Tag: Mondo Marketing 🌪

  • Errore 502: che cosa vuol dire?

    Errore 502: che cosa vuol dire?

    L’errore 502 è un codice di stato HTTP che indica un problema nella comunicazione tra due server web.

    Questo errore viene restituito quando un server che sta lavorando come gateway o proxy, ovvero che agisce da intermediario tra il client (solitamente un browser web) e un server web remoto, riscontra difficoltà nel ricevere una risposta valida dal server remoto. Si tratta di errori spesso difficili da risolvere, che potrebbero richiedere interventi del settore IT spesso a più livelli (codice, database, rete ecc.)

    Ecco alcune delle cause più comuni di un errore 502:

    1. Server Web Sottostante Non Risponde: Il server web remoto a cui il server proxy o gateway sta cercando di accedere potrebbe non essere in grado di rispondere per varie ragioni. Potrebbe essere sovraccarico, in manutenzione o affetto da un problema tecnico.
    2. Timeout della Connessione: Se il server proxy o gateway non riceve una risposta dal server remoto entro un certo periodo di tempo (timeout), potrebbe restituire un errore 502. Questo potrebbe essere dovuto a una connessione lenta tra i due server o a problemi di rete.
    3. Configurazione Errata del Server Proxy: Una configurazione errata del server proxy o gateway può causare errori 502. Questo potrebbe includere impostazioni di routing errate o problemi di configurazione del software.
    4. Problemi di Rete: Problemi nella rete, come congestione, interruzioni o problemi di connettività, possono causare errori 502.
    5. Errore del Lato del Server Remoto: Il server remoto potrebbe rispondere con un errore interno, come un errore 500, che il server proxy o gateway trasmette come errore 502 al client.

    Come risolvere errore 502

    Per risolvere un errore 502, è possibile considerare le seguenti azioni:

    1. Aggiorna la Pagina: In alcuni casi, l’errore 502 potrebbe essere temporaneo e risolto semplicemente aggiornando la pagina nel browser.
    2. Verifica lo Stato del Server Remoto: Se sei un amministratore di sistema o il proprietario del server remoto, verifica lo stato del server e risolvi eventuali problemi tecnici.
    3. Contatta l’Amministratore di Sistema: Se stai riscontrando un errore 502 su un sito web esterno, potrebbe essere un problema lato server. Contatta l’amministratore di sistema del sito per segnalare il problema.
    4. Verifica la Configurazione del Server Proxy: Se stai gestendo un server proxy o gateway, verifica la configurazione per assicurarti che sia corretta.
    5. Controlla la Connessione di Rete: Assicurati che la connessione di rete tra il client e il server proxy sia stabile e veloce.
    6. Ricarica il Browser o Cambia Browser: A volte, l’errore 502 potrebbe essere causato da problemi temporanei del browser. Prova a ricaricare la pagina o a utilizzare un browser diverso per vedere se il problema persiste.

    Se l’errore 502 continua a verificarsi su un sito web specifico o su una rete, è consigliabile contattare l’assistenza tecnica appropriata per ulteriori assistenza e risoluzione del problema. Gli errori di questo tipo rientrano nella classe generica degli errori lato server con codice 5xx.

  • Social media marketing: cos’è questa attività e come usarla a vantaggio della tua azienda

    Social media marketing: cos’è questa attività e come usarla a vantaggio della tua azienda

    Si tratta di fare attività di marketing sulle diverse piattaforme social, ma per avere risultati c’è bisogno di una strategia efficace

    Hai aperto la pagina della tua attività su Facebook e hai cominciato a riempirla di contenuti improvvisati, graficamente poco curati, senza una strategia e obiettivi da raggiungere, indirizzandoli a un pubblico generico?
    Ecco, il social media marketing è esattamente il contrario di quanto descritto. Parliamo infatti di un’attività che prevede l’uso dei social per fare marketing, ossia attrarre nuovi clienti e instaurare con loro un rapporto a lungo termine.

    Nel social media marketing è importante differenziare le attività in base al pubblico adeguando la comunicazione alle caratteristiche di ogni social network. Se poi si desidera personalizzare l’esperienza degli utenti segnaliamo che grazie a piattaforme come questo enterprise social network esiste la possibilità di creare uno spazio online più intimo e di nicchia rispetto a quelli più popolari.

    Per portare benefici effettivi (cioè clienti e fatturato) al business aziendale, oltre agli strumenti, servono pianificazione, studio, competenza e capacità di ascolto e di analisi. Approfondiamo l’argomento provando a capire come si può utilizzare il social media marketing a vantaggio della tua azienda, piccola o grande che sia.

    Cos’è il social media marketing

    Il social media marketing fa parte della “famiglia” del digital marketing e consiste, in sostanza, nell’applicazione di strategie di marketing sulle diverse piattaforme social, da Facebook e Instagram passando per TikTok, LinkedIn e Twitter.

    Per fare social media marketing non basta pubblicare post tanto per riempire la pagina aziendale, ma bisogna studiare una strategia per arrivare al proprio pubblico, creare engagement (like, condivisioni, commenti), aumentare la brand awareness (ossia la consapevolezza del marchio tra il pubblico), vendere e comunicare in maniera diretta, senza intermediazioni, con le persone.

    Ogni piattaforma social ha le sue caratteristiche, quindi non basta creare una strategia di social media marketing da applicare indistintamente su tutte; al contrario, è opportuno creare una strategia specifica per ogni social. Com’è intuibile, LinkedIn è ben diverso da TikTok e usare la stessa strategia su entrambe le piattaforme può essere inefficiente.

    A occuparsi del social media marketing è una figura professionale specifica, il social media manager che, se preparato, sarà in grado di analizzare le caratteristiche del pubblico di riferimento, creare un piano editoriale efficace, portare all’acquisto di servizi/prodotti, gestire i commenti e analizzare i dati per valutare i risultati delle attività sui diversi social.

    Come creare una strategia efficace per il social media marketing aziendale

    Abbiamo detto che l’attività di social media marketing dev’essere affidata a un professionista. Di solito, un social media manager consapevole è in grado di creare una strategia di social media marketing efficace, con piano editoriale, KPI, obiettivi e, in seguito, i report delle attività sui social.

    In breve, ecco quali sono i passi per creare una valida strategia di social media marketing:

    • Condurre un audit iniziale delle pagine aziendali (se non presenti, crearle)
    • Stabilire gli obiettivi da raggiungere
    • Individuare e studiare le caratteristiche del pubblico di riferimento
    • Analizzare la strategia dei competitor
    • Creare piano e calendario editoriale
    • Pubblicare post efficaci con grafiche accattivanti
    • Pianificare le campagne a pagamento sulla base degli obiettivi da raggiungere
    • Coinvolgere gli influencer (se in linea con i valori aziendali)
    • Analizzare i dati e applicare le correzioni alla strategia

    Social media marketing: quali vantaggi per la tua azienda
    Il social media marketing, pianificato e non improvvisato, può portare diversi vantaggi alla tua azienda.
    Una strategia efficace può allargare il pubblico in target, aumentare la brand awareness, aumentare il traffico verso il sito web, ottenere i contatti di potenziali clienti e vendere i propri prodotti e servizi.

    L’aspetto più importante è pianificare gli obiettivi e operare in modo tale da raggiungerli: se, per esempio, vogliamo allargare il nostro pubblico, dovremo creare un piano editoriale e pianificare le campagne a pagamento con ben chiara questa finalità.

    In poche parole, bisogna considerare il social media marketing un’attività di business e comunicazione aziendale e non come una “semplice” presenza sulle piattaforme.

    In conclusione

    Secondo il report 2023 sul social media marketing di We Are Social sono circa 4,76 miliardi gli utenti dei social media in tutto il mondo: un numero impressionante, che racconta bene quale possa essere l’importanza del social media marketing per un’azienda. Ignorare o, peggio ancora, utilizzare male i social è un grave errore. Al contrario, una buona strategia di social media marketing, condotta da professionisti, può aiutare a far spiccare il salto alla tua impresa.

  • Cos’è davvero il content marketing?

    Cos’è davvero il content marketing?

    Leggendo in giro i vari tutorial sull’argomento content marketing, il più delle volte traduzioni di post comparsi sui blog anglofoni, mi sembra che sul tema si sia ingenerata una certa confusione. Se ne parla, infatti, come se fosse qualcosa di arcano, che le aziende devono inventarsi grazie alla figura di un copy, un SEO-tuttofare o una specie di “scienziato pazzo” che si metta a scrivere in lungo e in largo sull’azienda e le sue attività . Qualcuno suggerisce addirittura che Google pianga, se non lo facciamo.

