Retrieval Based on Historical Data)

    In genere nel gergo dei SEO la velocità  di acquisizione dei backlink (ad esempio 1 link al giorno) è indicata simbolicamente come link velocity; il brevetto US7346839B2 del 2003 sembra fare più di un riferimento a questo concetto. La chiave di funzionamento di questo algoritmo di ranking si incentra sulla possibilità  di classificare una pagina web in base allo storico dei backlink acquisiti in passato. Si cita esplicitamente, peraltro, che il punteggio calcolato possa influenzare in positivo il funzionamento dei motori di ricerca, ed il fatto che il ranking stesso sia calcolato sulla base di una funzione presumibilmente di “decomposizione” (decaying function) delle date in cui i link sono comparsi sul web.

    Non sono citati esplicitamente i criteri, e non è dato sapere come faccia Google Search nella pratica a fare i suoi calcoli, ma è abbastanza sicuro che lo storico dei backlink abbia una certa importanza, se ben realizzato (e non sia spammoso).

    Un altro aspetto importante di cui tenere conto nelle strategie SEO è anche il seguente: gli incrementi spiky di backlink sono visti in modo sospetto, quindi come potenziale spam penalizzante. I profili di link generati in modo manuale (quindi non quelli naturali, in cui avviene la link earning pulita) sono considerati indicativi di un alto rischio di manipolazione, e si basano – si evidenzia nel documento in questione – su decisioni coordinate che portano ad un aumento considerevole di anchor text specifiche (parole, coppie di parole, frasi).

    Conclusioni

    Spero di avervi fornito spunti interessanti di lavoro: in definitiva, quindi, se esiste un brevetto non è detto che Google lo usi sul serio, e anche ammesso che lo usi le modalità  con cui lo applica realmente non sono così scontate ed ovvie come potrebbero sembrare. Per ulteriori informazioni invito a fare riferimento ad esempio al documento Guida pratica alla Proprietà  Intellettuale negli USA.

  • Promuoverti con un sito web: strategie per il tuo sito WordPress

    Promuoverti con un sito web: strategie per il tuo sito WordPress

    Se stai cercando di promuoverti con un sito web o cerchi un aiuto per la realizzazione siti web con WordPress, probabilmente ti serve un freelance che possa darti una mano per la sua realizzazione. Se sei tra quelli che hanno intenzione di avviare un proprio business online, non sapendolo fare da solo, devi, per forza di cose, assoldare un professionista capace di portare la tua attività  online nel modo giusto.

    La faccenda diventa davvero interessante se trovi qualcuno che può riuscire ad aiutarti con delle strategie reali, capaci di promuovere il tuo progetto web portandoti risultati concreti. Dare impulso alla tua attività  online, di certo non è una passeggiata. Indubbiamente, avendo le conoscenze strategiche adeguate, anche tu puoi riuscire a vedere la luce oltre il tunnel.

    Esistono delle strategie dimostrate per riuscire a farti avere successo online. Puoi riuscire ad offrire il tuo sapere online (devi riuscire a saper vendere bene te stesso), vendendo realmente una vasta gamma di soluzioni guida, capaci di aiutare gli altri con quello che sai fare di più.

    Sai qual è la parte bella di questa attività ?

    Tu sarai il capo di te stesso, non dovrai dipendere da nessuno, potrai lavorare ovunque nel mondo (puoi lavorare da casa o dal posto più remoto del mondo semplicemente con un device digitale ed una connessione internet), potrai guadagnare dei soldi online semplicemente riuscendo a credere in ciò che fai. Bella questa cosa, vero?

    Ma per avere successo devi promuoverti con un sito web

    Se non sai come creare il tuo sito web (volendolo fare da solo), puoi scegliere un CMS open source, acquistare un video corso online sul CMS che hai scelto e, in pochissimo tempo, riuscirai a metterlo in rete. Io, se posso permettermi, per la realizzazione del sito web ti consiglio di utilizzare WordPress. Lo ritengo, insieme ad altri milioni di utenti, il migliore sulla piazza.

    Avere un sito web (link) con WordPress è davvero fantastico. Inoltre, puoi migliorare di gran lunga la qualità  del tuo piano di marketing digitale in cui puoi riuscire a identificare, in WordPress, uno dei migliori strumenti con cui lavorare per migliorare la tua strategia.