    In primis, il content marketing è adatto soprattutto per determinate nicchie di mercato e, soprattutto, non è affatto idoneo per moltissimi settori commerciali: farne uso solo perchè c’è scritto in un blog SEO, per quanto autorevole sia, e senza fare i conti con la propria specifica realtà , rischia di diventare un buco nell’acqua.

    In secondo luogo, il content marketing fatto male è tempo perso: se forziamo la mano a scrivere su argomenti su cui è difficile argomentare, o nel caso in cui si vogliano semplicemente aumentare le pagine indicizzate perchè “è sempre buono” (e non è vero), molto meglio dedicarsi ad altre attività .

    Il content marketing, nella pratica, è tipico dei settori del web che cercano di aumentare le conversioni dei propri prodotti, e può essere utilizzato con successo soltanto con la giuste dose di utilità  ed originalità  dei contenuti.

    Photo by Paloma Gà³mez

  • Che vuol dire target

    Che vuol dire target

    In generale, il termine “target” si riferisce a un obiettivo specifico o a un pubblico definito a cui mirare per raggiungere un determinato scopo o risultato. Il concetto di target può variare a seconda del contesto in cui viene utilizzato:

    1. Marketing e Pubblicità: Nel campo del marketing, il target indica il pubblico specifico a cui sono dirette le campagne pubblicitarie o le strategie di marketing. Questo può includere caratteristiche demografiche come età, genere, posizione geografica, reddito, ma anche interessi, comportamenti di acquisto e preferenze. Identificare il target è fondamentale per creare messaggi efficaci e mirati.
    2. Obiettivi aziendali: Nei contesti aziendali, il termine “target” può essere usato per indicare obiettivi specifici da raggiungere, come vendite, profitti, quote di mercato o altri indicatori di performance. Ad esempio, un’azienda può avere un target di vendita da raggiungere entro un determinato periodo.
    3. Settori come la ricerca scientifica o la tecnologia: Anche in altri campi, come la ricerca scientifica o la tecnologia, il termine “target” può essere utilizzato per indicare un obiettivo specifico. Ad esempio, in informatica, il termine “target” può riferirsi a un dispositivo o a un sistema operativo su cui un’applicazione è destinata a funzionare.

    In sintesi, “target” è un termine versatile e può essere usato in vari contesti per indicare un obiettivo, un pubblico specifico o un risultato desiderato.

  • Come scrivere un articolo in “ottica SEO” (spoiler: non si può)

    Come scrivere un articolo in “ottica SEO” (spoiler: non si può)

    Spesso il settore copywriting SEO si è prestato a clamorosi equivoci, uno dei quali (molto diffuso) riguarda il fatto che “basti saper scrivere” per posizionare qualsiasi cosa. Se questo vale davvero (e non ci sono prove a riguardo, per quanto molti indizi finiscano per suggerirlo), è chiaro che si tratta di restringerlo ad un ambito di competenza che appartenga all’autore. Se sono realmente un medico o un virologo, ad esempio, le mie FAQ sul Covid-19 possono funzionare bene e posizionarsi a dovere; stessa cosa se ad esempio io parlassi di software open source.

    Che cos’è l’ottica SEO di scrittura?

    In un certo senso, proprio nulla 😀 !

    Nonostante questo vari progetti editoriali basati sulla SEO tendono a lavorare molto sull’ottica SEO di un articolo, come se ci fosse un modo per scrivere per i motori di ricerca – e che poi, in ottica riduzionista, si riduca quasi sempre a “ripetere ossessivamente nell’articolo le parole chiave da ottimizzare”   (cosa che, alla lunga soprattutto, può diventare deleteria). Al tempo stesso, è molto più sintomatico di una SEO moderna scrivere gli articoli basandosi non sulla lunghezza o sul keyword stuffing bensì, molto più finemente, sull’intento di ricerca dell’utente.

    Ecco perchè non c’è una tecnica precisa per scrivere bene per Google e per gli utenti, ed ecco perchè molti sbagliano ad applicare tecniche di comunicazione tipiche dei tutorial tecnologici (come quelli del mio sito) a settori commerciali in cui non c’entrano nulla (purtroppo è un errore di sopravvalutazione molto comune: un sito di catering di mia conoscenza, ad esempio, ostentava orgogliosamente un singolare “dizionario del matrimonio” con le varie definizioni che, naturalmente, non si erano posizionate proprio da nessuna parte).

    Scrivere bene il testo di una pagina web aiuta a valorizzarlo sia per gli utenti che per i motori di ricerca: l’idea generale, infatti, è quella che il testo conti poco o nulla, che sia solo una questione di ripetere le parole chiave un certo numero di volte (molti ne sono convinti, ma questo vale solo per alcuni tipi di ricerche e, in genere, non è così semplice farlo) e che basti copiarlo o scopiazzarlo o variare leggermente testi già  esistenti.

    Per quanto esistano effettivamente tecniche black hat in tal senso, come ad esempio il desert scraping (in pratica “rubare” contenuti web non più indicizzati e ripubblicarli nel proprio sito), bisogna comunque essere in grado di farle senza farsi scoprire: in linea generale, pero’, sono i testi ben scritti quelli che sul web funzionano meglio, e si posizionano bene di conseguenza. “Ben scritti“, in questo caso, è molto relativo e soggettivo: si intende sempre rispetto agli altri risultati che escono fuori per la ricerca che stiamo provando ad ottimizzare.

    Come posizionare una pagina web su Google scrivendo “bene” il testo?

    È bene pace e rassegnarsi fin da subito a questa idea: solo i testi scritti bene si riescono a posizionare, o almeno – riescono a farlo in tempi e modi accettabili, e soprattutto durevoli nel tempo. Il “bene” in questione non coincide con quello di un corso di scrittura creativa, in effetti. Di sicuro molto dello stile giornalistico e cronachistico classico tende a girare un po’ troppo attorno ai concetti, e questo alla lunga crea più problemi di quanto dovrebbe risolverne. Non esiste alcuna ricetta pre-costituita per scrivere bene: per capire che stile sia meglio usare, possiamo basarci su statistiche del settore, analizzare le prime pagine dei competitor per le chiavi che ci interessano, leggere qualcosa di specialistico sulla’rgomento e documentarci soprattutto sui punti eventualmente più controversi, oscuri o ambigui di una materia.

    È comunque Google a decidere, e in molti casi sembra prediligere i testi con una buona (?) dose di keyword stuffing, soprattutto in determinati settori come adult e gambling – ma in fondo perchè decidere deliberatamente di “fare schifo“, se scrivendo bene possiamo far durare il nostro lavoro anche per mesi o anni?

    Con i testi scritti bene e a target con il nostro pubblico ci si posiziona bene, e questo è provato dai tanti siti di successo che riescono a posizionarsi da sempre.

    Come ottimizzare un testo per la SEO: il target di riferimento

    Quando scriviamo per il web, in effetti, cerchiamo sempre (o dovremmo cercare, in teoria) di soddisfare le esigenze del target   di riferimento di quel sito; i testi in sostanza devono essere pensati per uno scopo, pensando a quello che farà  (o a quello, se preferite, che vorremmo far far al lettore). Se lo scopo è aumentare i click sui banner del nostro sito, esempio tipico, dovremmo scrivere articoli che siano soprattutto chiari, e che rispondano alle esigenze di chi cerca – quindi, ad esempio, se ci stiamo posizionando con quell’articolo su una ricerca “X”, è opportuno non divagare troppo sul tema a meno che non sia davvero necessario. Certo non dobbiamo essere dei letterati per scrivere bene: bisogna saperlo fare, avere il dono della sintesi e riuscire a non ripetersi fino allo sfinimento, in nessun caso.

    Molti testi sul web sono concepiti per uno scopo (tipicamente: una conversione, cioè una vendita o l’iscrizione di un cliente al servizio); se scrivete un articolo sui coupon sconto o su offerte speciali del vostro, ad esempio, il testo potrebbe ad esempio dare delle spiegazioni dettagliate sul prodotto, riportare un parere tecnico sullo stesso, metterlo a confronto con altri prodotti simili e così via.

    Linee guide generali per il copy lato SEO

    In linea generale, poi, non esistono regole per scrivere un articolo in modo che si posizioni al 100%; si possono pero’ far seguire al copy alcune linee guida generali.

    1. Evitate di copiare da altri siti, quindi non prendete testi da altri siti perchè verranno visti come duplicati e la data successiva, in questi casi, farà  fede;
    2. Utilizzate la formattazione in modo corretto, usando la corretta enfatizzazione di alcune parole chiave ma senza pensare che l’uso del bold, ad esempio, possa servire ad ottimizzare “da solo” un testo; è più che altro una questione di cura del testo e di leggibilità .
    3. Impostate un title efficace, nel senso che sia espressivo del contenuto dell’articolo (e, in casi specifici, che contenga la parola chiave che state cercando di ottimizzare);
    4. Evitate di ripetere sempre la stessa parola chiave nel testo, perchè tende a rendere illegibile il testo, anche se vi potrebbe dare l’impressione che funzioni come tecnica di ottimizzazione; in realtà  la keyword density non è mai stato un parametro SEO rilevante, e pensare il contrario significa essere molto presuntuosi (o, al limite, aiuta a posizionarsi su Google per la ricerca presuntuosi SEO Italia; si scherza).

    I contenuti devono essere originali e utili

    Il contenuto della pagina deve essere originale, deve riportare informazioni di valore e possibilmente documentate. In genere potete provare a scrivere più pagine del vostro sito con stili e modalità  diverse, ad esempio dividendo il testo in paragrafi con un sottotitolo – quest’ultimo format sembra essere molto utilizzato e piuttosto gradito a Google, almeno per i contenuti di natura espositiva.

    Dimentica  la keyword density

    Lasciate perdere qualsiasi calcolo di keyword density: la keyword density NON è una metrica SEO, è semplicemente il conteggio del numero di occorrenze della keyword all’interno dell’articolo, e se il ranking dipendesse davvero da questo saremmo tutti ricchi, probabilmente un po’ a turno. Di sicuro è vera una cosa: se scrivete un articolo incentrato su una parola chiave, quella parola chiave deve apparire almeno una volta tra titolo, URL e testo perchè altrimenti, ovviamente, non ha senso alcun discorso.

    Non scrivere “tanto per”: la qualità  della scrittura è importante

    Poi ricordatevi che fare schifo per scelta non è mai una buona abitudine, e che Google penalizza i testi scritti “per i motori di ricerca”: quindi se proprio volete fare schifo, fatelo con classe. Soprattutto, specie se siete dei copy alle prime armi, fate attenzione alle sovraottimizzazioni, cioè evitate di applicare troppo alla lettera le indicazioni che vi danno tool come SEOZoom: se dovete scegliere tra un testo fluido e leggibile e l’applicazione forzosa di keyword density perchè “si fa così”, lasciate perdere. Tornate a raccogliere ortaggi nell’orto, che stiamo tutti più tranquilli.

    Bando al dilettantismo, insomma: scrivere per il web è una cosa terribilmente seria, soprattutto oggi.

  • Come disattivare la AI Overview da Google (almeno per un po’)

    Come disattivare la AI Overview da Google (almeno per un po’)

    AI Overview è una funzionalità introdotta da Google nel 2024 che mostra una risposta generata da intelligenza artificiale direttamente nella parte superiore della pagina dei risultati di ricerca (la SERP). Di per sè:

    • Compare automaticamente per molte query, soprattutto quelle informative o complesse.
    • È una risposta discorsiva creata da un modello linguistico (LLM), simile a ChatGPT.
    • Include spesso sintesi di fonti web, ma non sempre mostra chiaramente da dove arrivano le informazioni.
    • È non disattivabile manualmente: l’utente non può scegliere se vederla o meno.
    • Sostituisce o affianca il tradizionale “featured snippet” (il vecchio risultato zero).

    Problemi principali:

    • Può contenere errori o allucinazioni (informazioni inventate).
    • Riduce il traffico verso i siti originali, perché l’utente trova la risposta già nella SERP.
    • Crea una falsa percezione di autorevolezza, perché è visivamente più in evidenza.
    • Non si può disabilitare, se non – ad oggi – manipolando le query.

    La curiosità nel poterlo disabilitare manipolando le query prende spunto da questo post su FB, che mostra una tecnica colorita quanto efficace. In sintesi:

    Inserire una parola come ‘fo##uto‘ all’interno di una ricerca su Google impedisce la generazione automatica di un riassunto indesiderato da parte dell’intelligenza artificiale, che altrimenti comparirebbe in cima alla pagina.

    Anche se l’esempio può sembrare divertente, il meccanismo che lo sostiene è solido dal punto di vista teorico: l’inserimento del termine “fo##uto” modifica la struttura della query, cambiando la frequenza e il peso delle parole. In pratica, ogni parola aggiunta o rimossa da ciò che scriviamo nella barra di ricerca influisce direttamente sui risultati che otteniamo. Questo trucco è, in sostanza, un piccolo “hack”: una modalità non convenzionale per interagire con Google.

    Tra poco vi spiegherò nel dettaglio come metterlo in pratica anche voi — ma prima, serve un’introduzione (e un po’ di contesto storico).

    Esempio di quello di cui parliamo:

    Senza addentrarci troppo in dettagli tecnici, il principio che regola il funzionamento dei motori di ricerca per quanto riguarda le pagine web si basa su una disciplina chiamata information retrieval. Google analizza e organizza un’enorme quantità di siti, selezionando le pagine più rilevanti di ciascuno per poi mostrarle agli utenti che cercano informazioni su un determinato tema (ovvero, che inseriscono una query). Le pagine che compongono i risultati di Google vengono chiamate, nel linguaggio del settore, SERP — abbreviazione di Search Engine Results Page, cioè “pagina dei risultati del motore di ricerca”. L’ordine in cui appaiono i risultati non è casuale: riflette una combinazione tra la rilevanza del contenuto rispetto alla query e l’effetto che ha la presenza (o assenza) di specifiche parole chiave all’interno della richiesta.

    Motori di ricerca e LLM

    La situazione si fa più complessa quando all’interno di un motore di ricerca viene integrata un’intelligenza artificiale, più precisamente un Large Language Model (LLM) come ChatGPT, Gemini e simili. I motori di ricerca tradizionali e i modelli linguistici avanzati sono profondamente diversi, sia dal punto di vista tecnico che concettuale. Un motore di ricerca funziona più o meno come una guida turistica esperta: conosce i luoghi, li ha studiati e può indicarvi con precisione dove andare. Un LLM, invece, è più simile a un passante qualunque: potrebbe fornirvi indicazioni corrette, certo, ma anche confondervi con risposte convincenti ma sbagliate.

    La guida turistica può commettere errori, ma almeno si basa su informazioni reali. Il passante – nel nostro caso l’IA – può rispondere anche quando non sa, generando contenuti apparentemente plausibili ma inventati, un fenomeno noto come allucinazione algoritmica. Google, pur essendo uno dei motori di ricerca più avanzati al mondo, ha scelto (per ragioni strategiche e commerciali) di dare visibilità prioritaria alla cosiddetta AI Overview: un riquadro in cima alla pagina dei risultati, generato da un LLM, che occupa lo spazio principale “above the fold” – cioè la parte visibile subito, senza bisogno di scorrere. Al momento, non esiste un modo per disattivare questo riquadro né per chiuderlo.

    Ed è difficile ignorarlo: quel box cattura inevitabilmente l’attenzione, anche quando si cerca qualcosa di molto specifico.

    Come eliminare la AI Overview da Google (almeno per un po’)

    Al momento non esiste un’opzione ufficiale per disattivare la AI Overview su Google. Non c’è un bottone, una voce nelle impostazioni o un’estensione approvata che permetta di nascondere in modo permanente quel riquadro generato da un modello di intelligenza artificiale.

    Tuttavia, esistono alcune strategie pratiche (o hack) che possono ridurne la presenza o eliminarla caso per caso.

    Ecco la riformulazione del tuo testo, con uno stile coerente ai passaggi precedenti e un linguaggio chiaro ma variegato:

    Possiamo ora generalizzare la regola emersa all’inizio:

    aggiungere una parola “neutra” rispetto al contenuto della query sembra disattivare la generazione automatica dell’AI Overview.

    Se, ad esempio, cerchiamo “X”, è sufficiente affiancare a “X” un termine neutro, in modo da inibire la comparsa del box con la risposta generata dall’intelligenza artificiale. Ma quale? Non c’è una regola fissa.  Va detto che l’AI Overview tende a disattivarsi anche in presenza di parole volgari o esplicite: i sistemi di filtraggio NSFW (not safe for work) sono molto più restrittivi per un modello linguistico che per un motore di ricerca classico.