    Avere, nel tuo piano di web marketing globale, gli strumenti giusti può davvero farti fare la differenza. Sapendoli gestire con sapienza, puoi facilmente identificare il tuo mercato per proporti al meglio al loro cospetto.

    Tuttavia, dovrai lavorare a stretto contatto con chi ti aiuta nelle tue strategie di web marketing, con chi eventualmente ti aiuta per ottimizzare il tuo sito web, con chi ti aiuta per sviluppare il tuo business online per renderlo profittevole.

    Ma ricorda, per avere successo online devi…

    • Avere una strategia capace di imporre la tua attività  in rete. Assicurati di fare i passi giusti e cerca di adottare le migliori soluzioni di engagement per migliorare il tuo marketing online.
    • Promuoverti con un sito web di successo.
    • Devi offrire ottimi prodotti e/o servizi, altrimenti, entreranno a guardare, ma non compreranno. I tuoi sforzi ed eventuali attività  promozionali saranno inutili, un fallimento totale.
    • Assicurati di posizionare al meglio il tuo sito web nelle SERP dei motori di ricerca.
    • Offri semplicità  nella vendita e per elaborare gli ordini. Se l’aspetto del tuo e-commerce non è sicuro, allora nessuno acquisterà . Non importa se hai degli ottimi prodotti. Non importa che fai delle ottime promozioni per attrarre i tuoi potenziali clienti. La promozione del tuo sito web sarà  un’attività  davvero disastrosa.
    • Altro elemento essenziale: avere una strategia di marketing online, significa avere un piano di marketing capace di parlare chiaramente al tuo pubblico. Assicurati di farlo correttamente, con coerenza e programma le tue azioni. Attento, devi programmare anche il tuo budget! Non fare il passo più lungo della gamba. Se spendi troppo per i tuoi sforzi promozionali, Facendo poi morire il tuo business per la mancanza di fondi, perderai la fiducia sul web. Quindi, attieniti al budget che puoi davvero dedicare ad esso.
    • Progettare un sito web facile da usare. Ciò significa ridurre al minimo l’utilizzo di strabilianti animazioni o colori impressionanti. Assicurati di offrire contenuti di qualità , con parole chiave appropriate alla tua strategia di azione, in modo che i motori di ricerca possano catalogarti al meglio per metterti in alto nelle classifiche delle loro SERP.

    Cos’altro puoi fare per promuoverti con un sito web?

    • Questo punto voglio ripeterlo ancora: ottimizza il tuo sito web al meglio per farlo piacere a Google e gli altri motori di ricerca. Sarà  molto importante renderti visibile nei motori di ricerca più utilizzati.
    • Se hai un budget d’azione minimo, assicurati di promuovere il tuo sito web con azioni di SEO per renderlo visibile online con le parole principali, riguardanti la tua nicchia di mercato.
    • Se il tuo budget è più corposo, utilizza anche le Ads di Google, Bing e Facebook.
    • Invia il tuo sito web alle directory migliori. Questa è un’attività  gratuita, ma valuta con attenzione le directory dove presenti il tuo sito web. Se fai bene questo lavoro potresti aiutare a migliorare il tuo posizionamento online del sito.
    • Fai azioni di article marketing, crea contenuti web di qualità  e cerca collaborazioni con altri blogger, utilizza i guest post, migliora il valore del tuo brand online, renditi autorevole agli occhi del tuo pubblico su argomenti in cui sei competente. Inoltre, quando scrivi i tuoi articoli cerca di farlo al meglio, devi apparire come un esperto del tuo settore.

    Presto, avrai i tuoi risultati online, inizierai a rendere visibile il tuo brand e potrai promuoverti con un sito web al meglio, raccogliendo gli sforzi fatti. In bocca al lupo!

  • Slash finale negli URL del sito: meglio con o senza?

    Slash finale negli URL del sito: meglio con o senza?