    Naturalmente non è mia intenzione invitarvi a usare espressioni offensive o inappropriate quando cercate qualcosa online.

    Il punto cruciale è comprendere cosa si intenda per “neutra”.

    Una parola neutra, in questo contesto, è un termine che non modifica il significato della query, non la deforma né ne altera il senso. È qualcosa che, agli occhi del sistema, rende la frase meno “classificabile”, meno adatta a far scattare i meccanismi automatici dell’intelligenza artificiale che generano lo snippet di risposta.

    Trovare esempi validi non è semplice, anche perché non esiste una formula fissa. Il principio, però, è chiaro: inquadrare bene il significato della nostra richiesta (“X”) e accostarvi una parola (“Y”) che sia semanticamente scollegata, ma non tanto da falsare il senso generale.

    Ecco alcuni casi testati:

    • come abbassare il cortisolocome abbassare il cortisolo mouse ✅ Funziona: la IA Overview sparisce.
    • come abbassare il cortisolocome abbassare il cortisolo culo ✅ Funziona, ma… evito valutazioni di stile 🙂
    • come abbassare il cortisolocome abbassare il cortisolo banana ✅ Funziona, ma è ambigua, perché può sembrare che la banana sia una risposta pertinente (e non lo è).

    In tutti questi casi, i link organici della SERP restano pressoché identici, ma la risposta automatica dell’IA viene soppressa.

    Attenzione, però: si tratta di un hack, non di una regola certa. Non tutti gli esempi funzionano, e Google può cambiare i criteri in qualsiasi momento. Il segreto è individuare il meccanismo e sperimentare molto.

    Ad esempio:

    • come giocare a damacome giocare a dama cheese ❌ Qui la parola neutra (in inglese) non disattiva l’AI Overview, che anzi fornisce una risposta poco precisa e fuori tema.

    Come si vede, l’effetto è variabile. A volte basta poco, a volte nulla cambia. La chiave è nel contesto: l’aggiunta deve rompere la prevedibilità della frase, senza snaturarla.

  • Crawl-delay, Google e SEO: cosa sono e come funzionano

    Crawl-delay, Google e SEO: cosa sono e come funzionano

    A cosa serve la direttiva crawl-delay?

    Crawl-delay indica la frequenza di scansione suggerita ai bot di scansione dei motori di ricerca; nello specifico, la frequenza di crawling (ovvero l’operazione di scansione delle pagine di un sito web da parte di un motore di ricerca) definisce l’intervallo minimo, in secondi, tra le richieste consecutive che i crawler dovrebbero eseguire. Qui la parola chiave è proprio suggerita, perchè si tratta di un suggerimento per i motori e non tutti, ad oggi, supportano questa feature.

    Il file robots.txt di alcuni siti molto grossi come Twitter, ad esempio, impone questo limite ad 1 secondo:

    # Wait 1 second between successive requests.
    See ONBOARD-2698 for details.
    Crawl-delay: 1

    Come si imposta?

    Dal file robots.txt, è sufficente inserire crawl-delay: seguito da uno spazio e la durata in secondi tra una scansione all’altra del crawler (vedi in seguito). Quindi, ad esempio:

    crawl-delay: 10

    indica un intervallo di scansione consigliato di 10 secondi.

    Motori di ricerca che supportano il crawl-delay

    Ad oggi ci sono:

    Yahoo!

    Bing

    Yandex

    tra i motori che riconoscono questa direttiva.

    Google riconosce la direttiva crawl-delay?

    In genere, no.

    Google infatti decide la velocità  di scansione di un sito in automatico, al fine di non appensantire il server e la velocità  di caricamento dello stesso, per cui non è necessario specificare questa direttiva (che invece potrebbe essere utile per altri motori di ricerca come ad esempio Bing). Se un criterio di schedulazione statica del crawler – statica nel senso di basata su un intervallo predefinito di secondi – poteva essere valido fino a qualche anno fa, infatti, sappiamo che i server moderni sono perfettamente in grado di gestire richieste multiple contemporaneamente ad altissima velocità , per cui un limite del genere per Google non ha alcun senso (e Google è piuttosto smart in tal senso).

    Se state editando il file robots.txt del vostro sito, la direttiva crawl-delay potrebbe suscitare più di un dubbio, specialmente se rapportata a Google (per cui non ha senso impostarla, a quanto pare). In effetti, specificare nel file robots.txt una cosa tipo:

    crawl-delay: 2

    significa imporre che il crawler debba aspettare 2 secondi tra una scansione (una crawl action, cioè un’azione di scansione che potrebbe anche riguardare una parte del sito) e la successiva.

    crawl-delay ruled ignored: cosa vuol dire?

    Google non da’ alcun peso a questa indicazione, tanto che in alcuni casi, nel tool della Search Console dedicato all’analisi del file robots.txt, potrebbe apparire una segnalazione di warning (errore non grave) tipo:

    crawl-delay ruled ignored

    ovvero direttiva ignorata o non supportata da Google, nello specifico, per le ragioni seguenti. La spiegazione ufficiale si trova nel video successivo, direttamente da John Mueller di Google, che ne conferma la non necessità .

    Non è un errore, quindi, ma è soltanto un avviso per il webmaster del sito.

    Devo impostare il crawl-delay?

    In genere non è necessario, almeno se state indicizzando un sito su Google. Si può pensare quindi di rimuovere completamente la direttiva dal file robots.txt del proprio sito, limitandosi a farne uso per impedire al crawler di effettuare scansioni di specifiche, eventuali sottodirectory del proprio sito.

    Se invece fate SEO per Bing o altri motori, può avere senso impostare questo limite a 1 o 2 per i siti di dimensioni molto grosse, appena arrivati sui motori e con molte pagine che sono state ignorate nella scansione in precedenza. Se il sito è piccolo, invece, non serve specificarla in nessun caso.

  • SEO e WordPress: la guida che pensa fuori dal gregge

    SEO e WordPress: la guida che pensa fuori dal gregge

    Iniziamo in questi termini: non esiste una SEO specifica per WordPress, e chi sostiene il contrario è mal informato o in malafede del tutto. Molte scelte SEO che facciamo per i nostri siti, in effetti, sono indipendenti dal CMS utilizzato: per cui una buona regola che si applica su WordPress è plausibile possa usarsi con successo anche su Joomla! o altri CMS (inclusi quelli proprietari o realizzati manualmente). WordPress produce HTML in modo automatizzato, mentre capire come intervenirci è richiede di avere idee chiare prima di installare o fare qualsiasi cosa. Non ci sono CMS migliori di altri per la SEO, ma sicuramente WordPress è una delle scelte più amate e popolari tra gli utenti di ogni tipo.

    La SEO non è un’opinione, scrive (molto giustamente a mio avviso) Andrea Pernici sul blog di Taverniti: richiede una conoscenza approfondita del contesto in cui stiamo operando, e solo dopo si potrà  passare alla fase di azione. Non è solo tecnica, non è solo creatività : conoscere il contesto vuol dire, a prescindere dall’uso o meno di WP, capire come si comportino gli utenti, come valorizzarne i contenuti, cosa cerchino più spesso i potenziali clienti, come ottenere citazioni e link dall’esterno e via dicendo.

    Come ottimizzare WordPress per la SEO: linee generali

    Non spellatevi le mani a cercare ed installare decine di plugin con la parola “SEO” nel titolo: WordPress di per sè è già  pronto per la SEO, anche senza nessuno di questi: ciò vale a prescindere dall’uso o meno di Yoast, il celebre plugin per la SEO utilizzato dai più che pero’, badate bene, possiede anche dei limiti e qualche piccolo difetto. Ne riparleremo in seguito, per il momento non perdiamo il filo e cerchiamo di capire come ottimizzare localmente un sito in WordPress.

    Come ottimizzare i permalink di WordPress

    Avrete notato nella lista di indirizzi che, in linea di massima, esistono due possibili tipologie di link del sito: quelli con URL “più amichevoli” (tipo http://seo.salvatorecapolupo.it/blog/guida-seo-iniziare/) e per così dire “meno amichevoli” (come http://salvatorecapolupo.it/?p=798): in genere, il primo tipo di URL è mappato sul secondo, ovvero ne costituisce un alias. In altri termini cliccando sull’indirizzo con il numero (non SEO friendly, o grezzo) e su quello con lettere e numeri (SEO friendly o “discorsivo”) andremo comunque a finire sulla stessa risorsa.

    Tecnicamente (lato server) gli URL SEO friendly richiedono:

    • Apache con mod_rewrite abilitato
    • Hiawatha con UrlToolkit abilitato
    • Microsoft IIS con diversi moduli abilitati (URL Rewrite, …)
    • Lighttpd con un 404 handler oppure mod_rewrite

    ma il più delle volte si ricade nella prima opzione. Per questo il mod_rewrite è già  attivo di default, anche se va abilitato via WP mediante:

    http://nomesitowp-it/wp-admin/options-permalink.php

    che è la pagina standard di attivazione dei vari tipi di permalink.

    Se preferite, quindi, i permalink sono un nome più facile da ricordare per un indirizzo, ma anche più “comunicativo” e più ricco di informazioni per utenti e motori di ricerca. Per attivare i permalink SEO friendly in WordPress sarà  necessario attivare il mod_rewrite (nel caso di Apache server) e per farlo basta editare il file .htaccess ed inserire le direttive:

    # BEGIN WordPress
    <IfModule mod_rewrite.c>
    RewriteEngine On
    RewriteBase /
    RewriteRule ^index\.php$ - [L]
    RewriteCond  %{REQUEST_FILENAME}  !-f
    RewriteCond  %{REQUEST_FILENAME}  !-d
    RewriteRule . /index.php [L]
    </IfModule>
    # END WordPress

    dopo aver editato e salvato il file .htaccess in questi termini, andremo dal backend amministrativo su Impostazioni -> Permalink (ovvero http://nomesitowp-it/wp-admin/options-permalink.php).

    Se tutto è andato per il verso giusto, ora, dovremmo vedere una cosa del genere.

    Semplice” in questo caso coincide con quanto detto prima sugli URL “non SEO friendly“: un visitatore che non conosca il nostro sito non capirebbe da quel numerino (123 nell’esempio) di che tipo di pagina si tratta. Scorrendo la lista troveremo numerose opzioni disponibili, di seguito riporto i miei suggerimenti per fare la scelta giusta.

    • Data e nome, Mese e nome – Questa impostazione è ideale per i siti WordPress usati per le news o aggiornati molto spesso, per cui ci interessi disporre di un archivio notizie.
    • Numerico, Nome articolo – È preferibile usare questa impostazione nel caso in cui le date di pubblicazioni non siano prioritarie nel sito, come avviene ad esempio per un blog usato come FAQ, come raccolta di tutorial o privo di notizie temporalmente rilevanti.

    Una struttura molto usata, poi, è questa (e la sto usando anch’io nel mio blog):

    /%category%/%postname%/

    ovvero:

    e poi cliccare su Salva le modifiche:

    Base delle categorie e base dei tag servono, volendo, a rinominare gli URL di categorie e tag da:

    http://seo.salvatorecapolupo.it/category/nome_categoria

    a

    http://seo.salvatorecapolupo.it/mionome/nome_categoria

    e da

    http://seo.salvatorecapolupo.it/tag/post_con_tag_x

    a

    http://seo.salvatorecapolupo.it/altromionome/post_con_tag_x

    Esistono ulteriori varianti combinabili fra loro, che possono essere analizzate sul sito ufficiale.

    Come ottimizzare il file Robots.txt per WordPress

    Poco da dire in questa situazione: non esiste un robots.txt considerabile di default per WP, perchè si tratta di un’impostazione a livello più alto, in qualche modo. Il mio suggerimento è quello di lasciare questo file massimamente permissivo, ovvero:

    User-agent: *
    Disallow:

    Per rimuovere contenuti da Google, inoltre, si può sfruttare il file robots.txt, volendo, ma solo se esista una necessità  precisa di farlo.

    Come ottimizzare i contenuti di WordPress lato SEO

    A questo punto dovremmo individuare i contenuti che vanno ottimizzati: possono essere tutti i post, tutte le pagine o solo una parte di esse. Può essere una buona idea far partire l’ottimizzazione elencando tutti gli URL, home inclusa, che desideriamo ottimizzare per i motori di ricerca. L’idea base che dovrebbe guidarci in questa fase è orientata al raggiungimento di un obiettivo: non è corretto pensare di fare delle modifiche ai permalink, oppure cambiare un titolo di un articolo, ed “automaticamente” finire in prima pagina su Google. Ottimizzare un sito per incrementare le visite non coincide necessariamente con le attività  necessarie per aumentarne le conversioni, ad esempio.

    Piuttosto, il buon posizionamento sarà  derivato da un mix di più fattori concorrenti e spesso imprevedibili. Se il nostro obiettivo è quello di massimizzare le visite da motore di ricerca, potremo provare a cercare di far coincidere i titoli degli articoli con parte delle più comuni ricerche fatte dagli utenti. Si tratta pero’ di una cosa che tendono a fare un po’ tutti, per cui non è detto che possa bastare al nostro caso.

    Per aumentare le visite la cosa migliore è, in generale, quella di trovare buone fonti di traffico   mediante link building da siti popolari, autorevoli o entrambi. Come fare dipende da caso a caso, o da sito a sito, come ho spiegato estensivamente nel mio ebook sulla SEO.

    In generale, si possono seguire più criteri per ottimizzare i contenuti:

    1. variare i titoli degli articoli o delle pagine (a seconda di quello che ci serve) al fine di capire quali funzionino meglio in termini di visite, CTR, click e così via; in caso di dubbi o ambiguità , favorite sempre titoli funzionali a far capire all’utente cosa troverà  nella pagina destinazione.
    2. testare diverse opzioni a livello di contenuti, cambiando formattazione e favorendo la leggibilità  del contenuto;
    3. massimizzare la pertinenza degli articoli rispetto alle ricerche, cioè fare in modo che “rispondano alle domande” meglio della concorrenza (ecco perchè è importante capire il contesto, come dicevo prima);
    4. rinnovare periodicamente i contenuti degli articoli (almeno quelli soggetti ad invecchiamento);
    5. aggiornare gli articoli per inserirvi, se possibile, elementi che possano risultare graditi, utili o funzionali per l’utente.

    Vale per siti in WordPress ma, in questo caso, vale anche per altri tipi di sito.

    Quali plugin SEO è meglio installare?

    I principi base per la SEO in WordPress sono quelli che abbiamo visto in questa pagina: a questo punto potremmo decidere di istallare anche dei plugin, per quanto non sempre sia necessario o consigliabile farlo.

    Il plugin SEO, in linea di massima, può essere utile per effettuare delle ottimizzazioni mirate: ad esempio, SEO Yoast permette di ottimizzare direttamente la home di determinati temi, cosa che non si può editare direttamente e che possiamo sfruttare a nostro vantaggio. Inoltre, questo plugin aggiunge un prefisso o un post-fisso a tutte le pagine, i contenuti ed i post, e permette di regolare il livello di indicizzazione di post, pagine e allegati. Ad esempio, potrei impostare Yoast in modo tale che indicizzate solo post e pagina e non gli allegati, op oppure solo gli allegati. La scelta dipende dalla tipologia di sito e dei contenuti che vogliamo valorizzare (anche qui se non capiamo bene il contesto e quello che si aspetta l’utente medio che cerca nel nostro settore su Google, difficile che andremo da qualche parte).

    Non esiste un plugin SEO migliore degli altri: esistono SEO in gamba che sanno utilizzarli e SEO con poca esperienza che li usano male. Motivo per cui il confronto tra plugin SEO ha senso soltanto in termini delle caratteristiche che offrono all’utente finale. Ho realizzato di seguito una tabella nella quale indico le caratteristiche principali a confronto di Yoast SEO e di SEO Ultimate, i plugin che uso quasi sempre sui miei siti.

    In generale è sconsigliabile installare contemporaneamente più di un plugin SEO sullo stesso sito, in quanto potrebbe generare conflitti o errori irreversibili.

  • Reputazione online: cos’è e come lavorarci

    Reputazione online: cos’è e come lavorarci

    La reputazione online è uno degli aspetti più interessanti, e spesso sottovalutati, ai quali sono interessate sia le aziende che i singoli individui. Di fatto, la reputazione rappresenta, in ambito digitale, il modo in cui un utente, una realtà  aziendale oppure un professionista si presenta sul web.

    Cosa si intende per web reputation

    La reputazione sul web è ciò che vediamo ad esempio su Google quando proviamo a cercare il nostro nome; se ci provate anche voi, usciranno fuori un insieme di risultati tratti dai vari siti che raccolgono informazioni su di voi. Se in alcuni casi potranno uscire risultati di cui sarete anche consapevoli (ad esempio: il vostro profilo Facebook o Twitter), ce ne potrebbero essere altre di cui, invece, non sarete consapevoli. La cosa potrebbe sorprendere ma bisogna sempre ricordare, di fatto, che Google è uno strumento sempre più potente e ad ampio spettro, e per quanto gli strumenti per la privacy non mancano ci sarà  sempre, più o meno, chi proverà  ad abusarne a nostro svantaggio.