    Ci vuole o non ci vuole? Non c’è una risposta certa ma è discorso, semmai, di stabilire uno standard e seguirlo fedelmente. Con o senza slash finale non cambia praticamente nulla lato SEO, purchè insomma ci sia uniformità. Partiamo dallo standard classico: in genere, lo slash finale indica una directory mentre l’assenza di slash indica un file.

    http://pippo.com/foo/ (directory)
    http://pippo.com/foo (file)

    Ma questa corrispondenza non è nè rispettata nè tantomeno richiesta o obbligatoria: più che altro, la presenza dello slash finale nell’URL garantisce una sostanziale uniformità di trattamento del sito, e questo soprattutto per evitare che Google o gli utenti possano rilevare che

    http://pippo.com/foo/
    http://pippo.com/foo

    siano subdolamente due pagine diverse, quando in realtà sono la stessa pagina.

    Secondo le linee guida di Google, lo slash finale non è troppo importante ai fini dell’indicizzazione purchè sia presente un rel=canonical adeguato che, ovviamente, sia uguale per tutte e due le versione. Questa feature, su cui ho provato a lavorare stamattina, richiede l’uso di hook di WordPress come wp_seo_canonical di Yoast, che al momento in cui scrivo sembra affetta da un bug (per gli URL senza slash finale, nello specifico, rileva una variabile rel=”canonical” vuota, per cui è impossibile aggiungerlo via regex e, soprattutto, attivarla rischia di scatenare effetti collaterarli). Nello specifico, pero’ via Search Console sembra che Google sia tranquillamente in grado di riconoscere le due versioni di URL: se è vero che l’URL non si trova su Google, infatti:

     

    al tempo stesso Google ha rilevato la versione canonica dello stesso, che risulta funzionante e regolarmente indicizzata. Falso problema, quindi, in tal caso!

    Da un punto di vista utente, sarebbe invece problematico che gli utenti vedano un contenuto con slash a fine URL, ed un contenuto diverso senza: in tal caso non c’è rel=canonical che regga, e bisogna per forza di cose ricorrere a dei redirect 301.

    Ora, aggiungere un trailing slash via htaccess o plugin (regex) è una cosa spesso complicata dal fatto che non sappiamo come sia configurato il sito: quindi dobbiamo prima di tutto testare le varie versioni di URL, e verificare se possibile il canonical domain (visto che ci siamo, verifichiamo che il sito sia coerente in tutto lato header HTTP).

    Da un punto di vista tecnico dei motori di ricerca, è teoricamente consentito che le due versioni di URL contengano contenuti diversi. I tuoi utenti, tuttavia, potrebbero trovare questa configurazione molto confusa, visto che tantissimi non si accorgono nemmeno se il trailing slash ci sia o meno. Motivo per cui è sempre opportuno, come le buone strategie SEO impongono, semplificare e unificare le due versioni.

    Come accorgersi del problema (e risolverlo)

    Un check rapido via HTTPStatus.io permette di capire se i due URL rispondano 200 entrambi:

    1. http://<your-domain-here>/<some-directory-here>/
      (con trailing slash)
    2. http://<your-domain-here>/<some-directory-here>
      (senza trailing slash)

    Se entrambi rispondono con 200, è come se fossero due pagine differenti; se invece una va in 200 e l’altra in 301, la versione finale dell’URL è quella dove compare il codice 200. Aggiungere il 301 è utile per migliorare le prestazioni del sito e proporre a Google un sito più compatto e meno soggetto ad indicizzazioni accidentali (nel mio caso studio era un discorso risolto all’origine, ma non giurerei affatto che la cosa possa valere anche in altri casi).

    In genere questo frammento di direttive HTACCESS dovrebbe aggiungere il trailing slash obbligatorio, a meno che il file non sia molto intricato (nel qual caso vanno fatti vari test sul campo per configurarlo al meglio):

    RewriteCond %{REQUEST_URI} !(/$|\.)
    RewriteRule (.*) %{REQUEST_URI}/ [R=301,L] 

    Attenzione che questo “maneggiare” porta spesso a loop di redirect che influenzano l’intero sito, quindi procedete sempre con la massima cautela.

    Come utilizzare un URL standard e unificato

    Cosa succede se il tuo sito offre contenuti duplicati su questi due URL?

    http://<your-domain-here>/<some-directory-here>/
    http://<your-domain-here>/<some-directory-here>

    significa che entrambi gli URL restituiscono 200 (nessuno dei due ha un reindirizzamento o contiene rel = “canonical”): come risolvere?