    È anche possibile, in alcuni casi, richiedere una consulenza sulla propria reputazione online o su quella della propria azienda, al fine di provare, generalmente, di “correggere il tiro” in caso ad esempio di articoli sgradevoli o diffamatori, contenuti che violano la nostra privacy, recensioni negative e così via. Queste consulenze solo molto specialistiche e vanno valutate caso per caso, perchè non sempre è possibile intervenire: se ad esempio vi recensiscono male un prodotto, è più corretto rivedere forma e sostanza di quel prodotto invece di prendersela con chi lascia recensioni negative. Diverso è il caso, ad esempio, in cui le recensioni negative sono finte o messe lì apposta, ed in quel caso si possono provare delle azioni per farle rimuovere, anche qui – purtroppo – non sempre con la garanzia di successo.

    L’ossessione per il controllo: una tendenza da combattere

    Sono numerose le aziende che si occupano di reputazione digitale, di fatto, e molte di esse insistono su concetti canonici: spulciare il web alla ricerca di riferimenti “scomodi” per qualcuno, e provare a farli rimuovere. Se questo può essere visto in ottica costruttiva come lotta allo spam che affligge molte aziende, che vengono scrapate (cioè il loro sito viene copiato, in tutto o in parte) spesso a loro insaputa, con il clamoroso risultato (a volte) che i contenuti copiati salgono su Google ed emergono prima di noi – per altri versi può essere visto come un qualcosa di clamorosamente fraintendibile, ovvero illudersi che il web possa rappresentare esattamente l’immagine che vorremmo di noi stessi. Questa tendenza, vagamente narcisistica e determinata da mille cause (sulle quale non indagherò, per amor di brevità ) si riflette nell’idea che trattare la reputazione digitale possa significare avere il controllo completo del web: cosa che è in generale falsa, dato che il web per sua natura è incontrollabile e i contenuti “scomodi” rimossi oggi potrebbero comunque riemergere domani.

    La tendenza, nella seconda accezione, a contrastare il diritto all’informazione sfruttando “trucchetti” spesso nemmeno funzionanti, alla lunga, può essere parte di molte strategie SEO atte a lavorare in questa direzione, per quanto poi sia più logico (anche se non sempre praticabile) far emergere ad esempio un sito ufficiale di una persona, o di un’azienda, che porti lecitamente avanti le proprie ragioni. In questo modo, alla lunga, si potrebbe ottenere qualche risultato, per quanto poi sulle recensioni negative, ad esempio, non ci sia molto da fare se non, al limite, utilizzare strategia di crisis management, rispondere ai commenti negativi e cercare se possibile di rimediare al problema riscontrato dall’utente.

    Quali sono gli strumenti utili per la reputazione online

    In genere nelle analisi professionali di reputazione online intervengono vari tool che sono sulla falsariga di quelli usati per la SEO (SEOZoom, SEMRush ecc.). In realtà  può anche bastare solo Google, ed il senso della consulenza si esplica nel fatto di sapere come modificare i risultati, o provando a farli rimuovere o chiedendo una rettifica. È nostro diritto farlo, soprattutto se i contenuti fossero anche solo involontariamente diffamatori o poco gradevoli nei nostri confronti, ma ovviamente – al tempo stesso – vale anche il diritto di cronaca da parte di chi scrive.

    Come rimuovere un contenuto da Google

    Per cancellare un contenuto da Google possiamo ricorrere alla guida ufficiale di Google, e su questa falsariga decidere di:

    • contattare il proprietario del sito per far rimuovere il contenuto (cosa più semplice e spesso inaspettatamente funzionante);
    • far rimuovere per “giusta causa” il contenuto a Google su richiesta, allegando documentazione (eventualmente anche legale o amministrativo-burocratica), cosa che è una prassi nel caso di immagini intime pubblicate senza consenso, pubblicazione di deep fake pornografici, contenuti palesemente falsi o diffamatori, casi di doxxing (contenuti che indicano nome, indirizzo, telefono, cognome, indirizzo, città  di una persona che non ha motivo o non vuole farsi trovare), richieste di estorsione per rimuovere un contenuto, informazioni riservate di natura medica, finanziaria o di identità .

    Il GDPR per la privacy è molto chiaro a riguardo, e si può fare riferimento allo stesso (magari con l’aiuto di un consulente legale) per maggiori informazioni. Google si è adeguato da anni a questa normativa, e secondo una sentenza del 2020 se ad esempio c’è un articolo che ci diffama possiamo farlo de-indicizzare dai motori ma non cancellare dall’archivio del giornale, che deve rimanere archivio, per l’appunto, a scopo di documentazione.

    La reputazione online è una sorta di SEO “al contrario”, se vogliamo, in cui cerchiamo di togliere i risultati poco rilevanti (ricordiamo che non ci sono regole assolute, e che non possiamo manipolare i risultati come vogliamo nel 100% dei casi: spesso, di fatto, non ne abbiamo modo nè diritto). A seconda del sito web che ci cita o che esce cercando su un motore il suo nome, comunque, possiamo provare diversi tipi di interventi.

    Per monitorare il nostro nome ed i risultati di ricerca che lo riguardano nel tempo, possiamo fare uso ad esempio dello strumento di Google Alert.

    Sito personale

    I contenuti di un sito personale o aziendale che ci (auto)cita può essere cancellato o modificato, banalmente, ed in questo caso non dovremmo avere problemi di alcun tipo nel farlo. Dopo un po’ che la pagina è stata modificata o cancellata, dovrebbe sparire dai motori (in caso facciamo uso dello strumento di rimozione da Google, ed i siti su cui abbiamo il controllo sono l’unico caso in cui possiamo farlo).

    Linkedin

    Se abbiamo un profilo Linkedin che non vogliamo più fare apparire su Google, possiamo modificarlo, anche qui, oppure cancellarlo.

    Siti generici e blogche ci citano

    Se non vogliamo essere citati da un risultato di ricerca che ci cita su un blog o sito di cui non sapevamo nulla, possiamo semplicemente provare a contattare la redazione dalla sezione contatti di quel sito, che dobbiamo cercare nella pagina con CTRL F sul browser, oppure cercando sezioni come chi siamo e simili. Il modulo di contatto, qualora non ci fosse, ci spinge a rivolgerci al servizio di hosting di quel sito e chiedere all’hosting la rimozione, facendo presente il problema alla sezione abuse dell’hosting. Possiamo scoprire l’hosting di un sito seguendo questa guida sul web.

    Teniamo conto, comunque, che per come funziona il web chiunque potrà  sempre ricreare un contenuto fake e posizionarlo, per cui non esiste un modo per tutelare ognuno di noi al 100%.

    Facebook / Instagram

    Se abbiamo un profilo Facebook che non vogliamo più far vedere sui motori per motivi di privacy o altro, possiamo rendere il profilo non visibile sui motori. Possiamo anche decidere di cancellare il profilo Facebook, come spiegato qui.

    Se abbiamo un profilo Instagram che non vogliamo più far vedere sui motori anche qui per motivi di privacy o altro, possiamo escuderlo da Google rendendolo privato. Possiamo anche togliere immagini, modificare nome (ad esempio mettendo un nickname al posto del nome reale) e seguire le istruzioni ufficiali come ulteriore referenza. Possiamo anche decidere di cancellare il profilo Instagram, come spiegato qui.

    Conclusioni

    Dovrebbe essere chiara, a questo punto, l’importanza della reputazione online sulla base del numero di compromessi ed accortezze che riusciamo ad ottenere, e che abbiamo descritto in questo articolo. La reputazione vale addirittura per il mercato nero del darkweb, un mondo risaputamente de-regolamentato in cui ci si rivolgere comunque, tendenzialmente, a venditori affidabili. A maggior ragione, quindi, dovrebbe valere sul web che tutti navighiamo ogni giorno.

    Foto di mohamed Hassan da Pixabay

  • SERP: come sono organizzate le pagine dei risultati di Google

    SERP: come sono organizzate le pagine dei risultati di Google

    Definizione SERP

    Le SERP (Search Engine Results Page, ovvero pagine dei risultati di ricerca di Google) sono le pagine dei risultati di ricerca di Google, cioè la lista dei siti che escono fuori quando facciamo una ricerca. Le SERP non sono assolute: in genere sono sempre relative alla persona che cerca, alla sua posizione geografica, allo storico delle ricerche e al dispositivo utilizzato.

    Ad esempio una SERP da anonimo (cioè senza essere loggati in Gmail) è quella che esce cercando , e a giorno 8 febbraio 2021 è la seguente:

    Un altro esempio di SERP è quello che esce fuori se provo a cercare, ad esempio loggato in Gmail e con geolocalizzazione attivata, “ristoranti a Roma“:

    E così via, ovviamente.

    Cerchiamo di scoprire meglio a cosa servano, e perchè sia così importante ottimizzarle in ambito SEO.

    Come lavorano le SERP di Google

    I risultati di ricerca di Google non è noto pubblicamente come siano generati, con quale frequenza ed in base a quali effettivi fattori; per questo motivo, e per ovvie ragioni di convenienza e strategia commerciale, sono da sempre oggetto di affascinanti teorie e di studi effettuati per carpirne i segreti. Del resto è comprensibile, questa cosa interessa tutti, in fondo.

    Il massimo sarebbe riuscire a comprendere i criteri usati da Google per costruire le SERP (cioè le pagine dei risultati di ricerca, Search Engine Results Page), ma come vedremo in realtà  non serve spingersi così a fondo, e – anzi – rischia di diventare uno sforzo inutile. Tutto quello che c’è da sapere sui risultati di ricerca di Google è legato ad un’analisi coerente e puntuale di ciò che cercano gli utenti, di cosa si aspettano di trovare nelle pagine Web, e delle idee più innovative per risolvere i loro problemi.

    In pratica per valutare una SERP noi andiamo a:

    • stabilire che cosa cerca l’utente per arrivare a determinate informazioni, prodotti o servizi;
    • valutare le intenzioni della ricerca (search intent): se è una query con cui voglio comprare, informarmi, passare il tempo, ecc.
    • stabilire se la posizione geografica dell’utente che fa la ricerca sia rilevante o meno (ad esempio nella ricerca dei risultati)
    • valutare, internamente da parte di Google, se sia il caso di considerare le ricerche precedentemente effettuate dall’utente, che possono costituire uno storico di ricerche condizionante (ad esempio se prima ho cercato “cos’è un ipad“, poi “ipad ricondizionati” ed infine se cerco semplicemente ipad in seguito, è plausibile che mi aspetti di comprarne uno a prezzo relativamente basso, e magari nemmeno dal sito della Apple).

    Keyword research: la ricerca di parole chiave utili

    Le pagine di ricerca di Google (SERP, cioè la lista di risultati che vengono mostrati per una certa ricerca) possono cambiare in base al tipo di ricerca che facciamo, e mostrarci cose diverse come pagine web, luoghi da visitare, offerte da comprare e così via. Per rispondere alla domanda “quali ricerche ottimizzare” per il mio sito, usualmente si effettua una keyword research ed il concetto di search intent (per capire quali ricerche siano più utili).

    Questa pratica, per certi versi, rischia di essere castrante o limitante: spesso quello che interessa è procurare visite tematiche ed utili al sito, ed in motli casi è possibile farlo sfruttando parole chiave mediamente cercate e poco ottimizzate dai competitor, ad esempio.

    In ambito SEO anche se non esiste una classificazione universalmente accettata, le principali classi di ricerche sono le seguenti. Si fa riferimento al termine query di ricerca per indicare la stringa di parole usate fare materialmente la ricerca.

    • Transazionali – sono le ricerche più interessanti, perché spesso riescono a finalizzare un acquisto. Per cui l’ideale in molti casi è creare delle pagine Web in grado di far vendere un prodotto un servizio da parte di chi stava cercando proprio quello. Esempio: migliori VPN
    • Informazionali – sono le ricerche tipiche di chi sta cercando informazione, ovvero si tratta delle serve piegate ai tutorial alle guide E a tutte le azioni relative a prodotti servizi passioni attività . Esempio: come installare WordPress
    • Di brand – si tratta delle ricerche più fatte per ottimizzare perché legate ad un brand. Il più delle volte Google tende a portarci, in queste ricerche, sui siti ufficiali dei marchi che si cercano. Esempio di ricerca di questo tipo: Facebook

    Cosa comporta il fatto che un risultato sia in prima pagina?

    Quando un risultato si trova in prima pagina significa che, dal “punto di vista” Google, quella pagina web o quella risorsa è massimamente coerente o pertinente rispetto alla ricerca, all’utente, al contesto, alle precedenti ricerche, alla posizione dell’utente (cioè se fa la ricerca da Roma, Cosenza o Milano) e così via. In genere i primi risultati di ricerca sono considerati ovviamente di maggior pregio dei successivi, e molti utenti tendono istintivamente a fidarsi degli stessi come se fossero sinonimo di qualità  (in realtà  non è così per forza, ndr).

    Esiste anche un caso particolare: la cosidddetta posizione zero, che avviene soltanto per alcune ricerche e per siti impostati adeguatamente.

    Per saperne di più sul posizionamento su Google, leggi la guida SEO avanzata (sì, è gratis!).

    Che criteri usa Google per determinare il ranking?

    In giro troverete varie risposte: backlink, ottimizzazione interna, rich snippet (forse sì, forse no), addirittura numero di condivisioni sui social, secondo alcuni, struttura link interni, qualità  dei contenuti del sito, usabilità  del sito, velocità  di caricamento delle pagine. La verità  è che nessuno di noi addetti ai lavori ne sa nulla, a riguardo, e che Google è da sempre (giustamente) molto “abbottonato” sull’argomento: semplicemente, c’è chi fa fruttare meglio l’esperienza e chi, invece, è solo più fortunello degli altri 😉

    Di conseguenza il meglio che si può fare è avere come riferimento una lista di fattori di posizionamento (ranking factor) con l’accortezza di prenderli sempre col beneficio del dubbio. Non ci sono metodi sicuri al 100% per portare il tuo sito in prima pagina su Google, in nessun caso.

    Modi di dire: allevare una SERP in seno

    Succede quando ottimizzi involontariamente i siti dei tuoi competitor, che poi vengono a leggerti e mentre lo fanno se la ridono sotto i baffi alla faccia tua (lo stai facendo anche tu, vero?)

    [fine modalità  scherzosa]

    Fondamenti sulle SERP

    Da un punto di vista puramente legato all’apparenza i motori di ricerca funzionano così:

    1. Un utente apre la pagina del motore ad esempio Google.it;
    2. Effettua una ricerca nella casella adibita allo scopo;
    3. Gli vengono mostrati dei risultati di ricerca;
    4. Clicca sul risultato che ritiene più consono, e soddisfa il proprio obiettivo (ricerca, acquisto, ecc.);
    5. Diversamente, prova a fare una ricerca diversa e torna al punto 2.

    Formalmente questa sequenza non è sbagliata, ovviamente, ma di per sè non considera alcuni aspetti cruciali.

    Su questo è necessario fare una serie di precisazioni: tanto per cominciare, infatti, la ricerca dell’utente raramente è “secca”, nel senso che è improbabile (ho comunque non è scontato) che che l’utente non solo riesca a trovare quello che vuole al primo colpo, ma anche che riesca anche solo a scriverlo in modo corretto.Non è quindi discorso esclusivamente di quali siti vengono inseriti nelle SERP, ma anche del modo in cui gli utenti effettuano le ricerche: processo, quest’ultimo, formalizzato il più delle volte attraverso una opportuna keyword research.

    Il fatto che l’utente possa non cercare nel modo corretto quello che vuole È una probabilità  tutt’altro che remota: questo ovviamente non perché il nostro amato sia un incapace, ma perché il processo di ricerca sui motori risponde ad un meccanismo complesso (ed ignorato, assurdamente, da molti SEO) noto come sessione di ricerca. Una sessione di ricerca è in genere una sequenza di ricerche di termini e di click sui risultati reputati più interessanti, E fa quindi riferimento ad una sessione un po’ più ampia in cui lo schema a cinque punti visto qui sopra può essere alterato, ripetuto e formalizzato in modi leggermente diversi.

    Quello che fa la differenza in SERP il più delle volte E il numero di clic e vengono effettuati sul nostro risultato di ricerca: in questi termini abbiamo che spesso conta di più quanti clic facciamo sul risultato E non tanto il numero (1, 2, 3, … su Google) in cui riusciamo a posizionarci. Il criterio di scelta del risultato migliore da parte dell’utente, del resto, non è necessariamente il primo della lista, come una forma di SEO piuttosto ossessivo-compulsiva tende a farci credere: semmai, più realisticamente, è quello ritenuto più pertinente per l’utente, in modo del tutto soggettivo.