      1. Scegli un URL come versione preferita. Se il tuo sito ha una struttura di directory, è più convenzionale utilizzare una barra finale con gli URL della directory (ad esempio, example.com/directory/ anziché example.com/directory), ma sei libero di scegliere quello che preferisci.
      1. Sii coerente con la versione preferita. Usalo nei tuoi link interni. Se disponi di una Sitemap, includi la versione preferita (e non includere l’URL duplicato).
      1. Utilizza un reindirizzamento 301 dal duplicato alla versione preferita. Se ciò non è possibile, rel = “canonical” è un’opzione forte. Rel = “canonical” funziona in modo simile a un 301 ai fini dell’indicizzazione di Google e anche di altri importanti motori di ricerca.
      1. Verifica la tua configurazione 301 tramite Visualizza come Googlebot nella Search Console. Assicurati che i tuoi URL:
        http://example.com/foo/
        http://example.com/foo
        si comportano come previsto. La versione preferita dovrebbe restituire 200. L’URL duplicato dovrebbe 301 all’URL preferito.
      1. Verifica la presenza di errori di scansione in Strumenti per i Webmaster e, se possibile, il tuo server web registra per verificare che i 301 siano implementati.
  • Come funziona Google: cosa vuol dire “intento dell’utente” (user intent)

    Come funziona Google: cosa vuol dire “intento dell’utente” (user intent)

    Google ne ha fatta di strada, e questo è fuori di dubbio soprattutto per chi ne segue le incredibili evoluzioni tecnologiche fin dal 1997. Quando i due fondatori di Google (Page e Brin), sul fine degli anni 90, misero mano al progetto BackRub, non potevano immaginare che sarebbe diventato una forma di Google “embrionale” così come lo conosciamo oggi.

    Di fatto, Page e Brin avevano basato il funzionamento di quel primo motore di ricerca su un semplice calcolo ricorsivo – il PageRank, che si chiama così per via del nome di uno dei due e, incidentalmente, perchè Page potrebbe fare riferimento ad una web page.

    Dalle origini al PageRank

    In maniera aritmetica e relativamente semplice da calcolare, il PR era in grado di tenere conto del numero di link in ingresso ad ogni singola pagina web, e questo (almeno all’inizio, e per un po’ di anni) fu considerato un indicatore del “grado” di ranking guadagnato da ogni sito. Più citazioni esterne (backlink) riceveva una pagina, in sostanza, meglio riusciva a posizionarsi, sulla falsariga del meccanismo che attribuisce maggiore credibilità  alle pubblicazioni accademiche che vengono più citate da riviste influenti (un settore in cui i dottoranti Page e Brin si muovevano senza dubbio agevolmente).

    Il problema è che, col tempo, Google si rese conto che doveva far evolvere questo meccanismo, anche perchè i backlink erano fin troppo facili da falsare, e per agire in questa direzione ha inventato varie soluzioni: una, in particolare, sembrerebbe essersi rivelata efficace.

    Google: nuovi criteri di ranking, sempre più evoluti

    Col passare tempo, Google è passato per numerose evoluzioni successive, molte delle quali anche difficili da formalizzare e sostanzialmente protette da segreto industriale, che lo hanno reso il motore di ricerca più amato e diffuso fino ad oggi. Ad oggi, ciò che vediamo nei risultati di ricerca (SERP) non riflette solo il PageRank: riflette anche il comportamento dell’utente, gli analytics del sito, la qualità  (e non solo il numero) di backlink in ingresso, l’utilità  del testo, la sua strutturazione e la soddisfazione della cosiddetta search intent.

    L’intento o le intenzioni dell’utente sono diventate un fattore di ranking a tutti gli effetti, il che offre un vantaggio enorme anche per Google: è una metrica attendibile, quasi impossibile da falsificare, al contrario dei backlink che vengono venduti e comprati ogni giorno e sono oggetto, da sempre, di un fiorente mercato.

    La SEO ha sempre sguazzato alla grande in questo ambiente, ovviamente, tanto da diventare un vero e proprio lavoro inventato, se vogliamo, più o meno volontariamente da Google stessa. L’ottimizzazione per i motori di ricerca prevede infatti approcci e possibilità  di modifiche anche di entità  apparentemente microscopica, che possono poi (alla lunga e su larga scala) migliorare le prestazioni globali del nostro sito. E migliorare le prestazioni del sito non è solo un fatto di produrre HTML ordinato: è anche questione di rendersi comprensibili e di saper comunicare “via Google” con l’utente finale, che spesso non è nemmeno un tecnico.