    Per convincersi di questa cosa basta considerare una ricerca informazionale molto comune come a esempio hotel a Milano, che restituisce se e risultati diversi in base al periodo dell’anno, alla posizione geografica, alle ricerche precedenti, alle aspettative dell’utente che farà  clic sui risultati Sulla base di preconcetti cultura personale aspettative e molti altri aspetti decisamente poco prevedibili.

    Le SERP vengono aggiornate periodicamente da Google

    In genere i risultati di ricerca di Google vengono aggiornati con periodicità , sulla base di più fattori: Google tende a “pingare” i siti web per verificare che non ci siano aggiornamenti sulle pagine, e nel caso in cui ne rilevi vengono assimilati e “digeriti” dal motore. In certi settori, quindi, come quelli dei tutorial e delle guide, è un bene aggiornare molto spesso le proprie pagine, sfruttando l’update di Google noto come Caffeine che vede di buon occhio le modifiche e gli aggiornamenti migliorativi. In altri settore come l’ecommerce invece potrebbe non essere necessariamente così, anche perchè magari uno non ha necessità  nè modo di aggiornare le pagine o arricchirle.

    Tutto questo processo, ovviamente, possiede inoltre un’influenza diretta in termini di posizionamento, e cambia dinamicamente le SERP nel tempo: ciò può avvenire con frequenza molto rapida su parole chiave molto competitive, anche se tendenzialmente i risultati migliori tendono a stabilizzarsi col tempo.

    Le SERP possono migliorare o peggiorare

    Per quanto possa sembrare una banalità , i risultati di ricerca dal punto di vista del sito che stiamo usando possono migliorare o peggiorare. Tale comportamento non è prevedibile a priori, e alla meglio si possono fare delle stime approssimate a riguardo.

    In genere la valutazione delle SERP viene effettuata su base giornaliera; non ha senso considerare intervalli di tempo più piccoli (ed è anche molto dispendioso come lavoro), in casi critici e/o molto competitivi può avere senso considerare il ranking su base settimanale.

    Le SERP potrebbero migliorare se lavori bene lato SEO

    Anche qui rischia di scivolare una banalità  ma resta come fatto direi quasi scientifico il fatto che se si lavora bene lato SEO ed in modo coerente con la natura del sito da ottimizzare, seguendo una linea editoriale che sia valida per quel particolare sito I risultati di ricerca possono migliorare sensibilmente soprattutto nel medio-lungo periodo. Non è detto che tutte le modifiche siano migliorative, E molte delle stesse possono sembrare del tutto irrilevanti.

    Non tutte le modifiche che si fanno si notano in tempo reale, ma alcune legate all’esempio all’uso dei rich-snippet possono mostrare eccellenti risultati in modo quasi istantaneo rispetto alla data in cui sono stati introdotti.

    Le SERP sono influenzate dai… ranking factor (ma anche no)

    I ranking factor sono i fattori SEO che tendono ad influenzare l’aspetto delle sarà  ed il loro comportamento. Bisognerà  distinguere tra fattori quantitativi (legati al tipo ed al numero di backlink esterni, all’utilizzo della tecnologia di schema HTML schema.org, cosiddetti rich snippets) e fattori qualitativi (come ad esempio il tipo di <title>, il contenuto della meta description, …). In genere trovo questa visione tanto intuitiva quanto sostanzialmente ingannevole per i principianti: se ci si lega a questo schematismo dei fattori di ranking come “manopole” SEO, infatti, si rischia di compiere meccanicamente attività  senza alcun senso, come esempio inserire per forza parole chiave all’ interno del <title>, anche qualora la natura della pagina Web non lo richieda affatto.

    In genere gli unici ranking factor che siano degni di attenzione sono quelli coerenti con la natura del sito: esistono quindi fattori utili per gli e-commerce (ad esempio essere citati da un quotidiano nazionale, oppure da una rivista di settore, oppure ancora fare uso di rich snippet per i prodotti), fattori utili per i blog (essere linkati da altri blogger, ecc.) e così via.

    Le SERP possono peggiorare se… lavori male

    Questa è un’altra verità  che emerge chiaramente dopo anni di lavoro del settore: se lavori male Google ti ignora o ti castiga. Ecco perché le attività  SEO non dovrebbero mai essere affidate a presunti professionisti O pseudo esperti del settore. Chiunque e in grado di affibbiarsi l’etichetta di SEO specialist, ma sono davvero pochi quelli in grado di dare un miglioramento concreto alla SERP di interesse per la tua azienda.

    Tipi di SERP: classiche

    La SERP classica, statica e monolitica in realtà  non esiste neanche più, perchè ogni pagina dei risultati è molto variabile, spesso di settimana in settimana, ed è comune anche che non tutti vedano le stesse cose (per i motivi elencati all’inizio).

    Ad ogni modo, la SERP come elenco di risultati è fatta pressappoco così (attenzione: le SERP sono “soggettive e cambiano da PC a PC, potreste vedere qualcosa di diverso se cercate anche voi):

     

    A volte possono essere presenti risultati legati alle mappe della zona in cui vi trovate.

    Tipi di SERP: ricette

    Appaiono come dei quadratoni cliccabili, direttamente nella zona above the fold, in cui è possibile scegliere tra vari siti: c’è un’immagine tratta dal sito, un titolo, il nome del sito e le stelline con le recensioni (se disponibili). Si ottengono con il rich snippet Recipe, per inciso, ammesso che Google decida di concedervelo.

    Esempio: pasta con gamberi e zucchine

    Tipi di SERP: traduzioni

    Sono SERP che escono fuori quando si cerca, ad esempio, la traduzione di un termine inglese, specialmente se di uso molto comune. Sono risultati zero click, nel senso che non incitano di certo l’utente a cliccare su un sito, anche se in basso vediamo comunque vari risultati pertinenti.

    Esempio: cosa significa lockdown

    Tipi di SERP: FAQPage

    Le pagine con domande e risposte (per l’implementazione: includere nella pagina web FAQPage) che si presentano come delle aree di testo cliccabili con domande e risposte: rispondono alle “domande più frequenti” da parte degli utenti. nel titolo c’è la domanda impostata nello snippet, cliccandoci sopra Google apre, sempre direttamente nella SERP, la risposta a quella domanda.

    Sono degli snippet molto interessanti, secondo me, perchè funzionano anche molto bene per molti argomenti informazionali. Nella mia esperienza l’attribuzione sembra avvenire solo per i siti web che ricevano un certo numero di visite minimo. Su molti siti la loro presenza viene ignorata, perché magari considerata poco consona, fuorviante oppure perchè il crawler non ci è ancora passato oppure, ancora, ha rilevato degli errori.

    Esempio: soccorso stradale (geolocalizzata su Roma)

    Proprietà SEO delle SERP

    Le SERP sembrano godere delle seguenti proprietà che le caratterizzano universalmente:

    1. le SERP non sono uguali per tutti, ovvero sono soggettive per ogni utente. Dipendono dalla posizione geografica, in alcuni casi, che può essere sottintesa o esplicitamente cercata;
    2. le SERP cambiano in base a come viene effettuata la ricerca;
    3. le SERP possono cambiare in base al fatto di essere loggati o meno in Google Suite o Gmail;
    4. le SERP potrebbero apparire in modo diverso in base al dispositivo da cui si cerca (ci sono SERP per desktop e SERP per mobile, e non sempre coincidono tra di loro)
    5. le SERP possono cambiare da un PC all’altro;
    6. le SERP possono cambiare da una connessione internet all’altra, io possono vedere una cosa da un PC ed il mio amico può vederne un’altra, anche a parità di ricerca;
    7. le SERP variano in modo imprevedibile,e  sono soggette ad un tasso di oscillazione dei risultati in dipendenza di ciò che succede “dietro le quinte” di Google, e “dietro le quinte” di chi fa SEO per ognuno dei siti inseriti tra i risultati;
    8. le SERP cercano di soddisfare la richiesta dell’utente sia mediante annunci a pagamento che risultati naturali (ciò è anche parte del modello di business adottato da Google)
    9. le SERP NON sono controllabili se non mediante good practices stabilite da Google;
    10. le SERP non possono essere manipolate arbitrariamente altrimenti, giustamente, crollerebbe il senso stesso di Google.