    Search intent: cos’è l’intento di una ricerca

    Perchè le intenzioni dell’utente sono così importanti? Lo sono perchè, anzitutto, anche esse esprimono un voto “indiretto” ad una pagina: se, ad esempio, apro e chiudo subito un risultato in SERP, può essere indizio che quella pagina non mi serve, non è utile alla mia ricerca, è fuori tema oppure non funziona. Tutti fattori negativi, insomma, che possono farla scendere enormemente e richiedere interventi SEO complessi e, per forza di cose, in molti casi anche azzardati. Se al contrario ci rimango un po’ e magari clicco un link di una call to action, navigo nei correlati e così via, può essere indicato che la pagina web “meriti” di stare in quella posizione.

    Un po’ di esempi pratici? Eccoli: se ad esempio uno stesse cercando “macbook usati” è plausibile che stia facendo questa ricerca con un intento commerciale, quindi possiamo provare a posizionare una pagina che effettivamente proponga quel tipo di prodotti. Se invece uno stesse cercando “macbook usati convengono” è già  un dubbio che ci è venuto in fase di acquisto: posso comunque provare a prendere visite da chi cerca questa frase scrivendo un articolo o una FAQ incentrata su questo argomento. Ovviamente la valutazione della search intent è rigorosamente soggettiva, e potrebbe non essere sempre e comunque applicabile.

    Certo Google è un prodotto molto più raffinato di quanto le nostre analisi, anche le più elaborate, possa suggerire: sembra infatti che all’interno di Google operino svariati fattori di posizionamento, che non solo sono sconosciuto ma non è neanche detto che vengano applicati tutti indiscriminatamente per ogni ricerca. Se la SEO (Search Engine Optimization) è sempre stata un “puzzle tecnico” per smanettoni, oggi non sembra essere più così, ed il tutto assume una valenza più profonda, meno ovvia, tant’è che anche i tanto vituperati e sviliti copywriter, di fatto, dovrebbero essere consapevoli di poter fare la differenza scrivendo testi utili e di qualità  – ma soprattutto, utili alla ricerca che si sta effettuando.

    A chi serve una lenzuolata di testo di 6000 parole se poi, alla fine, non si arriva mai alla “risposta” che quella ricerca vorrebbe esprimere?

    L’idea fondante della search intent alla fine è semplice: dovresti creare un sito a vantaggio degli utenti, e qualsiasi ottimizzazione (nessuna esclusa) deve essere pensata per migliorare la sua esperienza utente. Ottimizzare un sito per i motori di ricerca significa, ad oggi, aiutare Google a comprendere e presentare al meglio i tuoi contenuti.

    La keyword research è cambiata, di conseguenza

    Le metriche in ballo sono tantissime, ed anche la keyword research sembra essere radicalmente cambiata in tal senso: “scegliersi” le parole chiave può avere senso per una campagna Google Ads, al limite (e neanche in tutti casi!), farlo nella SEO di oggi non ha alcun senso e va visto solo in modo puramente orientativo. Se ne facciano una ragione tutti quelli che ancora oggi costruiscono siti web basati sul keyword stuffing, perchè se oggi funziona tutto domani potrebbe non funzionare più, e questo va contro la stabilità  del business in gioco, in qualsiasi caso (almeno, secondo il mio modesto parere).

    Soprattutto credo che non abbia più senso disperarsi se non si riesce a posizionare un sito per una specifica parola chiave: si possono trovare vie alternative usando parole chiave diverse, più funzionali e spesso “migliori” in tutti i sensi (incluso quello di una competizione sensata) di quelle che ci eravamo, spesso monoliticamente, prefissati. I SEO dovrebbero diventare molto più flessibili, in effetti, e su questo ho pochissimi dubbi perchè si lavora meglio e ci sono più margini per farlo.

    Se vogliamo capire davvero l’intento di un utente, possiamo spulciare le linee guida per chi valuta la ricerca e la qualità , i cosiddetti quality rater; di per sè, ovviamente NON si tratta di “criteri da seguire per garantire il posizionamento su Google”. Si tratta semmai di criteri che è bene sapere che esistono, e tenerne conto quando pubblichiamo o revisioniamo le pagine dei nostri siti in modo “SEO oriented” e moderno, soprattutto. Gli intenti dell’utente si possono dividere nei seguenti gruppi “orientativi”, per così dire.

    Ricerche informazionali: know

    In questa prima accezione chi cerca vuole saperne di più, come nel caso di chi cerca se i macbook usati siano convenienti o meno: i dubbi sono sulla durevolezza, sul fatto che il gioco valga la candela, se i soldi siano ben spesi. In questo i copywriter hanno campo libero, perchè se riescono a rispondere alle giuste “domande” implicite poste dalla ricerca il testo, alla lunga (ed assieme a molti altri fattori) sarà  quasi certamente premiato da Google.

    Vale anche la pena di ricordare che non tutte le “domande” che facciamo a Google sono univoche ed assimilabili a query know: se ad esempio cercassi se valga la pena investire in bitcoin, difficilmente troverei una risposta univoca e assoluta a questo quesito, che quindi NON rientrerebbe nel gruppo.

    Ricerche informazionali: do e device

    Le ricerche di tipo do riguardano quelle relative ad utenti che sono su Google per fare qualcosa, per esempio “giochi per ragazze”, “test di personalità “, “Shining in streaming” e così via. Rientrano in questa classificazione le query cosiddette Device, che si traducono in richieste a Google per “fare qualcosa via smartphone”: una telefonata, un SMS, e così via.

    Ricerche informazionali: website

    Qui è abbastanza ovvio di cosa parliamo: gli utenti che cercano il nome di un sito specifico, come ad esempio facebook, intendendo www.facebook.com. Google è in grado di raccogliere e catalogare quasi tutte queste variazioni, che quindi ricondurranno ad un sito ufficiale come primo risultato ed una varietà  di pagine informative su quel sito di seguito. Il CTR è teoricamente quasi tutti incentrato sul primo risultato, di solito, anche se poi succede un curioso effetto collaterale: pagine web che si posizionano per query di tipo website finiscono a volte per “gonfiare” (più o meno involontariamente) le metriche SEO dei rispettivi domini, e parlo ad esempio della ZA o della DA (cosa che, secondo me, non dovrebbero fare).

    Ricerche informazionali: visit-in-person / user location

    RIcadono in questa casistica le ricerche local, cioè quando ad esempio cerco un ristorante messicano nel mio quartiere usando la geolocalizzazione. Viene anche introdotta la possibilità  che si voglia cercare un qualcosa con accezione visit-in-person: per capire la sfumatura basti pensare ad un utente che voglia vedere un film. Posso voler andare al cinema a vederlo (quando saranno aperti, si spera presto), oppure posso acconterarmi di vederlo su Netflix: nel primo caso è una visita-di-persona, nel secondo no.

    In questi casi l’ottimizzazione lato SEO è incentrata sulla parte mobile del sito, assicurandosi che la pagina sia perfettamente fruibile e funzionante (oltre che veloce, sbrigativamente parlando abilitando AMP) da mobile, luogo da cui arrivano questo tipo di ricerche.

    Ricerche informazionali: multiple user intent

    In quest’ultima casistica ricadono le ricerche che possiedano valenza multipla, ovvero più di un significato. Decidere quale significato associare a quale ricerca è compito, abbastanza prevedibilmente, dei quality rater.

    Risultati zero

    Ci sono alcune ricerche per cui, ad esempio, una risposta secca e diretta funziona meglio di qualsiasi lenzuolata di testo ogni SEO “old school” possa immaginare o concepire. Risposta ovviamente presuppone che uno stia provando a fornire il testo di una pagina web che risponde ad una specifica domanda, ovvero la query dell’utente. L’esigenza primaria dell’utente è quella di avere una risposta immediata, che si traduce nel fatto che possono essere ottimizzazioni “zero click“, nel senso che nessuno ci clicca perchè trova già  la risposta ben esposta e copia-incollabile senza entrare nel sito.

    Un esempio di risultato in posizione zero è, ad esempio, tratta dal nostro sito. Puoi approfondire questo argomento nella nostra guida su come ottenere la posizione zero.